La grande madre delle tre mani

  LA GRAN MADRE DELLE TRE MANI
(Letta e commentata da Renzo Mantero)
 

 
LA GRAN MADRE DELLE TRE MANI 
(Letta e commentata da Renzo Mantero)  

 Agli occhi di un cristiano occidentale, cattolico o protestante che sia – o anche di un ateo o di un agnostico sensibile alle belle arti – non risulta agevole né immediato comprendere la bellezza e il complesso simbolismo teologico delle icone (dal greco eikon, cioè ‘immagine’, e, nella liturgia cristiana ortodossa, ‘immagine sacra’); non sono infatti ravvisabili nelle icone elementi stilistici ricorrenti e familiari nella cultura pittorica europea, come lo splendore dei paesaggi che fanno da sfondo  a tante Crocifissioni e Deposizioni e Pietà, la caratterizzazione individualizzante, espressiva e psicologica dei volti dei personaggi,  (come, ad esempio,  nell’Ultima cena leonardesca, dove è rappresentata la personalità di ciascun apostolo e la solitudine una e trina del Cristo al centro della scena); la varietà, la ricerca e la libertà stilistica delle scuole, o delle “botteghe”, e, naturalmente, dei singoli artisti, si pensi alla diversità delle  Madonne di Giotto, di Simone, di Filippo Lippi, dell’Angelico, del Botticelli, di Piero, di Antonello, del Perugino, del Sanzio, di Giovanni Bellini, di Andrea del Sarto, del Pontormo o del Parmigianino… 


Tanto più prezioso appare quindi lo studio che il professor Renzo Mantero dedica alle icone – nelle quali, come è noto, niente  è affidato al caso o al gusto personale dell’artista, “ma tutto procede da un lungo lavoro che solo consentirà di raggiungere la perfezione”, e nelle quali tutto, dalla cornice ai colori, ai materiali adoperati, alle proporzioni delle figure, alla tecnica pittorica, alle iscrizioni che vi compaiono, ha un valore simbolico e mistico, in particolare la  “trasfigurazione spirituale delle immagini ritratte nelle icone dipende dall’impiego del colore e, soprattutto, dallo sfondo dorato (luce di Paradiso), sul quale le sfumature prendono un risalto soprannaturale” –   e specialmente  a quelle in cui è raffigurata la Panaghia Tricherousa, la “Tutta Santa Madre delle Tre Mani”, pubblicato nel catalogo in cui sono riprodotte le quarantasette icone di scuola russa, moldava e serba, dipinte tra il XVII e il XIX secolo, raccolte dal professore stesso e da lui lasciate in deposito presso la Pinacoteca Civica di Savona.

Si può ben capire l’attrazione esercitata sul grande chirurgo della mano dalle icone che raffigurano la Madre di Dio dotata di tre mani anziché di due. A che cosa è dovuta questa stranezza? “Fra tutte le icone della Madre di Dio – spiega il professor Mantero –  quella particolare della Gran Madre delle tre mani è strettamente legata a un evento miracoloso della vita di Giovanni Damasceno”.


Il presbitero e teologo siriano, infatti,  strenuo difensore del culto delle immagini, contro l’imperatore iconoclasta Leone III Isaurico,   fu accusato di tradimento dal califfo della sua città, e venne condannato all’amputazione della mano destra. “Giovanni allora si recò in chiesa – questa è la narrazione riferita da padre George Gharib nel suo saggio La Madre di Dio nella liturgia orientale – si prostrò davanti all’icona della Madre di Dio di cui era devoto e proferì una preghiera: ‘Signora, Madre purissima, che partoristi il mio Dio, è a motivo delle immagini sacre che la mia mano destra è stata mozzata. Tu non ignori la causa di questa rabbia di Leone. Affrettati, dunque, fa’ vedere il Tuo soccorso e ridammi la mia mano. La destra dell’Altissimo, di Colui che in Te si è incarnato, fa prodigi senza numero per la tua intercessione. Possa egli guarire questa mia mano destra mediante le tue preghiere ed essa comporrà per Te, e per Colui che in Te si è incarnato, melodie armoniose  e si farà, o Madre di Dio, strumento della fede ortodossa. Tu puoi, di fatto, se vuoi,  poiché tu sei la vera Madre di Dio’. Poi Giovanni si addormentò…”. Secondo questa narrazione, la Madre di Dio apparve in sogno al suo devoto teologo ad annunciargli la guarigione e ad esortarlo ad adempiere il voto fatto nella sua preghiera. A miracolo avvenuto, Giovanni, come ringraziamento, e quasi come atto di fedeltà al suo culto per le immagini sacre,  “fece confezionare una mano in argento e la fece appendere accanto alla mano della Madre di Dio raffigurata nella sua icona; secondo alcuni anzi avrebbe fatto dipingere, o dipinto egli stesso, un intero braccio con mano sulla sua icona, da cui questa ebbe l’appellativo di Tricherousa”. Esistono altre versioni di questo miracolo ma tutte concordano nel riferire il gesto di Giovanni che  dona, in segno di riconoscenza,  un’altra  mano dipinta sulla parte inferiore dell’icona.

