La giravolta del presidente, il doppio salto mortale…

 

La giravolta del presidente,
il doppio salto mortale dei suoi avversari

e la spada di Damocle sulla nostra testa

 

La giravolta del presidente, 
il doppio salto mortale dei suoi avversari 

e la spada di Damocle sulla nostra testa

E così il rozzo, pericoloso, inaffidabile, incompetente Trump, del quale cancellerie europee e media allineati avevano subito l’elezione con incredulità e sconcerto per poi sperare in un impeachment immediato, in una sollevazione popolare, in un Oswald redivivo che lo togliesse di mezzo, ora è per davvero il presidente degli Stati Uniti, il leader del mondo libero, l’uomo giusto al momento giusto, quello che pone rimedio alle incertezze e ai tentennamenti di Obama, che in quattro e quattr’otto ha perso tutto il suo carisma. Chi aveva festeggiato il successo elettorale di Trump non lo aveva fatto per le sue qualità umane e politiche, delle quali non si sapeva nulla, ma perché aveva impedito che alla Casa Bianca si insediasse la Clinton, della quale invece si sapeva troppo e soprattutto perché quel successo rappresentava la vittoria di un popolo intenzionato a scrollarsi di dosso la cappa di piombo delle lobby, del potere finanziario, delle dinastie democratiche e repubblicane. Si è plaudito a Trump non per quello che era ma per quello che rappresentava. E quello che avrebbe dovuto rappresentare e il mandato che aveva ricevuto li ha rapidamente rinnegati per mantenersi in sella compiendo nel giro di ore, non di giorni o di mesi, la più spettacolare giravolta che la storia di questi anni bui ricordi.


Sulla base di una bufala inverosimile, peggiore di quella che venti anni fa giustificò di fronte all’opinione pubblica mondiale l’attacco alla Serbia – la strage al mercato di Sarajevo, vera la strage, autentiche le vittime ma dubbi gli esecutori  –, Trump ha ordinato un attacco missilistico contro una base aerea siriana L’esercito di Assad, che sta riprendendo il controllo di tutto il suo territorio, con gli oppositori armati del regime e i jihadisti ridotti allo stremo, per colpire un modesto avamposto in mano ai ribelli avrebbe usato armi chimiche, la cui natura era straordinariamente già nota subito dopo il bombardamento, col risultato di uccidere civili ostaggio degli stessi ribelli. Assad si sarebbe così messo in una posizione indifendibile nei confronti del suo migliore alleato, la Russia di Putin, e si sarebbe esposto all’esecrazione del mondo intero e alla rappresaglia dei custodi occidentali dei diritti umani, in primis gli Stati Uniti. Un demente o un folle sanguinario come certi personaggi di un genere cinematografico molto popolare in America. E le foto-notizie, i filmati immediatamente resi disponibili da Shaam, un ambiguo sito con sede a Londra vicino ai ribelli specializzato in fake news,sembrano fatti apposta per influire sull’opinione pubblica americana, meno smaliziata di quella europea, sulla quale però si adoperano infaticabili opinion maker e tutto il coro dei media. Senza aspettare le Nazioni Unite, senza avvertire la necessità di verifiche, senza chiedere ispezioni internazionali, è scattata la risposta americana con una sessantina di missili diretti verso la base da cui il raid sarebbe partito. L’annuncio di un Trump dimesso come uno che parla con una pistola puntata alla tempia, fiaccamente retorico, goffo prestigiatore che mescola il terrorismo islamico col suo principale nemico e attacca il secondo dicendo di colpire il primo, è stato entusiasticamente accolto dalla premier inglese e dal solito duo franco-tedesco.


