La nuova frontiera della sinistra agonizzante…

La nuova frontiera della sinistra agonizzante: dalla fabbrica alla camera da letto

La nuova frontiera della sinistra agonizzante:
dalla fabbrica alla camera da letto

 Diritti che passione

Dobbiamo diffidare di chi parla troppo di diritti. Non lo dico io; lo diceva un secolo e mezzo fa Giuseppe Mazzini rivolgendosi agli operai che ammoniva più o meno in questo modo: quegli stessi che per decenni hanno rivendicato il vostro diritto al benessere, alla libertà, alla felicità, fossero gli aristocratici pentiti della Grande Rivoluzione o i professori paladini della giustizia sociale, hanno contribuito a peggiorare la vostra situazione. Siete più infelici oggi di quanto eravate ieri, più schiavi e più strettamente incatenati da quando vi è stato promesso di spezzare le vostre catene e di rendervi liberi. 


Profetiche le parole del vecchio rivoluzionario, se si guarda a quanto accaduto in Italia dal 1945 ad oggi, da quando il Paese è caduto nelle mani del più forte partito comunista dell’occidente e del più agguerrito sindacato rosso. I difensori del lavoro il lavoro lo hanno distrutto, i difensori della classe operaia si sono rivelati al soldo dei padroni quando non essi stessi i padroni (vedi la tessera n. 1 del Pd). Le chiacchiere e gli slogan non sono stati semplicemente fumo ma sono serviti a coprire intenzioni opposte rispetto a quelle dichiarate. È accaduto così che i lavoratori più tutelati del mondo il lavoro lo hanno perso e se non l’hanno perso è servito loro per sopravvivere in una lotta continua con le bollette, l’affitto, i costi per gli spostamenti in città nelle quali è impensabile muoversi a piedi. Si vive per lavorare – quando va bene – e si lavora per sopravvivere. I servi della gleba non stavano peggio.


È rimasta la Camusso a parlare di diritti riferendosi alle condizioni dei lavoratori e sembra una voce proveniente dal passato perché la sinistra ha messo in cantina non solo Marx ma anche il lavoro. Se si bada a quello che ha combinato non è una gran perdita. Ma questo non si significa che da quelle parti non si parli più di diritti. Al contrario, dai talk show alle colorite piazzate con sventolio di bandiere arcobaleno, dalle dichiarazioni allarmate dei pensatori ufficiali di regime (sarà dura abbatterlo il regime, anche con un governo populista) alle urla scomposte delle menadi del partito (ormai partitino), ci viene quotidianamente imposto il dramma di diritti già acquisiti e ora messi in dubbio (non è vero ma si dice lo stesso) e di altri rimasti nel cassetto da rivendicare con minore probabilità di successo. Ma di quali diritti si tratta? Il matrimonio fra omosessuali (o trans o bi o come capita capita)? No davvero: quando un uomo e una donna si sposano nessuno chiede loro verso quale oggetto sia indirizzata la loro libido; si tratta, più correttamente, del matrimonio fra due uomini o fra due donne. Nella nostra storia c’è un precedente illustre: il matrimonio di Nerone col giovinetto Sporo. Peccato però sia stato motivo di dileggio per i contemporanei e per gli storici che se ne sono serviti per distruggere la reputazione di un principe che aveva non pochi meriti.


Il diritto di un uomo di fare figli evitando il commercio carnale con una donna? O quello di una donna di concepire senza contatti col maschio? Se la questione riguarda il concepimento ed è in gioco l’invidia del maschio nei confronti del pancione della femmina temo che allo stato attuale della tecnologia medica ci si debba accontentare della finzione cinematografica con Mastroianni in dolce attesa; se riguarda la famigliola necessariamente sterile di due uomini o due donne senza un contributo esterno non vedo come possa essere soddisfatto il bisogno di accudire la propria prole. L’istituto dell’adozione è in sé una cosa più seria ed ha originariamente una doppia base, affettiva e di convenienza economica, alla quale sarebbe il caso di tornare. Ampiamente praticato nell’antica Roma, può essere esteso a singoli uomini e a singole donne o a uomini e donne solidali fra di loro.  Il diritto di adottare è sacrosanto e se le leggi vigenti non lo garantiscono appieno vanno cambiate; ma se si fa passare per un diritto quello di generare bisogna che ci si rivolga più in alto, molto più in alto. E, a proposito di diritto alla genitorialità: com’è che se uno è povero o troppo su con gli anni rischia che gli piombi in casa un’assistente sociale che lo porta davanti al tribunale dei minori e gli toglie i figli? Capito? Non è che se la zelante operatrice sociale avverte una condizione di difficoltà sollecita interventi per porvi rimedio: elimina il problema alla radice. C’è qualcosa che non torna col sostegno alla famiglia e alla natalità e soprattutto stride con la difesa del diritto alla genitorialità anche quando questa è impedita dalla natura.

