La luce e il buio

LA LUCE E IL BUIO
“Non si deve temere la luce del sole con la scusa che è servita quasi sempre a illuminare un mondo miserabile” (René Magritte)

LA LUCE E IL BUIO
“Non si deve temere la luce del sole con la scusa
che è servita quasi sempre a illuminare un mondo miserabile”
(René Magritte)

 Chi ha paura della luce? Evidentemente chi ha qualcosa da nascondere; non per niente i ladri, gli assassini, i lenoni, i fraudolenti, i falsari, gli adulteri, i malversatori, i truffatori, i barattieri, i profittatori d’ogni risma, i corruttori infingardi e i concussi conniventi e, insomma, tutti coloro che hanno bisogno delle tenebre per compiere i loro misfatti, illudendosi di non essere visti da nessuno e che agiscono etsi Deus non daretur, preferiscono le tenebre alla luce.


 

Ma siamo sicuri che sia ancora oggi così? Chi agisce di nascosto e segue le coperte vie anziché quelle legali e, appunto, alla luce del sole, per lo meno sa di commettere peccati o reati, e sa inoltre che, se non dalla propria coscienza, le sue azioni verrebbero giudicate indegne dalla coscienza collettiva della comunità alla quale appartiene. Già, ma se la comunità alla quale il singolo malfattore appartiene fosse una comunità di malfattori, o, per la precisione, una associazione per delinquere, cadrebbe del tutto il timore di venir mal giudicato, riprovato, condannato  e quindi escluso dal consorzio civile, con la conseguente perdita dei diritti che la  polis  garantisce ai cittadini onesti (o ai disonesti che hanno pagato il loro debito alla giustizia). Anzi, il singolo che si comportasse onestamente in una comunità di disonesti, infrangendo quindi il foedus sceleris della cosca o del mandamento di appartenenza,  sa a che cosa va incontro  e che cosa rischiano i suoi familiari: è noto che la malavita ha le sue leggi non scritte, molto più rigorose e spietate di quelle scritte nel codice penale della nostra Repubblica. Che cosa dedurne?


 

Che onestà e disonestà sono concetti relativi? Che non esiste un male che, in determinate circostanze, sia un bene, e un bene che in determinate circostanze sia un male? Oppure che ci sono leggi non scritte nei codici ma scolpite nella coscienza di ciascun essere umano, tanto che, chi le infrange, ne prova vergogna e rimorso indipendentemente dalla sanzione sociale o giuridica? Prendiamo un serial killer che continua a uccidere finché non viene arrestato dalla polizia, se non si è fermato dopo il primo delitto, vuol dire che la sua voce interna gli ordinava di cercare altre vittime. 

E che dire della voce interna di quei gerarchi nazisti che, su ordine di Hitler, hanno pianificato la cosiddetta “soluzione finale della questione ebraica”? O di quei militari americani che hanno deciso di sganciare due bombe atomiche sulla popolazione civile giapponese? Non sarà che la “voce della coscienza” sia soggetta a troppi condizionamenti e a troppe variabili per essere assunta quale criterio universale per discernere ciò che è bene da ciò che è male in assoluto?


Ma se non possiamo basarci sulla voce della nostra coscienza per stabilire ciò che è giusto e ingiusto, lecito e illecito, onesto e  disonesto,  coraggio e  viltà,  virtù e  vizio,  buono e  malvagio, degno e indegno, o persino  decente e indecente, a quale altra voce chiederemo consiglio? I credenti hanno una risposta: se il fondamento della legge morale fosse soltanto umana non potremmo uscire dal relativismo e dal soggettivismo: quel che per me è bene potrebbe essere male per te, e viceversa; dunque, se non si vuol rimanere in questa aporia  senza soluzione non rimane che appellarsi alla Legge divina. La quale, però, dovrebbe valere per tutti e per ciascuno, per i credenti e per i non credenti, per i cristiani e per i musulmani, per i buddhisti e per gli shintoisti, per gli scienziati e per i filosofi, per i Cresi e e per i poveri Cristi, per i consacrati e per i laici… Sarà mai possibile? Forse sì, sempre che il diavolo non ci metta la coda, anche alla luce del sole…

Fulvio Sguerso

 

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