La Sagrada Familia: opera aperta

LA SAGRADA FAMILIA: OPERA APERTA
Le grandi cattedrali gotiche medievali (o anche costruzioni più modeste ma non per questo meno preziose come opere d’arte) rappresentano qualcosa che va oltre la materia

LA SAGRADA FAMILIA: OPERA APERTA

Le grandi cattedrali gotiche medievali (o anche costruzioni più modeste ma non per questo meno preziose come opere d’arte, si pensi al Battistero di Firenze o a quello di Pisa) rappresentano qualcosa che va oltre la materia, o meglio, i materiali con cui sono state edificate: non rispondono a nessuna esigenza pratica o economica o politica, eppure erano considerate più necessarie alla vita della comunità delle stesse abitazioni civili che le circondavano. Quelle cattedrali, quelle pievi, quelle cappellette sopravvissute alle devastazioni delle guerre e delle rivoluzioni, e, infine, ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, rappresentano la non riducibilità dell’uomo alla materia di cui è fatto. Quelle architetture sacre ci ricordano che la nostra vera dimora non è qui.


 

Ma se non qui, dove? Una risposta, e che risposta,  ci viene dal grande architetto catalano Antoni Gaudì (Reus, 25 giugno  – Barcellona, 10 giugno 1926), che dedicò quasi tutta la sua vita alla costruzione del Templo Expiatorio de la Sagrada Familia, una chiesa per l’espiazione dei peccati dedicata  al culto di Gesù, Giuseppe e Maria, secondo il desiderio del filantropo e fervente cattolico Josep Maria Bocaballa, tipografo e libraio in Barcellona, fondatore dell’ Asociaciòn de Devotos de San Josep, la cui ragione sociale era appunto quella di raccoglierei fondi e  donazioni da destinare  all’edificazione della Sagrada Familia, che Rocabella immaginava nello stile gotico-rinascimentale della Basilica del Santuario di Loreto. Quando il progetto cominciò a concretizzarsi, nel 1881, con l’acquisto del terreno in una località allora periferica, nel quartiere Eixample, su cui edificare la chiesa, Antoni Gaudì era un giovane diplomato presso la Scuola Superiore di Architettura che svolgeva il suo apprendistato sotto la guida dell’architetto catalano Joan Martorell il quale, a sua volta, affiancava, per volontà del Bocabella, il titolare del progetto, architetto Francisco de Paula del Villar y Lozano. Il progetto di Villar, diversamente dall’idea di Bocabella, prevedeva una costruzione in stile neogotico a tre navate con grandi vetrate, cuspidi, contrafforti e archi rampanti.


Nel 1883, tuttavia, dopo aver completato la cripta, per contrasti con il collega Martorell, Villar rimise il mandato nelle mani di Bocabella, il quale, a questo punto, assegnò a Martorell l’incarico di portare a termine il progetto. Senonché Martorell, inopinatamente (e qui un credente potrebbe scorgervi addirittura la mano di Dio), rifiutò l’incarico e indicò, come più adatto all’impresa, il nome del suo assistente e collaboratore, il trentunenne Antoni Gaudì.   Da quel momento la vita del geniale artista catalano “plasmatore della pietra, del laterizio, e del ferro”, come lo definì Le Corbusier, si intrecciò con l’edificazione sempre in divenire e ancora oggi incompiuta di quel Templo in cui la pietra stessa sembra veramente trasformata in una materia vivente della vita di quelle opere d’arte che, se qualche barbaro o talebano o terrorista non le distrugge, oltrepassano i limiti della vita umana e anche quelli del tempo in cui furono realizzate; per esempio: “Un edificio, un tempio greco, non riproduce nulla. Si erge semplicemente nel mezzo di una valle dirupata. Il tempio racchiude la statua del Dio e in questo racchiudimento protettivo fa sì che, attraverso il colonnato, essa risplenda nella sacra regione…Il tempio, in quanto opera, dispone e raccoglie intorno a sé l’unità di quelle vie e di quei rapporti in cui nascita e morte, infelicità e fortuna, vittoria e sconfitta, sopravvivenza e rovina delineano la forma e il corso dell’essere umano nel suo destino” (Heidegger, L’origine dell’opera d’arte, p. 27). Come è evidente, la distanza tra le armonie geometriche di un tempio greco e le ardite invenzioni tecniche e formali che fanno della Sagrada Familia un’opera aperta e non classificabile secondo gli schemi stilistici consueti della storia dell’arte (lo stile di Gaudì è unico e inimitabile) è enorme; e tuttavia, così l’uno come l’altra sono cifre della trascendenza, opere umane che ci parlano del divino che è in noi e fuori di noi, nell’anima e nella natura.


 

Non per niente gli stessi anarchici atei che diedero fuoco alla cripta durante la Guerra Civile Spagnola, non osarono infierire contro la facciata della Natività, né contro l’abside, né contro le quattro torri frontali, le uniche parti costruite da Gaudì, prima di morire, investito da un tram nel 1926. Per fortuna (o per Provvidenza) l’intenzione dei fanatici terroristi islamisti di far saltare in aria il capolavoro di Gaudì è rimasta tale.  Ormai il Templo Expiatorio de la Sagrada Familia voluto dal devoto libraio Bocabella, la cui tomba è nella cripta, ha preso forma e il sogno di erigere un monumento alla fede cristiana, grazie alle donazioni popolari e al mecenatismo di alcuni privati, si sta lentamente realizzando. Forse, se tutto procederà secondo le previsioni, sarà completato intorno al 2026. Antoni Gaudì, dal cielo, ringrazia.

 FULVIO SGUERSO 

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