La strage degli innocenti

Voce dal sen fuggita

più richiamar non vale

non si trattien lo strale

quando dall’arco uscì

Metastasio

“E se qualcuno morirà, pazienza” (Domenico Guzzini, presidente Confindustria di Macerata). Poi si scuserà, sommerso dalle critiche; ma ormai…

Stesso concetto, in forma più diplomatica: “Per battere il Covid non possiamo uccidere il Paese” (Giovanni Toti, presidente Regione Liguria). “La prima emergenza è la povertà” (Carlo Messina, Ceo Intesa Sanpaolo e Mario Draghi, ex presidente BCE). “La gente non ha evidentemente paura di morire” (Luca Zaia, presidente Regione Veneto), che, pur nell’esprimere parere opposto, conferma quanto sopra.

Ho modulato le citazioni passando dalla constatazione fuori dal coro di Guzzini, che alberga, pensata ma indichiarata, nel petto di molti di noi (poi cercherò di individuare chi), alle enunciazioni di buonsenso di Toti, Messina e Draghi, fino alle geremiadi di Zaia, fautore di uno Stato di polizia permanente, che qualifica come incoscienti i suoi concittadini. 

Daniele da Volterra, La strage degli Innocenti, 1557. Galleria Uffizi, Firenze. Pittura a olio. Per ammazzarne uno (Gesù Bambino) Erode non esitò a far sopprimere tutti gli infanti fino ai due anni di età. Oggi lo spettro dei destinati alla miseria, anticamera della morte, è molto più ampio e concerne la mezza Italia abbandonata alla deriva sociale figlia dell’incapienza

Tanto tuonò che piovve: settimane di rumors, e infine alea iacta est. Giulio, pardon, Giuseppe ha gettato il dado, “in sofferenza”. Natale, Capodanno ed Epifania, tutti in lockdown, in ossequio al parossismo restrittivo sobillato dal trio Speranza-Boccia-Franceschini.  

Sembra che siamo giunti al nodo cruciale, al punto in cui si incrocia la curva dei morti di Covid di oggi e di ieri con quella dei morti per fame di oggi e domani. Dunque, chi è che “non ha paura di morire?”.

Semplicemente la metà degli italiani abbandonati al loro destino dal governo. Questa metà comprende varie categorie produttive, che non sto ad elencare, tanto sono ormai note a tutti, spaziando dal settore bar/ristoranti al turismo montano, dall’alberghiero ai voli aerei, dagli organizzatori di congressi ed eventi ai lavoratori dello spettacolo. E potrei continuare. 

Coloro che lavorano, o meglio lavoravano, in questi settori sono in parte crescente usciti o in via d’uscita dal mercato e si trovano senza mezzi di sostentamento, essendo offensivo classificare come tali gli sbandierati “ristori”, che arrivano erraticamente e in misura ridicola rispetto alla perdita di reddito subita. Gli eventuali risparmi sono finiti e non resta loro che mettersi in una delle chilometriche file davanti alla Caritas o al Pane Quotidiano, rievocando immagini del 1929, che pensavamo mere testimonianze storiche. Sono persone fiaccate dal misto di disperazione e paura per la repressione in atto da parte delle varie polizie, locali e statali, gente senza più niente da perdere, se non la vita. E allora, cosa volete che gli importi di sopravvivere, quando la probabilità di morire di stenti è superiore a quella di morire di Covid? Meglio una morte solo probabile o una morte certa, nell’abbrutimento della miseria?

Oggi in fila a Milano, ieri in fila negli USA della Grande Depressione. Allora erano in ginocchio interi popoli, oggi solo una loro metà: proletariato e classe media produttrice

Dall’altra parte ci sono i “tutelati”, coloro che lavorano in settori di prima necessita, dalle panetterie ai supermercati alle farmacie, più i pensionati, i dipendenti pubblici, le varie caste dallo Stato alle Province, i proprietari immobiliari (i cui affitti sono la voce di uscita più dirompente) e varie nicchie casualmente emergenti. Quando si legge che le banche sono piene di risparmi di gente che non spende per la paura del futuro, mettendo così in croce il commercio, ebbene quei risparmiatori sono da ricercarsi in questa metà d’Italia, quella che preferisce le zone rosse e le restrizioni a oltranza, costi quel che costi in termini economici (sul gobbo dell’altra metà).

Quando si esortava a “ridurre le diseguaglianze”, si intendeva stigmatizzare la compresenza di una ristretta élite sempre più ricca e di una sacca di poveri sempre più poveri. Oggi però il confronto non è più tra un 1% e un 99%, ma tra due metà più o meno equivalenti, con la metà garantita che invoca a gran voce sempre maggiori restrizioni, indifferente al loro gravame sulla schiena dell’altra metà, ormai fiaccata e disperata: mors tua, vita mea, dimenticando che la parte tutelata vive dei prodotti e servizi della parte mandata allo sbaraglio (il termine inglese stranded ne sintetizza efficacemente la condizione).

Adesso si spera nei vaccini, ossia il solito bazooka che questa civiltà illuminista usa per debellare (verbo quanto mai congruo) ogni ostacolo si ponga sul suo luminoso cammino verso lo sviluppo, ossia la crescita a oltranza e la trasformazione di ogni desiderio in bisogno. Abbiamo avuto, a partire degli anni ’70, a dispetto della loro qualifica “di piombo”, una mirabile fioritura di pensatori in controtendenza, che sono stati via via oscurati dal riflusso dei fautori del predominio del genere umano su tutto quanto è considerato estraneo ad esso, anziché ammettere che siamo diventati noi stessi i veri estranei su questa Terra. 

