La leggenda dei Re Magi

La tradizione è ciò che può
non essere mai stato,
ma che avrebbe potuto essere, e che
forse potrà ancora essere
Rodolfo Quadrelli

Giotto, Cappella degli Scrovegni, Padova, 1305 ca. Affresco. Come in ogni altro dipinto dell’Adorazione, i tre Magi rappresentano le tre età dell’uomo: giovinezza, maturità, vecchiaia e le razze dei 3 continenti allora conosciuti; ma il Baldassarre di Giotto non è africano, come invece rappresentato in tutti i dipinti che seguirono 

Approssimandoci al Natale, voglio astrarmi, e astrarre chi mi legge, dalle pene quotidiane e immergermi nella bella favola dei Re Magi, se non altro per la profusione di opere d’arte che essa ha promosso nei secoli, concentrandomi su quello che io considero il secolo d’oro, il XV, per il numero di artisti che, specie in Italia, ha fatto emergere in tutti i campi, dalla pittura alla scultura all’architettura. Nella pittura, la leggenda dei Magi ha fornito l’estro a numerosi artisti di dar prova del proprio talento, su richiesta di altrettanti committenti, non solo religiosi.

 

Sandro Botticelli, Galleria degli Uffizi, Firenze, 1475 ca. Dipinto a tempera su tavola. Alla stalla o grotta il pittore ha preferito un rudere romaneggiante e una tettoia di fortuna  

L’adorazione dei Re Magi prende spunto dal solo Vangelo di Matteo (quello di Luca parla dell’adorazione di generici pastori) e non ne precisa neppure il numero, poi stabilito dalla Chiesa nel numero di tre: Melchiorre (dai tratti europei, in età avanzata), Gaspare (orientale, in età matura), Baldassarre (il più giovane, africano). Essi provenivano da un vago Oriente, seguendo una stella cometa che li avrebbe guidati fino a Betlemme, dove sarebbe nato il Re dei Re: Gesù Bambino. Il termine Magi sembra avere il significato di sapienti, ed è altrettanto vago sulle loro terre d’origine. 

La marcia dietro un segno divino di questi tre Re, col loro numeroso seguito, ha acceso per secoli la fantasia popolare, finché si verificò un evento che sembrò replicare quel favoloso racconto evangelico. 

 

Filippino Lippi, Galleria degli Uffizi, Firenze, 1496. Dipinto a tempera su tavola. Si noti la molteplicità dei colori, profusi sull’intero dipinto e la minuziosa attenzione al paesaggio di sfondo  

Nel 1054 si era verificato lo Scisma d’Oriente, che spaccò la Chiesta cristiana in cattolica e ortodossa. Nei secoli che seguirono si intensificò la minaccia turca, che erodeva sempre nuovi territori all’Impero Bizantino fino alla sua capitale Costantinopoli (o Bisanzio).

Fu grazie allo sforzo diplomatico di personaggi come il pontefice Eugenio IV, il cardinal Bessarione e Giorgio Gemisto Pletone, nonché alla situazione disperata di Costantinopoli, coi turchi quasi alle porte, che ebbe luogo il Concilio di Ferrara-Firenze nel 1438-39, alla presenza di una cospicua presenza di delegati della Chiesa Ortodossa e dell’Impero Bizantino, capeggiati rispettivamente dal patriarca Giuseppe II e dall’imperatore Giovanni VIII Paleologo.  

Domenico Ghirlandaio, Galleria dello Spedale degli Innocenti, Firenze, 1488 ca. Dipinto a tempera su tavola. La prospettiva è accentuata dalla veduta dello sfondo attraverso il ciborio, elegante trasformazione rinascimentale della grotta o stalla originaria. Predomina il color rosso vermiglio

Il Concilio venne spostato a Firenze per le prime avvisaglie della peste e su pressioni di Cosimo Medici il Vecchio, sempre propenso a qualsiasi manifestazione potesse elevare il livello di visibilità e di prestigio della sua signoria. Erano gli anni del grande afflusso di eruditi dall’area greca e bizantina, che portarono alla riscoperta di Platone, facendo lievitare il numero e la qualità di studiosi del greco in Italia, e particolarmente a Firenze, epicentro del nuovo Umanesimo.

