La scomparsa del cronista, malattia mortale…

La scomparsa del cronista,
malattia mortale del giornalismo italiano

La scomparsa del cronista,
malattia mortale del giornalismo italiano

 Due pesi e due misure

Il fatto. Il 6 luglio dello scorso anno lungo il corso principale di Fermo un disoccupato del posto incrociando una coppia di migranti irregolari provenienti dalla Nigeria sibila in un italiano anglicizzato: “africans scimmia”. I due africani, poliglotti, capiscono al volo, non gradiscono e mentre il maschio, dopo averlo divelto, si scaglia contro l’autore dell’insulto brandendo un palo della segnaletica la sua compagna provvede ad azzannarlo a un braccio. L’uomo cade, si rialza colpisce con un pugno l’africano che cadendo a sua volta batte la nuca sul marciapiede e poco dopo muore.


La notizia “Razzista italiano aggredisce un immigrato massacrandolo con calci e pugni”. Notizia che occupa le prime pagine di tutti i giornali, fa il giro dell’universo mondo suscitando ovunque sdegno e commozione ed è rinforzata dalle dichiarazioni di senatori e deputati del Pd che parlano di “film dell’orrore”, di linciaggio, di violenza perpetrata ai danni di una comunità fiera di accogliere “tutti quelli che fuggono dai mali del mondo”. Intervengono le più alte cariche dello Stato, parlamentari, intellettuali d’area, tutti a deplorare il clima d’odio che si è creato nel Paese per colpa di una precisa parte politica. Intanto l’aggressore – o la vittima dell’aggressione – è stato arrestato e successivamente rilasciato in attesa che la giustizia, come si dice, faccia il suo corso. Ma sull’onda dell’indignazione cosmica, con la presidente della Camera che ai funerali si stringe in un abbraccio alla compagna della vittima, Renzi e Alfano che strepitano e pretendono un giudizio sommario e Giovanardi subissato di fischi e urla in parlamento perché chiede di vederci chiaro, il malcapitato viene rimesso in gattabuia e si buttano via le chiavi. Terrorizzato dalla stampa, dall’intervento della terza carica dello Stato e dalla vestale del cerchio magico renziano, il povero cristo si decide a fare atto di contrizione e patteggia una pena di cinque anni pur di finire ai domiciliari. E buon per lui che la compagna della vittima, rea confessa di falsa testimonianza, per togliersi dai guai ha pensato bene di non insistere sul risarcimento.

Non serve molta immaginazione per avere un’idea della tranquillità con cui i giudici affrontano un caso sul quale il presidente della Camera ha già formulato il suo verdetto e sul quale è stata mobilitata l’opinione pubblica mondiale.


 Il fatto A Torino, in mercatino abusivo, alle 7.30 del 15 ottobre un italiano cerca di passare fra due banchi accostati per poter disporre la sua merce. Infastidito per essersi dovuto spostare un migrante irregolare, nigeriano, anche questa volta, estrae un coltello e lo sgozza. L’italiano, il doppio degli anni dell’africano, era disarmato e senza pali della segnaletica fra le mani.

La notizia. “Uomo accoltellato durante una lite in un mercato di Torino”. Per sapere che l’accoltellatore è un africano illegalmente presente in Italia bisogna leggere il testo, che sorvola sulla vittima, della quale non viene fornita neppure l’immagine, e si dilunga sul pericolo che la vicenda venga strumentalizzata dai razzisti.

Ma che senso ha tutto questo?

Forse l’uomo della strada, il cittadino qualunque, si emoziona di più se un suo connazionale uccide accidentalmente un immigrato che se un immigrato ammazza volontariamente un italiano? Non è credibile; piuttosto è legittimo pensare il contrario. E allora perché la prima notizia è così enfatizzata fino alla falsificazione, con uno strascico che dura per settimane, mentre la seconda nasce striminzita e muore subito come un’efemera?

E anche mettendo i due fatti sullo stesso piano: l’informazione legittimamente si mobilita se un italiano uccide, sia pure accidentalmente, un immigrato, perché fa notizia; ma è legittimo che la stessa informazione ritenga che non faccia notizia l’assassinio di un italiano ad opera di un immigrato?

Che fine ha fatto il giornalismo italiano?