Allarghiamo un po’ la visuale


Una delle maggiori conquiste della civiltà umana è la distinzione fra pubblico e privato. La manifestazione esteriore del privato è la casa; la sua dimensione giuridica è la proprietà, che si esprime in prima istanza ne possesso di sé, vale a dire della propria libertà e inalienabilità, e secondariamente nel possesso di beni. Le categorie del ritiro, della riservatezza, dell’intimità ne definiscono il dominio mentre la famiglia ne rappresenta l’espansione sociale e il nucleo intorno al quale di costituisce il complesso dei rapporti con l’altro, la società civile e lo Stato.  Ci si può perdere in discussioni oziose sulla bontà del punto di vista hegeliano, che assegna allo Stato, come oggettivazione dello Spirito, una funzione fondante delle norme che regolano la società civile e di conseguenza la famiglia e le garanzie per il singolo individuo; punto di vista opposto rispetto a quello di quanti sostengono l’origine contrattualistica dello Stato e l’originarietà della famiglia che si sviluppa nel clan. Non credo che ne valga la pena. Quel che conta è il dato storico che contrassegna con la nostra tutte le culture evolute ed è concettualmente risolvibile nella distinzione, non necessariamente polemica, interno-esterno, entrambi forniti di propri codici, di propri valori e soggetti a trasformazioni relativamente indipendenti e con ritmi differenti. In generale si può riconoscere che la famiglia è più resistente ai mutamenti sociali e questi ultimi sono più resistenti ai mutamenti politici. Nella nostra storia recente c’è stata un’imponente trasformazione strutturale della famiglia correlata con i cambiamenti avvenuti nell’economia agricola, nel rapporto fra economia agricola e manifatturiera, all’interno dell’economia manifatturiera; cambiamenti che hanno determinato massicci spostamenti dalle campagne alle città e hanno prodotto una rivoluzione nella struttura della famiglia. Ma gli sconvolgimenti politici dell’Italia nella prima metà del secolo scorso hanno in qualche modo contribuito a quella rivoluzione? Per niente. Hanno provocato qualche aggiustamento sociale, come accade anche con le innovazioni tecnologiche, ma l’evoluzione della famiglia ha seguito vischiosamente un proprio corso, più sensibile oltre che, ovviamente, agli sconvolgimenti economici, alle pressioni culturali che a quelle politiche.

 

L’interno, insomma, rimane relativamente riparato e protetto rispetto alle istituzioni esterne. Lo Stato, come per tanto tempo è accaduto in America, può essere democratico o liberale mentre la famiglia rimane autoritaria. Allo stesso modo lo Stato può essere nazista o fascista ma la famiglia non per questo diventa fascista o nazista. E tutto ciò che compete alla famiglia, e, più in generale, al mondo interno o all’individuo, una società evoluta lo mantiene gelosamente al riparo dall’invadenza dello Stato. Questa è forse la più preziosa eredità della tradizione classica. L’avvento del cristianesimo ha creato una falla in questo sistema di reciproca impermeabilità, ha imposto norme e valori esterni, potremmo dire totalitari, in particolare nella sfera sessuale, che l’evoluzione del costume ha in parte metabolizzato e in parte respinto ma comunque sottratto a controlli esterni.

In sintesi: fatto salvo il rispetto del codice penale in casa propria ognuno vive come meglio gli aggrada, instaura nella maniera che gli è congeniale rapporti con quelli che condividono la sua intimità, che siano il coniuge, i figli o altri conviventi. Certo deve rispettare le leggi che impongono di garantire ai figli l’istruzione e, in quanto ne esercita quello che nel diritto germanico era il mundio, deve provvedere al mantenimento e alla salute dei minori sotto la sua tutela. Ma i suoi gusti alimentari, le sue preferenze sessuali, come le sue letture e le sue opinioni sono affari suoi. Dirò di più: per quanto consideri aberrante la pedopornografia, se questa serve solo ad alimentare fantasmi e fantasie di un depravato che non commette reati, non rende pubblica la sua depravazione, non partecipa attivamente alla rete e non fa proselitismo né cerca di adescare bambini, non vedo dove sia il reato e solo uno Stato di polizia può permettersi di violare il suo interno, casa, libri, foto o computer che siano. Il reato è di chi i filmati li produce e li mette in rete o contribuisce a diffonderli, non di chi li va a guardare (altrimenti bisognerebbe incriminare anche i turisti a bocca aperta davanti a certi mosaici di epoca romana).