 

Gentile da Fabriano, Galleria degli Uffizi, Firenze, 1423. Dipinto a tempera su tavola. Dipinto ineguagliato per la scrupolosa attenzione ai minimi dettagli, nonché per il generoso uso di oro, argento e altri materiali pregiati. Il committente era Palla Strozzi, ricco e munifico mercante di Firenze, umanista e mecenate, che non badò a spese (150 fiorini d’oro) onde testimoniare il suo amore per l’arte e la cultura greca e bizantina, nonché il prestigio e l’opulenza della sua casata  

 Il Concilio mirava, con pesanti condizioni per la Chiesa Ortodossa, in posizione di svantaggio per la sua pericolante situazione, a ricongiungere le due Chiese e quindi a por fine al plurisecolare Scisma. Ma come sempre quando le condizioni della parte più forte umiliano troppo la parte più debole, il Concilio ebbe formalmente successo, ma le decisioni ivi prese rimasero lettera morta. E questo, almeno in parte, spiega lo scarso, per non dir quasi nullo, impegno dell’Occidente a intervenire, di lì a pochi anni, nel 1453, come Bisanzio sperava, con un ampio dispiegamento di uomini e mezzi per difendere la città dall’assedio di Maometto II. 

 

Leonardo da Vinci, Galleria degli Uffizi, Firenze, 1481. Tempera su tavola. Incompiuto causa la partenza di Leonardo per Milano al servizio degli Sforza. Fuori dagli schemi tradizionali, con gli astanti sbigottiti per l’evento soprannaturale, anziché con le rituali espressioni di pia devozione

La disparità di forze in campo tra bizantini e turchi produsse l’inevitabile, e Bisanzio cadde sotto i colpi delle orde turche, che razziarono, uccisero e stuprarono a loro piacimento. come premio per la vittoria. La data della caduta dell’Impero Bizantino, 1453, viene da parecchi studiosi proposta come la fine del Medio Evo, anziché il 1492, con lo sbarco di Colombo nel Nuovo Continente. Dopo queste date, qualunque si scelga, l’Occidente avrebbe volto il suo sguardo verso Ovest, mentre l’eredità di Bisanzio sarebbe passata alla Russia, auto-proclamatasi Terza Roma.

Cos’ha a che fare tutto questo con la leggenda dei Magi? L’arrivo delle delegazioni bizantine, in vesti e bardature equine eccentriche ed estremamente raffinate suscitò enorme meraviglia nella popolazione fiorentina, tanto da stimolare il suo ricordo come una pittoresca fiaba, non più soltanto raccontata, ma vissuta. 

 

Pietro Perugino, Oratorio di S. Maria dei Bianchi, Città della Pieve, 1504. Affresco. Vi si respira l’aria lieve di uno scenario arcadico, quasi paradisiaco, col verde del prato che fa da sfondo al dipinto e il ciborio che amplifica l’effetto prospettico 

 L’artista ufficiale, nominato da Cosimo per immortalare l’evento fu il Pisanello, unico autorizzato a ritrarre il basileus Giovanni VIII e altri membri conciliari. Sue sono le medaglie in bronzo che lo ritraggono e che vennero inviate dalla signoria ad altri signori d’Italia e Oltralpe. Questi gesti facevano parte di quella che potremmo definire la pubblicità dell’epoca, a dimostrazione dell’opulenza, dell’importanza e della cultura del nobile (com)mittente.

 

Medaglia “pubblicitaria” in bronzo dell’imperatore di Bisanzio Giovanni VIII Paleologo commissionata da Cosimo de’ Medici e realizzata dal Pisanello in occasione del Concilio di Ferrara-Firenze del 1438-39, convocato per comporre lo Scisma d’Oriente del 1054 e proteggere Bisanzio dalla morsa sempre più stretta delle orde turche del giovane e baldanzoso sultano Maometto II

 

La memoria di quell’evento, che si protrasse per parecchi mesi, fu tale che essa venne rivisitata, in chiave tra l’artistico, il pubblicitario e l’auto-commemorazione, qualche decennio dopo, nel 1459, nella Cappella dei Magi di Palazzo Medici Riccardi, rivelatosi il capolavoro di Benozzo Gozzoli. L’affresco confonde volutamente la marcia dei Re Magi di evangelica memoria con il principesco arrivo delle delegazioni bizantine a Firenze di vent’anni precedente. Mentre vengono raffigurati i tre Magi, con i loro tradizionali doni per il Bambino Gesù, di quest’ultimo non c’è traccia, in quanto si tratta di un dipinto laico atto a magnificare la grandezza dei committenti: Cosimo il Vecchio e suo figlio Piero, sovrapponendo due eventi distanti quasi 1500 anni. Quindi, il fuoco non era sul punto di arrivo, quanto sulla composizione della lunga processione nel suo percorso per giungervi. 