Pesco dalla mia libreria ecologista, iniziata nel 1969, quattro libri di alcuni dei pensatori sui quali ho costruito la mia visione ambientalista. Quanto ne siamo lontani! Al secondo libro potremo affiancarne un altro, aggiornato ad oggi, su “Come muore l’altra metà d’Italia”

 

Non che ancor oggi non si parli di “piccolo è bello”, sviluppo ecosostenibile (ma pur sempre sviluppo), green economy, e simili nobili aneliti; ma nella pratica il disordine nel mondo, l’entropia, cresce, sia socialmente che ambientalmente. Per non dire di questo sgangherato governo che accoglie i vascelli indaffarati nel traghettare il caos sul nostro suolo, nelle nostre città, dove il crescente numero di senzatetto, di emarginati, di ghettizzati, non necessita certo di plotoni di rinforzi venuti dai formicai d’Oriente o d’oltremare.

 

Conte e Di Maio a Bengasi hanno di fatto equiparato, secondo fondati sospetti, i nostri pescatori agli scafisti libici, in uno scambio di prigionieri con colpe abissalmente lontane, trattando per giunta con un governo nemico di quello da noi riconosciuto e implicitamente colluso con i nuovi negrieri

Non che ancor oggi non si parli di cibi sani, senza additivi e conservanti, di riciclaggio dei rifiuti e via discorrendo; ma questi discorsi sono isole in mezzo al mare di atroci allevamenti intensivi, di consumo sconsiderato di carne, di diserbanti e fitofarmaci di efficacia pari alla loro velenosità, di via libera alle coltivazioni OGM, di disboscamenti selvaggi per soddisfare i motori ad energia “verde” e la fame di insaccati e hamburger. Ricevo ogni giorno appelli di Greenpeace a combattere ora questo ora quel sopruso contro la natura; e per una sfida che si riesce a vincere altre dieci si profilano, come tante teste di Idra. 

Di fronte a tutti questi vizi privati che non si traducono in pubbliche virtù, la natura non può che reagire chiedendo il moderno sacrificio di vite umane, eco di atroci riti antichi, guardati con orrore dalle nostre menti beneducate, senza accorgerci che abbiamo create le premesse affinché si giunga nuovamente a tanto, e che il mandante dell’eccidio è il nostro stile di vita, al quale ci si abbarbica nonostante i suoi peccati capitali. 

E secondo prassi, pur di non rinunciarvi, ora sfoderiamo una nuova arma: i vaccini. Ottimi per le casse delle aziende che li producono, ma contrari all’avvertimento della natura sull’esubero degli umani sul pianeta. C’è da immaginare che, per reazione ai nostri caparbi sforzi per continuare a vivere eliminando tutto ciò che consideriamo nemico, la natura replicherà i metodi da noi usati ad es. in agricoltura contro gli insetti nocivi, accomunando nella strage anche quelli vitali. 

Se spesso dissento dalle esternazioni del pontefice, quando critica l’andazzo consumistico della nostra società, non posso che dichiararmi concorde nel vedere nel Covid un puntuale ammonimento 

I Paesi del Nord, quelli a dir loro “frugali”, ci bollano come cicale, nel senso che vivremmo al di sopra delle nostre possibilità, intese in senso finanziario, di debito pubblico. Mentre considero fuori luogo questa accusa, risultando l’Italia avere da oltre vent’anni (salvo il 2020) un bilancio in avanzo, se non fosse per gli interessi, non posso che confermare che, non solo noi, ma anche tutti i “frugali”, viviamo al di sopra della compatibilità ambientale, se consumiamo le risorse rinnovabili a ritmi crescenti, con il pareggio di bilancio ecologico che cade ogni anno in data a ritroso dell’anno precedente. 

Pertanto non mi unisco al coro di improperi con cui è stato massacrato papa Francesco per aver solo constatato l’ovvio, e cioè che l’unica voce positiva del Covid sarà la celebrazione di un Natale non all’insegna del solito consumismo sfrenato. Colgo nettamente la contraddizione tra una vita più sobria e la perdita di lavoro che ne conseguirebbe. Eppure, i segnali erano ben presenti da decenni, ma abbiamo continuato ad ignorarli, in nome di un malinteso progresso. Il Covid ce lo ha rammentato con devastante brutalità. Sta a noi ora riorganizzarci, facendo tesoro della lezione, e cioè cambiando drasticamente come e cosa produrre. 

Col cielo nuvoloso o azzurro, senza una regola, i voli civili sono ormai ai minimi termini, ma questi aerei, presumo militari, non si stancano di irrorare lo spazio aereo con sostanze top secret. 

Un inciso: sarebbe ora che il governo spiegasse il persistere di scie aeree nei cieli, spacciate per scie di condensa di normali aerei di linea, quando le compagnie aeree sono al lumicino e i pochi residui voli non giustificano decine di tracce dei loro presunti passaggi. A chi taccia di complottismo chi come me alza spesso gli occhi al cielo, faccio notare che spesso in due giorni consecutivi, in condizioni meteo pressoché identiche, oggi abbiamo il cielo terso e sgombro di scie, mentre all’indomani le scie si moltiplicano ad oscurare il sole. Cosa stanno irrorando sulle nostre teste? Un aiutino alla natura per sfoltire un’umanità in esubero? Fantasticherie? Allora ci si dica, dopo oltre vent’anni che la disseminazione continua, che aerei sono, chi li autorizza, chi li paga, cosa spargono in cielo, a che scopo? Si parla tanto di trasparenza. Cominciamo dal cielo.

Marco Giacinto Pellifroni         20 dicembre 2020

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