Purtroppo si fa presto ad abituarsi alla sopraffazione e alla limitazione della libertà, che è sempre una violazione dell’interno da parte dell’esterno. Ho letto con sgomento sui nostri giornalacci che a carico di  Traini, quello degli spari e dell’omicidio di Macerata, c’è anche il rinvenimento a casa sua di una copia di Mein Kampf. Siamo al delirio. Nella mia biblioteca ci sono almeno due copie di quel testo, e non ci sono per ornamento ma perché, come studioso e come docente, lo conosco perché l’ho letto come ho letto le cose di cui mi capita di parlare o che ho preteso di comunicare ai miei studenti. Ci mancherebbe che uno esprimesse un giudizio sui Prolegomeni senza averli letti o condannasse come vaneggiamenti di un pazzo il diario di Hitler senza averlo mai sfogliato. 

Quindi, attenzione. Una volta chi voleva leggere il Contratto sociale lo doveva rimpiattare o mimetizzare con una falsa copertina, se in casa di qualcuno si trovava uno scritto del Divino Marchese rischiava più che se avesse detenuto un esplosivo. Niente è mai acquisito definitivamente e i tempi bui possono sempre tornare. Se uno in casa sua vuol leggere porcherie, padrone di farlo. Perché se gli si impedisce si introduce un principio e domani potrà essere un reato leggere Mein Kampf o il Manifesto di Marx. Questo per le letture e le private fantasie e perversioni. Ma che dire dell’incesto, se riguarda gli adulti? Può lo Stato spingersi a controllare fin dove arriva l’amore fra due fratelli? Qualcuno ricorda il pur effimero successo di Françoise Sagan con Bonjour tristesse? Vogliamo legalizzare questo amore?

 

Rispettiamo il privato. Ma non pretendiamo che le private libertà, che per qualcuno possono essere privati vizi, divengano pubblici diritti o addirittura stili di vita obbligatori. Come condanno la pretesa dello Stato, o della Chiesa, di intromettersi nel privato, altrettanto condanno la pretesa del privato di diventare pubblico, come la dantesca Semiramide “che libito fé licito in sua legge”. Trovo stupido e grottesco sbandierare l’omosessualità e farne oggetto di diritto.  Nessuno dotato di buonsenso, almeno nella nostra cultura, pretende che l’omosessuale abbia vergogna della propria condizione e debba dissimularla. Ma che si arrivi a costituire una lobby LGBT, che si pretenda di abolire paternità e maternità, che si debba usare al plurale la parola famiglia per segnalare che i medesimi diritti spettano alle coppie (o alle triplette) omo, bi o trans sessuali è segno del disorientamento in cui versano ambienti che purtroppo sono in grado di influenzare i media e la politica. Andrebbe intanto ricordato che i diritti della famiglia (diritti per altro puntualmente conculcati) hanno la loro giustificazione nel concepimento e nell’allevamento dei figli, vale a dire nella garanzia della continuità della società. La famiglia, insomma, svolge un servizio sociale mentre una coppia di omo bi o trans sessuali non svolge alcuna funzione sociale e, pertanto, la società non è tenuta a provvedere alla sua tutela. In soldoni: la convivenza in sé è una faccenda privata che in linea di principio niente impedisce che venga normata attraverso un contratto garantito dallo Stato, come accade con qualunque società. Ma lo Stato si limita a farsi garante di quel contratto, non può assumersi degli obblighi o degli oneri che pesino sulle tasche dei cittadini. Questo vale per il fisco, per le case popolari, per la successione. E, per concludere, un plauso all’amore, in tutte le sue forme, come ha dichiarato il grillino Petrocelli rispondendo ad una domanda provocatoria sulle unioni civili, ma, per carità, non li mettiamo in piazza i sentimenti: restino materia per poeti e romanzieri non per politici e giuristi. 

   Pier Franco Lisorini

 Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione

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