La risorsa bosco

La risorsa bosco
Il bosco è una risorsa.
Dietro questa frase si nasconde un tranello

La risorsa bosco

 Il bosco è una risorsa. Dietro questa frase si nasconde un tranello. Nei pochi anni in cui mi sono appassionato all’uso del linguaggio mi è parso sempre di più di capire che le frasi, quando sono brevi, calzanti e soddisfacenti, celano o mascherano la verità. Talvolta sono un velo che mistifica, dona un’aura di bellezza romantica, ci convince di vedere esattamente quello che ci aspettiamo di vedere e ci impedisce di guardare quello che non vogliamo sapere.

Di fatto il termine è alto e nobile, si riferisce, nella sua origine, al sorgere dalla terra di ciò che là sotto era scomparso, prima fra tutte (in tutti i sensi) l’acqua, che infatti, quando salta fuori prende il nome di sorgente. Risorsa è dunque ciò che TORNA a mostrarsi.


Intanto il bosco non se n’è mai andato. Non era nascosto, meno che mai era sottoterra. Diciamo che siamo noi che dovendo scegliere tra alberi e ciminiere abbiamo scelto le seconde, perché ci parevano più affidabili. Mal ce ne colse, ché nel giro di un secolo abbiamo cominciato ad abbatterle. Volgendo dunque il nostro stolido sguardo da un’altra parte abbiamo notato questa vasta peluria verde ricoprire le nostre colline. Oibò! Che sarà mai?

A pensarci bene è da qualche annetto che l’uomo ha a che fare con questa risorsa, tanto da sfruttarla anche brutalmente: dalla legna per scaldarsi, a quella per produrre carbone, a quella per la cottura del pane, ai pali per edilizia o per la viticoltura, al tannino, al legname da falegnameria, alla legna per fondere metalli (nei nostri boschi si fondeva e soprattutto si forgiava ferro: vedasi quanti toponimi e nomi di persona hanno conservato la parola “ferro”, “ferriera” o “martinetto”), più anticamente anche il rame e il bronzo. E da tempo immemore pure il vetro. Si riporta in alcuni antichi documenti, che i boschi del circondario di Altare furono, ad un certo punto, decimati dal fabbisogno di combustibile dei forni da vetro.

Nei boschi si trovano frutti spontanei e funghi, fino a qualche decennio fa lasciati al libero buon senso, e ora vincolati quantomeno a un tesserino. Nei boschi c’è l’acqua, nascono molte delle nostre sorgenti che generano i ruscelli che partecipano ai vari rami della Bormida. Ci sono infine i selvatici, ahimè poco selvatici, e quasi tutti importati dall’uomo, per diletto venatorio.

 

Più recentemente sono arrivati i trekker e i bikers: i primi sgambettano allegri accompagnati dai bastoncini d’alluminio che tintinnano sulle rocce, i secondi pedalano e sfrecciano per tutti i versi. Ancora più spettacolari nella versione downhill, in cui, mi dicono, si lancino a folle velocità in discesa, riportati poi in alto da un furgone apposito.

Si sono formate due correnti di pensiero: la prima è quella allineata e governativa, con molte sfaccettature e orientamenti, che però sostiene comunque che il bosco sia una risorsa, e come tale vada coltivata, fatta rendere, utilizzata. Sul come, naturalmente, si aprono le varie visioni di una politica troppo sbrigativamente materialistica o troppo romantica.

La seconda, minoritaria e misconosciuta, ma non per questo meno degna di attenzione, è quella dell’associazione Wilderness. Quest’ultima parte da un pensiero molto semplice, che mi permetto io di sintetizzare, sperando di non fraintendere il pensiero di Franco Zunino, presidente e portavoce dell’associazione: il bosco (la natura) non è una risorsa. O meglio: la parola risorsa, in questo contesto, non può essere applicata come di solito si usa in ambito economico. Il bosco va lasciato a sé stesso, in quanto organismo complesso, in grado di rinnovarsi e migliorarsi autonomamente. L’intrusione dell’uomo (non solo lo sfruttamento, si badi, ma anche solo la presenza immotivata) finiscono per portare danno, scompenso, fastidio. L’associazione propugna la natura selvaggia.


Quest’ultima posizione è assai affascinante, la trovo però complicata da mettere in pratica integralmente nei nostri boschi. Ho già avuto modo di parlare con Zunino in persona, proprio di questi argomenti. E mi par di capire che ci siano molte cose da approfondire e di cui discutere, in maniera ampia, aperta, senza preconcetti.

Wilderness è a favore della caccia, come attività umana antica e utile all’equilibrio scompensato dall’uomo. Così come (immagino) a favore del taglio del bosco, ma non indiscriminato e non come operazione unicamente puntata all’utile economico. Wilderness è contraria alle centrali eoliche posizionate in mezzo ai boschi. E in effetti, a pensarci bene, cosa mai ci sia di ecologico nel posizionare un colossale basamento di cemento armato e un elica in un bosco, proprio non si capisce…

Io credo che ci sia bisogno di ascoltare un punto di vista profondamente diverso, come quello dell’associazione Wilderness, smettendo, prima di tutto, di considerare il bosco una risorsa. Oppure di cambiare il senso della parola, riservandone l’uso solo all’ambito economico e industriale. Il petrolio è una risorsa. Il paesaggio e la natura, l’acqua, le rocce, l’aria, non sono risorse. Sono il nostro ambiente, la nostra nicchia ecologica (si chiama così?) la base nella quale vivere. Sottomettere questa base SOLO alle leggi di mercato non può che portarci alla rovina.

Sento già le critiche salire: eh, allora non si può andar nei boschi? Capisco in moto o col fuoristrada, ma neanche a piedi? Neanche in bici? Che danno fa la bici? Beh, si, il danno c’è, c’è sempre. Chi pratica discesa libera in bici sa che il sentiero che batte è una ferita profonda nel bosco, non diversa da quella che può fare una moto da cross.
Ecco, qui dovrebbe subentrare il buonsenso, su cui però investiamo davvero molto poco. Di tutta la nostra provincia, così boscata e così intricata di selve, tanto da essere chiamata la più boscata d’Italia, si può decidere con fermezza e chiarezza di riservare zone alla visione wilderness ed altre ad alcune aperture adatte per il turismo, la selvicoltura, l’escursionismo… Fra l’altro: abbiamo tanti boschi, qui, ma di scarsa qualità. Non tutti gli alberi hanno lo stesso valore (non solo valore commerciale eh!) e si stanno moltiplicando specie infestanti sempre di più come la robinia pseudoacacia o l’alianto. Non sono informato, ma spero che esistano dei piani di reintroduzione e diffusione delle essenze pregiate locali: faggio, acero, frassino, carpino, leccio, rovere, cerro, nocciolo, corniolo…

Vorrei concludere con un richiamo ancora al senso delle parole: l’ambiente naturale che ci circonda è patrimonio, e non risorsa. E il patrimonio è quella cosa con cui convivere e da lasciare in eredità ai figli. Noi, oggi, siamo pieni di noi stessi, ripiegati sul nostro stomaco e la nostra pancia. Cerchiamo di pensare al bosco come un’eredità, e non come le poche monete ritrovate inattese in fondo a un cassetto.  

 

 Alessandro Marenco

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