Il giornalista medio non è precisamente un Riccardo cuor di leone. Tiene famiglia e anche se in Italia non rischia di fare la fine di Caruana Galizia sa bene da chi dipende la sua pagnotta e non corre rischi. Del resto da noi il giornalismo d’inchiesta praticamente non esiste. In un passato ormai remoto qualcuno ci aveva provato pestando i piedi a chi non avrebbe dovuto ed è finito nel calcestruzzo di qualche palazzo di Palermo. Quindi, per carità, non chiederei di osare tanto: vorrei semplicemente che fosse dato un po’ più di spazio ai fatti e meno alle opinioni e che i fatti occupassero la cronaca senza filtri o limature. Ma a volte si ha l’impressione che non ci sia bisogno di veline o di ordini di scuderia per chiudere gli occhi da una parte e spalancarli dall’altra. Non credo che nelle redazioni berlusconiane venga imposta la professione di fede al pensiero unico politicamente corretto; eppure punteggiatura, sottolineature, sbianchettature, prospettive, linguaggio e vere e proprie falsificazioni sono sovrapponibili con quelle della televisione di regime e fanno rimpiangere tele Kabul, la terza rete del compianto Curzi, che almeno era una persona intelligente. Bei tempi, quelli della Tv lottizzata, con una rete democristiana, una craxiana e una comunista!

L’informazione è soggetta ovunque a influenze di vario tipo e diversa intensità ma, considerata la pluralità dei canali e la concorrenza di più agenti esterni, si deve riconoscere che nei grandi Paesi industrializzati il suo valore medio, cioè la sua attendibilità, rimane funzione della professionalità dei giornalisti, della loro capacità di giudizio e della loro capacità di entrare nei fatti. Il giornalista autentico è un cronista, che inevitabilmente ha le sue idee, le sue aspettative e i suoi pregiudizi, ma rimane nonostante questi un cronista. In Italia la prima operazione del cronista è quella di identificarsi con l’aria che tira, cosicché non ha nessuna necessità di opporsi a pressioni esterne: su di lui, malleabile come la cera, anzi, inconsistente come un puro spirito, non si esercitano pressioni: lui non fa alcuna resistenza, è immateriale. I suoi riferimenti del resto, grandi firme e direttori di giornaloni e giornalini, non sono più cronisti ma opinion maker. Nemmeno loro avvertono o subiscono pressioni esterne: sono loro stessi a influenzare le notizie, non hanno bisogno degli ordini del padrone: sono bravissimi nell’anticiparne umori e desideri.

Tacere sull’invasione e accreditare i giochi truffaldini della politica


Per quel che riguarda la carta stampata l’antidoto è rappresentato dal crollo delle vendite. I tentativi di manipolare la pubblica opinione falliscono se non esiste un pubblico. L’informazione attraverso l’immagine è più volatile, raggiunge le persone quando conversano fra di loro, stanno pranzando, passano distrattamente da un canale all’altro, prestano un’attenzione intermittente e superficiale. I talk show di approfondimento interessano quattro gatti, sono passerelle per la vanità di piccoli uomini e piccole donne. Per un certo periodo Belpietro ha condotto una buona trasmissione che aveva il pregio di mantenere alta la guardia sul disastro dell’invasione da tutti – ma non dai cittadini – negato o sottovalutato; poi evidentemente qualcuno ha pensato che si stava facendo un regalo alla Lega e allora in barba agli indici d’ascolto, stop, si cambia format e fine del gioco. Ma non è solo sull’invasione, sui migranti e sui crimini commessi dai clandestini che si esercita la disinformatia. Ci sono le vicende della politica, e in particolare del Pd, e la rentrée di Berlusconi.

I fatti, incontrovertibili, sono: Berlusconi ha perso completamente la fiducia di quelli che avevano creduto in lui fra il 1994 e il 2008. La vicenda di Alfano, il suo delfino, nel quinquennio orribile che stiamo finendo di attraversare, la perdurante ingombrante presenza di quell’incarnazione della degenerazione della politica che ha fatto da ponte fra centrodestra e cerchio magico, il suo vecchio braccio destro e, per andare su personaggi di seconda fila, le sussiegose e insopportabili uscite di Lara Comi sono lì a dimostrare quale pacco è stato rifilato agli elettori. Se Brunetta e tutta la compagnia di giro conta di accaparrarsi dei voti sanamente populisti della Lega per rimanere incollata alla poltrona e usa il Cavaliere rimesso a nuovo come un richiamo si può anche capire. Quello che eticamente è incomprensibile è l’unanime slancio dei media, tutti, nel ridisegnare, imbellettare, rendere presentabile il personaggio più di quanto riesca a fare l’estetista.


L’altro fatto, simmetrico, è che, nonostante quello che dicono i sondaggi, il Pd e tutta la sinistra sono completamente screditati. E allora sotto con l’operazione che proprio su questi Trucioli avevo anticipato un anno fa: si finge che esistano più sinistre, più Pd, Gentiloni come alternativa a Renzi, una sinistra vera alternativa a tutti e due, una sinistra centro che compone tutti. In questo gioco delle tre carte il maestro è Renzi che riesce a vendicarsi di bankitalia, che ha indagato dove non doveva indagare, accusandola di non averlo fatto abbastanza! Altro che venditore di pentole: quello è il mago Houdini della politica. Insomma a sinistra sono apparentemente tutti contro tutti semplicemente per accontentare tutti i palati, per offrire un alibi alla coscienza dei compagni disgustati: se non vuoi votare Renzi perché compromesso con banca Etruria, lo puoi votare perché è lui che tuona contro banca Etruria e chi non ha impedito il malaffare; se non vuoi votare per il Pd perché fa arrivare i barconi carichi di africani allora vota per il Pd che con Minniti impedisce ai barconi di scaricare africani sulle nostre coste – non è vero ma stampa e partiti, con la Meloni incomprensibilmente in testa, lo hanno fatto credere – ; se però il Pd ti fa ribrezzo c’è sempre Speranza e se vuoi un usato sicuro ti puoi attaccare al vascello fantasma dell’ulivo.