Ma quale significato simbolico-teologico  può assumere quasta incongrua terza mano che fuoriesce dalle pieghe del manto della Madonna? Secondo il professor Mantero “La terza mano non è solo evocatrice della mano votiva fatta aggiungere da Giovanni Damasceno, ma può essere letta anche con significato allegorico: è la mano soccorritrice della Madre di Dio che sempre aiuta il fedele, così come miracolosamente aiutò Giovanni”.


Questo  per quello che concerne l’aspetto devozionale legato all’icona della Panaghia Tricherousa; riguardo all’aspetto estetico dell’icona il professor Mantero fa riferimento al De divina proportione di fra’ Luca Pacioli, rilevando che le proporzioni delle icone si basano su numeri naturali dall’1 al 9: 3 a 4 – 4 a 5 per le figure a mezzo busto, e per quelle intere 2 a 5 – 1 a 3. “Queste proporzioni (3 a 4 e 4 a 5) rivelano la conoscenza del cosiddetto ‘triangolo sacro’. Le diverse possibilità di strutturazione della superficie devono però corrispondere, nel soggetto da rappresentare, al triangolo isoscele che offre  una simmetria perfetta, riposando saldamente sulla base in una posizione di equilibrio completo”. Un altro aspetto estetico delle icone è la “prospettiva rovesciata” di cui parla Pavel Florenskij, il presbitero ortodosso, teologo, filosofo  e matematico insigne fucilato nel 1937 in

un gulag staliniano; questa prospettiva si dice rovesciata “poiché le linee non si dirigono verso l’interno del quadro, ma verso l’esterno, dando allo spettatore l’impressione che i personaggi gli vadano incontro quasi a voler dire che ‘l’icona irradia la verità della fede verso coloro che la contemplano’. E’ per questo che di fronte a un’icona ci troviamo nello spazio del sensibile come davanti a un’immagine che, all’improvviso, sembra salire dalla nostra interiorità per rivelarla, rendendola visibile…”. Certo che, sotto questa luce tutta spirituale,  è veramente difficile distinguere il valore estetico delle icone da quello religioso, come d’altronde accade per le immagini sacre, oggetto di adorazione e di culto con funzione liturgica (mi ha particolarmente impressionato un Antico pettorale devozionale in bronzo raffigurante la Gran Madre delle tre Mani, reso liscio e  consumato dai baci dei devoti). Un altro aspetto di queste icone è quello dovuto a quella che il professore Mantero definisce “una intuizione scientifica”. Di che cosa si tratta? Qui entra in campo  la scienza e l’esperienza del grande chirurgo della mano:


“L’osservazione di alcune centinaia di esiti di reimpianti di arti, mani o segmenti di esse, eseguiti da me o da altri, mi ha permesso di osservare un fenomeno che è solo apparentemente strano. Ogni amputazione, infatti, è notoriamente seguita da quella sintomatologia che va sotto il nome di ‘arto fantasma’, manifestazione dovuta al persistere nelle aree di loro competenza cerebrale della rappresentazione di una parte perduta, per la persistenza delle sue connessioni sensoriali e motorie periferiche (non più connesse alla parte amputata) sul moncone di amputazione. Nel momento in cui l’arto o un segmento di esso viene reimpiantato nel modo più anatomico possibile, nel rispetto più rigoroso delle tecniche microchirurgiche, non si avrà mai una restitutio ad integrum completa, perché le strutture più sottili, non visibili, possono prendere vie diverse da quelle volute…Una parte di queste strutture colonizzeranno aree nuove del cervello, alcune ritroveranno la loro area di origine e altre continueranno a mantenere il ricordo del segmento: una ‘terza mano’ appunto”.

La suggestiva ipotesi del professor Mantero è che Giovanni Damasceno abbia come “traslato sull’icona la meraviglia scientifica del reimpianto”. In altri termini, sarebbe come se la mano amputata di Giovanni, donata o “reimpiantata” nell’icona cercasse di “essere riconosciuta dal soggetto cui ancora non appartiene”, cioè dalla Madre di Dio. In tal caso, unico nella storia, un santo miracolato avrebbe restituito alla Madre di Dio la grazia ricevuta. Sia pure sotto forma di “arto fantasma”.

 

FULVIO SGUERSO

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