La lotta francese e l’immobilismo…

LA LOTTA FRANCESE E L’ IMMOBILISMO
ITALIANO E SAVONESE

 La gendarmeria francese presidia.

La gendarmeria francese presidia per impedire altri blocchi sulle raffinerie e su questo grande pezzo di Francia che lotta. «Non credete a questa menzogna del progresso! Vi siete fatti fregare, voi italiani.-dicono alcuni operai- Non faremo lo stesso. Questa legge sulla flessibilità del lavoro è un ritorno al passato, vogliono togliere di mezzo il sindacato e disporre dei lavoratori a piacimento. Lo chiamano futuro, ma è una nuova forma di schiavitù».   

Roger Lamur, segretario generale della Cgt, principale sindacato francese, racconta «Erano le quattro e mezza del mattino quando sono arrivati con elicotteri, droni, cannoni ad acqua. Era ancora buio. Non hanno detto nulla e hanno iniziato a sparare. Sembrava la guerra».  

 Da ventiquattro ore, cinquecento metalmeccanici, chimici e portuali, impedivano ai camion di distribuire il carburante, così il governo ha deciso di intervenire, costringendoli a rifugiarsi nella sede del sindacato sotto assedio, con tutte le uscite bloccate e tenuti prigionieri per due ore.  «Questa la chiamano democrazia!», tuona Lamur.

Non può essere un caso che sia successo proprio in quella zona della Francia dove, nel 1968, vennero bloccate le raffinerie Toy-Riont, quando 15 operai su 300 riuscirono ad occupare e bloccare l’impianto per una settimana. «Siamo una città che ha pagato sulla sua pelle ogni singola conquista sindacale e non torneremo indietro» aggiunge Roger Lamur. 

 I francesi l’hanno capito, la precarietà serve a renderci tutti soli e merce per chi governa.

Cosa non va in questa nuova legge sul mercato del lavoro, uguale a quella italiana ?

 «Tutto non va» dice un operaio. «Ci possono licenziare a piacimento. Possono obbligarci a fare quanti straordinari vogliono, pagandoli di meno. Non garantiscono più la stessa assistenza sanitaria ai lavoratori. Ma la cosa più grave è che hanno imposto questa legge in totale disprezzo della democrazia, tagliando fuori il Parlamento».  

 I giornali e i telegiornali italiani parlano poco o nulla  di queste straordinarie manifestazioni, se non per citarne i disagi.

Noi italiani abbiamo perso l’abitudine ad agitazioni che possano creare disturbo e questo è successo proprio con l’accordo dei sindacati. Se si fa sciopero deve accadere per poche ore e in periodi che non disturbino il Paese.

 Anche i media francesi, però, parlano in modo terroristico di blocco del Paese( bisogna andare sulla rete per sapere la verità) e lo fanno in modo strumentale soprattutto sul blocco delle raffinerie, perché il governo ha riserve di carburante per due mesi, ma preferisce lasciare il caos in modo da mettere la gente contro il sindacato. Prima il caos, poi la guerra. Ecco la strategia del governo francese, proprio come ordina l’Europa.   

E in Italia?

Mentre il sindacato francese sta facendo una dura e ferma opposizione al governo “pseudo-socialista” di Hollande , quello italiano con le stesse problematiche se non più gravi, diretto dalla Camusso, molto diversa da Lamur,  è intento a fare pastoie consociative in una negoziazione infinita e drammatica  per i lavoratori e per le dinamiche politiche di un’ Italia inebetita e distratta, tutta presa da campagne elettorali di amministrative e referendarie, mentre i poteri finanziari che manovrano i governanti europei continuano imperterriti a tessere i loro progetti.

Il sindacato italiano ha dimenticato la lotta, quella vera, mentre il Jobs Act è diventato  operativo senza i fantomatici risvolti  assicurati dal Governo, soprattutto sulla disoccupazione giovanile che è cresciuta e precarizzata ulteriormente.

Oggi il sindacato italiano, a giochi fatti, promuove la raccolta- firme “contro”, dimenticando che il sindacato ha avuto e ha un altro ruolo e altro peso, ben diverso da un partitino a cui non resta altro che raccogliere firme.

