LA PANISSA (profumi di storia savonese)

LA PANISSA
(profumi di storia savonese)

LA PANISSA (profumi di storia savonese)

“ Dedico questo mio piccolo scritto alla memoria di Giovanna Besio, storica titolare della friggitoria di Vico dei Crema, che ci ha lasciato alla fine del 2013 “

 

L’ultima tipica friggitoria savonese si trova in Vicolo dei Crema, nel bel mezzo di un caruggiù, dove  la città sembra essere riuscita a fermare il tempo.

Una vecchia seggiola in legno lasciata fuori dal portoncino  d’ingresso segnala da quattro generazioni a noi savonesi che la bottega è aperta; non ci sono cartelli o insegne al neon, basta infatti farsi guidare dall’olfatto  e seguire il profumo intenso e inconfondibile del fritto.

Per poi trovare i muri piastrellati di bianco, le specialità del giorno scritte a mano in dialetto, il banco in marmo e l’enorme pentola colma di olio bollente, due donnine sorridenti che indossano grembiuli a scacchi intente a servire panissa, fette e friscùe di verdura o baccalà.

In pochissimi metri quadri anche il turista di passaggio più disattento potrà  riuscire a cogliere, nascosta dietro quei profumi e quei sapori, l’importanza e la semplicità delle nostre tradizioni, quelle radici troppo spesso dimenticate e guardate con diffidenza, come se avessimo paura di riconoscere l’umiltà e e la povertà di un passato  che invece ci rendeva speciali, differenti, non omologabili.

La panissa è figlia della farina di ceci.


panissa fritta

Alimento sostanzioso e proprio per questo per molti decenni diffuso soprattutto tra le classi meno abbienti, si prepara in pentola come una polenta.

Fino agli anni settanta rappresentò il tipico pranzo frugale degli operai, dei portuali e degli studenti, gustato generalmente nelle osterie che di questa portata si facevano vanto.

Non conosciamo con certezza l’origine del suo nome.

Di un “panicum“ parlava  Bonvesin de la Riva verso la fine del duecento; il nome deriverebbe dunque dal panico, cereale largamente diffuso  tra gli strati più umili della popolazione  settentrionale  da ben prima dell’anno mille.

Scomparso il cereale il nome invece rimase, a testimoniare probabilmente  l’importanza che questo alimento rappresentò per noi liguri, specie nei momenti della storia in cui arrivava la sera  e non si sapeva cosa mettere nel piatto.

Il cambiamento dei costumi anche dal punto di vista alimentare  dell’immediato dopoguerra e l’improvviso benessere  che interessò la nostra popolazione all’inizio degli anna sessanta  l’avevano messa un po’ da parte, facendola scivolare  verso un periodo di crisi profonda; dimenticata dai giovani che  scoprivano altre mode , l’umile panissa ebbe però la forza di risollevarsi, fino a prendersi la sua meritata rivincita in tempi più recenti.

Lo ha fatto lentamente, comparendo timidamente prima negli spuntini, poi accompagnando gli aperitivi più raffinati , pure nei ristoranti servita fritta oppure con le cipolle, col porro o le noci, stupendo e sorprendendo i palati più esigenti e riuscendo infine  a rilanciarsi come cibo da passeggio per eccellenza.

La si può consumare ancora calda,tagliata a tocchi, condita con poco olio, sale, pepe e limone, accompagnata da cipollotti crudi od un po’ di insalata; e poi fritta, si deliziosamente fritta, dopo averla  tagliata a fette sottili, ma non troppo.

A Savona le “ fette “ vengono servite ben cosparse di sale anche dentro le “fugassette“, una sorta di pane arabo aperto a metà e farcito ( imbuttiù ) fino quasi a rompersi.

A me la retorica non è mai piaciuta, ma quando ci sono giorni in cui sento il desiderio di sentirmi davvero a casa entro in quel vicolo, faccio pochi passi e incredibilmente alle mie narici arriva  lo stesso identico profumo di quand’ero bambino, e negli occhi di quei ragazzini in coda con pochi spiccioli in mano rivedo un po’ me stesso.

 RICETTA

Farina di ceci, acqua, cipolla, succo di limone, olio di oliva, sale, pepe.

Bollire l’acqua. Nel frattempo far rosolare la cipolla affettata grossolanamente.

Versare quindi poco a poco la farina di ceci, rimescolando lentamente come si procede con la polenta, per circa un’ora a fuoco basso e facendo attenzione a che non si vengano a creare dei grumi.

Verso fine cottura aggiungere il succo di limone, il sale, il pepe, poco olio e la cipolla a fette.

La panissa sarà pronta appena si staccherà dalle pareti della pentola; a questo punto versarla ancora calda in profondi piatti portata e servirla con pepe o aceto, cipolle fresche e rosmarino, oppure lasciatela raffreddare  fino a che non sia diventata ben soda e poi tagliatela a fette più o meno sottili secondo i gusti e friggetela in abbondante olio bollente  fino a che  non siano divenute croccanti.

Suggerisco di accompagnare questa delizia con un buon bicchiere di vino bianco fermo, naturalmente delle colline savonesi: Lumassina, Vermentino o Pigato.

ALESSANDRO SCOTTO


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