 

 

Andrea Mantegna, Galleria degli Uffizi, Firenze, tempera su tavola. 1460 ca. L’artista si è attenuto maggiormente alla narrazione classica della grotta, con la lunga processione al seguito dei Magi, meno affollata del consueto, facendone perdere la vista dietro ad una curva lontana. Anche gli indumenti orientaleggianti sono meno marcati

 Lo scopo di fondo di questo straordinario affresco era di sottolineare l’urgenza di una nuova Crociata per riscattare l’onta di sei anni prima e fiancheggiare la Dieta di Mantova, indetta quello stesso anno 1459 da papa Pio II proprio a quello scopo, coalizzando i principi cristiani di buona volontà. Purtroppo, risultarono essere pochi di numero e recalcitranti, tanto da spingere lo stesso Pio II, pur anziano e molto cagionevole, a capeggiarla in prima persona. La particolare calura dell’agosto 1464 e i disagi del viaggio da Roma ad Ancona per l’imbarco ne causarono la morte al suo arrivo in città. La crociata fu tosto sospesa, per essere ripresa in tono minore 4 anni dopo da Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini, con l’unico risultato di portare a Rimini le ossa di Gemisto Pletone, da allora tumulate in una delle arche su un fianco del Tempio Malatestiano.

I resti dei tre Magi, secondo la tradizione, furono rinvenuti nel IV secolo da Elena, madre di Costantino, durante un pellegrinaggio in Terra Santa. Su richiesta del vescovo di Milano Eustorgio, essi furono fatti traslare a Milano, all’interno di un monumentale sarcofago romano. Nel tragitto per terra il carro con il pesante sarcofago affondò nel fango alle porte di Milano e non ci fu più verso di muoverlo verso la destinazione prevista: quella che all’epoca era la cattedrale di Santa Tecla. Eustorgio lo interpretò come un segno divino e in quello stesso luogo fuori le mura fece erigere la basilica che porta il suo nome, nella quale fu sepolto, accanto ai Magi, per suo espresso desiderio. 

 

Benozzo Gozzoli, Cavalcata dei Magi, Palazzo Medici-Riccardi, Firenze, 1459-1463. Affresco.  Risente molto dell’Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano, per l’opulenza della maestosa opera, su tre pareti della Cappella dei Magi, anch’essa realizzata senza risparmio di materiali costosi, come il lapislazzuli. Qui i cortei in marcia da Gerusalemme a Betlemme sono tre: uno per ciascun Mago e confondono volutamente l’immaginario corteo dei Magi di 15 secoli prima con quello dell’arrivo a Firenze della delegazione bizantina, di cui l’affresco celebra il ventennale. Del resto, Cosimo de’ Medici non voleva essere da meno del suo predecessore Palla Strozzi quanto ad umanesimo, a mecenatismo e a diffusione di capolavori come segni del prestigio della casata

 Nel 1162 l’imperatore Federico Barbarossa, ottenuta la resa di Milano, fece distruggere la basilica e traslare le reliquie a Colonia, dove sono tuttora, nella splendida cattedrale. Solo nel 1903, dopo molti tentativi falliti, si riuscì ad ottenere qualche frammento osseo, ora custodito in una teca vicina al grande sarcofago, vuoto, il quale deve proprio al suo peso di essere rimasto sul luogo originario, con la primitiva basilica del IV secolo eretta attorno ad esso e, dopo la sua distruzione, all’erezione sulle sue rovine dell’attuale basilica di Sant’Eustorgio, con l’annessa Cappella dei Magi. La basilica di Sant’Eustorgio, terza chiesa di Milano, dopo il Duomo e Sant’Ambrogio, è l’unica ad avere in cima al campanile una stella anziché la croce, in memoria della stella cometa che guidò i Re Magi verso Gesù Bambino.

 

Cappella Portinari attigua alla basilica di Sant’Eustorgio a Milano.  

La chiesa dei 5 campanili, frazione Perti di Finale Ligure, nei pressi della chiesa di Sant’Eusebio 

Termino con una nota che forse stupirà molti finalesi. La basilica di Sant’Eustorgio, oltre alla Cappella dei Magi, include varie cappelle gentilizie, più una esterna collegata all’edificio: la Cappella Portinari, costruita nei tardi anni ’60 del ‘400. Su scala ridotta, ne ricalca lo stile, rinascimentale lombardo, la Chiesa di N. S. di Loreto, comunemente detta “dei 5 campanili”, eretta negli stessi anni dai marchesi Del Carretto nella zona monumentale di Perti, nei pressi della duecentesca chiesa di S. Eusebio e del Castel Gavone, residenza dei marchesi. 

 

 Marco Giacinto Pellifroni         20 dicembre 2020 

 

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.