 Ancora una volta sono i francesi e farci una lezione di come si lotta per affermare e mantenere i diritti, perché in Francia il popolo esiste ancora, è formato da cittadini e sindacati che controllano le operazioni del governo, pronti a contestarne l’illegittimità o a tentare di far ragionare l’esecutivo sulle conseguenze che i contribuenti francesi non vogliono di certo pagare sulla loro pelle.

 Il Jobs Act francese, la discussa riforma del lavoro che con quella italiana condivide i punti essenziali tra cui la maggiore flessibilità è sufficiente a far scattare rivolte, scioperi e proteste ormai a cadenza quotidiana, con l’obiettivo di far ripensare il governo alla riforma, come già successo anni fa per altri tipi di “riforme” non gradite.

 Il governo francese, per perseguire il suo obiettivo ha addirittura sfruttato un articolo della Costituzione allo scopo di scavalcare il consenso o il dissenso del Parlamento perché come dice il primo ministro Manuel Valls, “governare significa anche chiudere il confronto quando è il momento”. Stesso concetto espresso, più volte, dal “nostro” Renzi, ma la Francia tutta ha risposto con manifestazioni praticamente giornaliere, scioperi e rivolte.

I francesi sanno come fare, loro.

All’affermazione di Valls che ha dichiarato di non poter accettare ricatti sul carburante, la Cgt ha risposto decidendo per lo sciopero nelle otto raffinerie francesi, invocando il ritiro della riforma del lavoro e soprattutto una “generalizzazione dello sciopero ovunque nel Paese”, appello subito raccolto dal sindacato dei ferrovieri, dell’aviazione civile e dei dipendenti della centrale nucleare di Nogent-sur-Seine.

Qualche crepa nell’inflessibilità del governo comincia già a vedersi e c’è già chi è pronto a scommettere che prima o poi cederà.

Se lo sciopero è considerato un ricatto, allora questo sancisce la fine della democrazia francese, si dichiara da più parti.

 Al Senato il voto è previsto per metà giugno ma nel Paese, un ultimo sondaggio dice che due francesi su tre vorrebbero il ritiro del testo di legge. Alle manifestazioni si uniscono gli scioperi e sono scesi in campo i camionisti contro un articolo che prevede di abbassare il compenso per gli straordinari dal 25% attuale fino al 10%. Nei salari dei camionisti il peso degli straordinari è importante e quindi temono che il datore di lavoro ne approfitti e tagli i costi .

A Parigi e a Nantes, la Prefettura ha vietato ad alcuni militanti di partecipare ai cortei: in particolare (Movimento inter-lotte indipendente) e dell’Afa (Action Antifasciste), il Prefetto, Michel Cadot, evocando l’applicazione dell’articolo 5 dello stato d’emergenza, proibisce la loro presenza nel corteo.

Anche a un fotografo professionista è stata proibita la partecipazione al corteo di Parigi mentre l’avvocato che lo difende accusa la Prefettura di attentato alla libertà di stampa.

Parallelamente, come ulteriore atto di protesta, si propone di redigere The NoList, una lista delle società multinazionali che vengono giudicate come non rispettose dei diritti del lavoro, della salute e dell’ambiente tra cui Coca Cola e McDonald’s.

  Decimo giorno.

Decimo giorno consecutivo di protesta dei francesi delle “notti in piedi”, un movimento nuovo e imprevedibile.

Non più  sessantottino, neppure quello del 2006 anti- CPE e  nemmeno quello gli “ indignati” ma un movimento che ha moltiplicato i luoghi delle proteste – le piazze, i licei, le stazioni, le università, i porti, i boulevard, qualche fabbrica e i marciapiedi di fronte ai commissariati.

Foto di Jean Segura e Alhil Villalba  dell’ultima settimana. 

Francia- Italia.

Bisogna ammettere che, ancora una volta, gli “antipatici” cugini francesi, fanatici nazionalisti, ci danno una lezione di democrazia. Gli italiani continuano a mostrarsi divisi, asserviti agli interessi di parte, intenti a perseguire propri, inesistenti e meschini opportunismi, perdendo di vista l’aspetto unitario della lotta.

