La polvere sotto il tappeto

La polvere sotto il tappeto
La raccolta differenziata è un’ottima cosa. 

La polvere sotto il tappeto

 La raccolta differenziata è un’ottima cosa. Riduciamo sensibilmente la quantità di rumenta da conferire in discarica e recuperiamo i materiali che possono essere riciclati, prima di tutto l’acciaio, il vetro, la carta. Poi anche la plastica che si può recuperare in modo forse non altrettanto redditizio.

Non bisogna dimenticare che riciclare un rifiuto vuol dire spendere una certa quantità di energia e di risorse: tanto per il recupero, lo stoccaggio; quanto per la rifusione e la riformatura di certi prodotti. Fondere rottame di vetro è meno dispendioso che fondere silice e altre materie prime. Ma non dover fondere niente in assoluto è ancora meno dispendioso…

La raccolta differenziata ha tutta una bella serie di detrattori, i quali sostengono essere “tutta una boiata”, oppure, più semplicemente, non hanno nessuna voglia di differenziare la loro personale produzione di rumenta.

Ci sono poi le anime belle che abbandonano nei pressi dei cassonetti di tutto e di più: ruote di trattore, elettrodomestici, calcinacci, mobili rotti. Questi fanno gridare allo scandalo tanto gli amministratori pubblici, che i cittadini civili e onesti, che sanno di pagare la tassa anche per quelli che non si occupano (o lo fanno male) della gestione dei propri rifiuti.


Unica arma per contrastare il fenomeno è aumentare la vigilanza. Per cui, oltre alle “normali” telecamere, ne saranno installate altre, un po’ dappertutto, per vedere dove, quando, come, ma soprattutto chi, getta via gl’ingombranti senza avvisare, incurante delle regole o degli obblighi.

Capisco la necessità di aumentare la vigilanza. È forse l’unica possibile. Ma è pure causa di un altro accidente, per ora irrisolto, poiché si trova lontano dai nostri occhi (e quindi, come direbbe Endrigo, pure lontano dal cuore).

Vago spesso, per lavoro, sulle strade delle nostre colline. Spesso attraverso zone coperte di boschi, abitate, quasi affollate, da caprioli, daini, volpi, cinghiali… Sovente, ai bordi di queste strade, asfaltate ma strette, ci sono delle piazzole di sosta. Piccoli spazi sterrati dove è possibile fermarsi e guardare l’alba, romanticamente. Oppure più prosaicamente risolvere altre incombenze fisiologiche. Sempre, dico sempre, ribadisco (e sottolineo: non qualche volta, proprio sempre) sempre: oltre al ciglio della piazzola si trova di tutto: principalmente sacchetti di rumenta. Spesso elettrodomestici, televisori, calcinacci, intrichi metallici rugginosi, una volta addirittura cartucce da caccia… Ad ogni piazzola, la sua bella quota di immondizia.

La normativa (giusta) sulla raccolta differenziata nelle aree urbane ha fatto sorgere questo tipo di soluzione per gli sfaticati o gli incivili: gettare tutto nel bosco. Queste persone sentono il bosco come terra di nessuno, per di più completamente inutile, inefficace: gettano le loro porcherie là perché sentono che in quel posto “non c’è niente”.

L’effetto delle telecamere che saranno installate aumenterà ancora di più questo fenomeno. Si moltiplicheranno le discariche casuali, invisibili, saranno sempre più pesanti e numerose. Figurarsi poi che bella figura quando, un turista di altra regione, o sia ancor più dall’estero, affascinato dal paesaggio, si dovesse fermare un attimo per goderselo: che vista magnifica! Sotto un cielo d’indaco con le ultime stelle alle spalle, riguardare il Grande Occhio che sta per sorgere, sentire il canto degli uccellini, respirare gli aromi che il bosco si porta dietro sempre diversi, ad ogni stagione. E poi di colpo rendersi conto che gli effluvi derivano da una montagna di materassi marci, da una catasta di pannoloni o di sacchetti squarciati da animali vaganti.


In linea di principio funziona sempre così: se in un ambiente circoscriviamo un settore e lo sottoponiamo a un’attenta vigilanza, il crimine, il delitto, il reato, la violazione, vengono commessi in altro luogo, spesso con maggior danno. Motivo per cui, in ultima analisi, le telecamere non servono a fare le città più sicure, servono solo a trovare dei responsabili. Che è poco: meglio evitare che si commettano i reati che non identificare i colpevoli DOPO che i reati sono stati commessi. La faccio ancora più breve: se mi uccidono, a me personalmente non me ne fregherà più niente sapere chi è stato ad uccidermi. Serve sapere che vivo in una città sicura, e anche fuori città non ci sono situazioni di rischio. Mi rendo conto che questo fa parte di un mondo ideale, ma è a partire dal mondo desiderato che possiamo costruire il mondo reale.

Che fare, allora? Come al solito la risposta è culturale, anche se più dispendiosa e lunga nel tempo. Non bisogna stancarsi di insegnare il senso civico, nelle scuole e, soprattutto, sui media. Occorrerebbe presenza di volontari non solo per il traffico, ma anche per vigilare su certi comportamenti: oggi si può fare molto con una macchina fotografica digitale, anche senza ricorrere a fermi o identificazioni immediate. Dall’altra parte occorre insegnare (ce lo siamo dimenticato, lo sapevamo, ma lo abbiamo perso) che il bosco non è “niente”. Prima di tutto è spesso di proprietà di qualcuno. In secondo luogo è un bene pubblico in ogni caso, anche quando è proprietà privata.

Alla fine, ma proprio alla fine di tutto, mi viene in mente ancora una cosa: la differenziata è buona, l’ho detto. Ma sarebbe anche cosa buona e giusta tornare a casa con la spesa SENZA qualche chilo di imballi inutili, senza enormi scatoloni colorati, o buste formate da elementi diversi, o cartonati con inserti di plastica, o bottiglie di plastica. Arrivare, ad esempio, ad avere un’ottima acqua dal rubinetto non è impossibile, magari non è neanche dispendioso. Però bisogna parlarne, bisogna che il sindaco si impegni su questi temi e che i cittadini lo ritengano un punto importante.

Ridurre la rumenta che produciamo si può. Magari ognuno dovrebbe fare la sua parte. Per gradi e senza stancarci mai: è un percorso in cui non si arriva mai definitivamente, sono piccoli passi, per avere un posto migliore dove vivere (e mica solo per i rifiuti…).

ALESSANDRO MARENCO

 

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