 Senza la complicità dei giornalisti televisivi e della carta stampata questi giochetti non sarebbero possibili. Invece quotidianamente, con un’insistenza martellante, prime pagine e telegiornali si sforzano di attribuire un pensiero, un’anima e una dignità politica ai protagonisti di queste squallide sceneggiate e di far passare per dialettica politica una truffa ai danni degli elettori. La stessa stampa che, da destra a sinistra, nell’occasione ghiotta della legge di bilancio non trova di meglio che spostare l’attenzione sulla tassa occulta sulle polizze vita, su ipotetici sgravi fiscali per chi assume giovani e sul tema scottante della longevità che minaccia i conti del sistema previdenziale per nascondere il macigno che grava sui conti dello Stato. La presenza degli stranieri da mantenere è il problema vero che impedisce di dare respiro alle famiglie italiane, immettere denaro nelle tasche dei lavoratori e dei pensionati impoveriti anno dopo anno, rilanciare i consumi e rimettere in moto il sistema produttivo. Ricordo che per il governo garantire un reddito agli esodati – un numero infimo – comportava difficoltà insuperabili; ricordo che tutti gli osservatori ritenevano utopistico assicurare un sussidio a tutti gli inoccupati italiani, persone che prima o poi sarebbero entrati nel mondo del lavoro restituendo in questo modo quello che avessero ricevuto; ricordo che dopo un attesa estenuante i contratti per il pubblico impiego prevedono un’elemosina di poche decine di euro che non copre nemmeno un terzo di quanto perso in potere di acquisto. Ebbene, ora che è il momento di dirlo, tutti tacciono sui miliardi che lo Stato deve stanziare per mantenere direttamente centinaia di migliaia di richiedenti asilo appaltati ai privati e alle organizzazioni che continuano ad arricchirsi con questa vena inesauribile di oro nero, e indirettamente almeno due milioni che sono usciti dal sistema di accoglienza ma non si sono mai mossi dall’Italia, stanno qui illegalmente, non hanno un lavoro ma portano con sé bisogni primari che devono necessariamente essere soddisfatti. L’anno scorso è stato detto a mezza bocca che il costo sopportato dall’erario per “l’emergenza migranti” è di quattro miliardi e mezzo. Ovviamente è un costo che lievita, perché il clandestino si ammala, si riproduce, delinque e soprattutto perché ogni giorno, ogni settimana, ogni mese nonostante le fake news ufficiali su Minniti le instancabili Ong e le navi di mezza Europa portano da noi nuove bocche da sfamare. Altro che esodati o sussidi per chi è in cerca di lavoro o adeguamento degli stipendi e delle pensioni. E le belle parole di Draghi sui livelli intollerabilmente bassi dei salari italiani?

Un’occasione – volutamente –  perduta

La presentazione della legge di bilancio sarebbe stata un’occasione magnifica per parlare seriamente di queste cose, per mettere l’esecutivo, le alte cariche dello Stato, il Pd, i buonisti di ogni estrazione con le spalle al muro. Ora non possono più mentire come per tanto tempo hanno fatto: dicevano che sono soldi dell’Europa quelli per i migranti, profughi o clandestini che siano. Non era vero e alla fine hanno dovuto confessarlo. Ed è il momento di dire dove vengono presi questi soldi, in quale piega del bilancio sono occultati e a spese di chi e di che cosa. Ce n’è di materiale per un giornalismo serio, per un’informazione corretta e responsabile. Ma da noi, nel pantano in cui stiamo sprofondando, si ritiene responsabile proprio il silenzio o la menzogna, perché altrimenti si rischia di gettare benzina sul disagio sociale, di scatenare la rivolta, di portare acqua al mulino del populismo. Da noi, in questo pantano, l’onestà, l’intelligenza e il dovere dell’informazione non stanno sprofondando, sono già sprofondati, non ce n’è più traccia. Ci rimane la rete, il passaparola, con tutti i rischi che comporta un canale che tracima e porta di tutto con sé, inquinamento compreso, per non parlare della minaccia costante della censura e della vulnerabilità implicita nella tecnologia, tanto maggiore quanto più essa è sofisticata.

 

 Pier Franco Lisorini

 Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione

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