Basta osservare le campagne elettorali per vedere faziosità, odi e divisioni all’interno dei partiti stessi, ricerca di nemici all’interno degli stessi movimenti o gruppi che non riescono a mostrasi uniti nemmeno quando hanno la stessa idea, lo stesso emblema, lo stesso simbolo.

Eppure anche i francesi sanno che la vittoria sull’Economia del Debito senza Sovranità Monetaria non è assicurata, ma lotta di trincea continua in modo unitario, col sindacato in testa come protagonista a fare la sua parte.

Sui social di questi giorni , qualcuno sostiene incredibilmente che noi italiani siamo più avanti della piazza .Indiscutibilmente siamo stati più avanti nello sperimentare il fallimento di questa politica imposta non solo dall’Europa che fa e fa fare i compiti. Il Jobs Act, la riforma della  Scuola, il decreto Sblocca Italia, la privatizzazione dell’acqua pubblica, la riforma e smantellamento della Costituzionale a colpi di maggioranza, per non parlare delle tristi  vicende legate ai poteri finanziari e alla perdita di pezzi di industria.

“ Da 10 anni siamo sotto la media europea del Pil pro capite. La produttività non cresce. Si allarga la forbice dei redditi fra ricchi e poveri, nord e sud, vecchi e giovani. Cresciamo la metà dell’Europa. Le banche sono indotte a non mettersi a disposizione dell’industria ma a servire loro stesse, e a drenare il risparmio di cittadini che, tra l’altro, si sentono indifesi dalle prepotenze. Pare che serva la laurea in economia per entrare in banca. Il nostro sistema industriale non vede chiara la prospettiva, si indebita solo a breve termine, quindi non investe sul futuro. I consumi balbettano, la spesa alimentare si contrae”. […] “Decidiamo il ruolo futuro dell’Italia. Il Made in Italy non può essere solo la moda o il cibo di qualità. È un saper fare in tutti i settori. Non possiamo certo rinunciare alla siderurgia o alla chimica o all’automobile. Bisogna pensare a cosa fare in 10 anni, non in 10 mesi. Il governo chiami i sindacati, le imprese, le banche e proponga un patto per il lavoro e la produttività“.

 Lo dice Pier Luigi Bersani.

E a Savona?

Dopo l’ultima delle numerose crisi aziendali, quella della Piaggio Aerospace, ora arriva anche l’ultimo colpo all’industria savonese: la Bombardier di Vado Ligure non si è aggiudicata la gara per i treni regionali di nuova generazione.

 L’ appalto era decisivo per il futuro dello stabilimento di Vado Ligure.

 L’azienda ha comunicato alle organizzazioni sindacali di essere arrivata terza su quattro concorrenti nella gara di Trenitalia per il trasporto regionale.

Un duro colpo per tanti lavoratori che attendevano una vittoria per i treni a trazione distribuita che avrebbe garantito la sicurezza occupazionale per il futuro.

 Ora invece, come capita spesso nel savonese, tutto è a rischio e in una  assemblea dei lavoratori si è deciso all’unanimità una iniziativa di sciopero, di 8 ore, con corteo e manifestazione.

Ma quali sono le motivazioni che vedono, ancora una volta, la Bombardier  sconfitta in una gara importante come questa, mentre in altri Paesi come Francia e Germania la Bombardier le gare le vince?

Questa domanda varrebbe uno sciopero ad oltranza sostenuto dai cittadini tutti.

Trovare soluzioni che tengano  conto delle capacità e dell’esperienza dei lavoratori, 600 più 400 dell’indotto, che hanno sempre garantito al gruppo Bombardier bilanci positivi e hanno saputo in pochi anni diversificare le attività raggiungendo parametri di qualità e tempi di consegna eccellenti su tutti i prodotti.

Situazione diversa dalla Tirreno Power, con storia giudiziaria e mal gestione dell’azienda alle spalle, i cui lavoratori  necessitano, pur urgentemente, di altro tipo di risposte.

I sindacati proclamano 8 ore di sciopero e lo indicono per il 31 maggio, non di lotta ma per  sollecitare un incontro che dichiarano già ufficialmente richiesto, con  il management del gruppo Bombardier, dove si spera si siedano anche  i referenti politici e non si parli dell’ennesima cassa integrazione, ma di futuro di un’azienda e di un territorio.

   ANTONIA BRIUGLIA

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