La Sinistra di Blair e del Pd

La Sinistra di Blair e del Pd

La Sinistra di Blair e del Pd

Romano Prodi in una lettera al Messaggero di molti anni fa denunciò i fallimenti della sinistra riformista degli anni 90 che tentò una risposta al conservatorismo tacheriano: “Sul dominio assoluto dei mercati, sul peggioramento nella distribuzione dei redditi, sulle politiche europee, sul grande problema della pace e della guerra, sui diritti dei cittadini e sulle politiche fiscali le decisioni non si discostavano spesso da quelle precedenti.” I “ruggenti anni 90”, ricordando un celebre libro del premio nobel Stiglitz, hanno portato a “una crescente disparità nelle distribuzione dei redditi, un dominio assoluto e incontrastato del mercato, un diffuso disprezzo del ruolo dello Stato e dell’uso delle politiche fiscali, una presenza sempre più limitata degli interventi pubblici di carattere sociale.” Il capitalismo liberalizzato dalla Tacher e da Regan trovò nel New Labour un prezioso alleato che, non solo creò una frattura all’interno dei labouristi inglesi, ma cambiò la natura intrinseca della sinistra stessa.


 

Prodi, in quel articolo e in molti altri interventi successivi, suggerì la tortuosa strada da seguire: “Per vincere i riformisti debbono elaborare nuove idee e nuovi progetti su tutti i temi elencati in precedenza. Ribadendo con forza il ruolo dello Stato come regolatore di un mercato finalmente pulito. Approfondendo i modi e gli strumenti attraverso i quali i cittadini abbiano uguali prospettive di fronte alla vita. Rinnovando il funzionamento del sistema scolastico, della ricerca scientifica e del sistema sanitario. Ripensando al grande processo di superamento del nuovo nazionalismo politico ed economico con una forte adesione agli obiettivi di coesione europea e di solidarietà internazionale. Non avendo paura di denunciare i tanti aspetti riguardo ai quali il capitalismo deve profondamente riformarsi. Non accontentandosi di mostrare un giorno la faccia feroce e il giorno dopo un viso sorridente verso gli immigrati, ma preparando una organica politica di legalità ed accoglienza.”

Oggi il Partito democratico, nella sua fase congressuale, dovrebbe discutere di questo: quale nuovo modello? In che modo riformare il capitalismo, che ha trovato nelle politiche di austerity il più forte alleato. La sinistra italiana, ed in particolare il Pd, però, sono stati decenni a discutere dell’elefante nella cristalleria della democrazia (Silvio Berlusconi) o a litigarsi il potere tra fazioni personali.

Il dibattito politico non c’è.


 

Cercando di ricostruire il pensiero politico di Matteo Renzi, operazione difficile considerati i continui cambiamenti su qualsiasi argomento, sembra emergere un blarismo con 20 anni di ritardo dove il mercato ed il merito sembrano essere gli unici indicatori di valore. La consapevolezza della necessità di riformare il capitalismo è invece presente nei tanti scritti di Fabrizio Barca che sono stati accolti dalla mozione di Pippo Civati. La mozione Cuperlo parla più del partito che dell’Italia e l’appiattimento su questo imbarazzante governo delle larghe intese rende poco credibile ogni proposta di riforma reale.

La pessima figura con la mancata elezione di Prodi alla Presidenza della Repubblica (i famigerati 101) è stato l’episodio sintomatico della salute precaria della sinistra italiana e l’unica speranza è che le primarie possano dimostrare che un reale cambiamento (non la finta rottamazione) sia ancora possibile. 

MARCO CAVALLERO

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