 A seguire, come un servo sciocco, il nostro governo. Ma più significativi le dichiarazioni di un Erdogan fuori controllo, la soddisfazione dei sauditi e il plauso di Israele. Non c’è bisogno di dietrologie: chi ha tratto vantaggio dalla ripresa della aggressività americana, dall’isolamento di Damasco e dalla rottura dell’entante cordiale russo-americana non è solo il solido establishment americano, che persa la Clinton ha addomesticato Trump, ma sono soprattutto la Turchia e l’Arabia saudita, che intrattengono entrambe torbidi rapporti col califfato e il terrorismo e per motivi diversi hanno tutto da perdere da una normalizzazione dell’area. Ma c’è anche Israele, il cui ruolo viene sottaciuto anche dagli analisti che hanno prontamente smascherato la bufala dell’attacco chimico di Assad alla sua popolazione. Israele è il perno della politica mediorientale, è il garante dell’equilibrio o piuttosto dello squilibrio di tutta l’area. Non è semplicemente il cane da guardia dell’occidente, non è l’enclave della democrazia nel mondo arabo; è uno Stato che sta stretto nei suoi confini, in una condizione di perenne tensione, minacciato e minaccia per i suoi vicini. Uno Stato al quale la desertificazione della Siria, già in atto grazie anche alla cancelliera tedesca che ha favorito l’esodo dal Paese dei ceti più ricchi e istruiti, può fornire una direttrice di espansione territoriale che in un futuro non lontano potrà dimostrarsi vitale. Uno Stato che, comunque, ha tutto da guadagnare dalla instabilità e dalla frammentazione del mondo arabo.


In poche ore si è deciso che c’è stato un attacco chimico; senza fonti verificabili si è stabilito il numero dei morti e dei feriti, compresi bambini e, sono parole di Trump “bellissimi neonati”, colpiti da gas nervino. Quel che è certo è che la natura del gas sicuramente è nota a chi l’ha lanciato. E se non sono stati i caccia siriani chi è stato? Ma nessun dubbio ha sfiorato Trump, nessun dubbio ha sfiorato le cancellerie europee e la stessa certezza apodittica è stata testimoniata dall’ineffabile Gentiloni. Eppure questa volta, se non nei titoli e nella cronaca, in diversi editoriali dei giornali di regime qualche domanda veniva posta. Del resto è una storia che si ripete: nell’agosto di quattro anni fa un attacco chimico ad un quartiere di Damasco in mano ai ribelli provocò un numero mai precisato di vittime, un attacco del quale il governo siriano negò anche allora la responsabilità ma sulla cui matrice gli occidentali, ora come allora non ebbero dubbi e, forti di una artificiosa sollevazione dell’opinione pubblica, francesi e inglesi insieme ai vertici del pentagono cominciarono a smaniare per distruggere il regime. Ci si mise in mezzo la Russia, che si fece garante della distruzione dell’arsenale chimico siriano che finì a Gioia Tauro per essere neutralizzato e grazie anche al fatto che, col senno del poi, dobbiamo riconoscere che Obama era meno avventato di Trump, francesi e inglesi rimasero a bocca asciutta. Ora nessuno ha chiesto ispezioni dell’Onu, prove, indagini, accertamento dei fatti. In barba al diritto internazionale, alle alleanze e al semplice buon senso, senza neppure una telefonata ai comandi militari alleati presenti nell’area, come quello italiano, è partita la lezione ad Assad, preceduta, pare, dall’invito ai russi di sgombrare l’obiettivo dell’attacco missilistico. Basterebbe questo a giustificare un minimo di irritazione negli alleati non consultati; se non c’è stata, e non c’è stata, è evidente che gli alleati, Gran Bretagna e Francia, con la Germania sornionamente defilata e l’Italia che non conta nulla, non aspettavano altro, come nel caso della Libia, e ora sperano che questo sia solo l’inizio. Ma non siamo più nel 1986, quando Reagan per vendicare la strage di Le Belle cercò di uccidere Gheddafi con un bombardamento mirato provocando una spirale terribile ma circoscritta di attentati terroristici: questa volta sono in gioco equilibri planetari e l’uomo della Casa Bianca rischia di far scoppiare la terza guerra mondiale senza che ci sia in Occidente nessuno in grado di fermarlo.


Già l’attentato di San Pietroburgo solleva parecchie perplessità: non solo per l’atteggiamento dei media, così solleciti da Charlie Hebdo in poi nel documentare, condannare, esecrare, in questa circostanza hanno hanno una compostezza che rasenta l’indifferenza, simile a quella per le stragi che periodicamente insanguinano Bagdad o Kabul. Nessuna fiaccolata, nessuna veglia di preghiera, solo qualche frase di circostanza. Eppure Pietroburgo è Europa almeno quanto Oslo o Copenhagen, è parte della nostra storia, della nostra tradizione letteraria e dei nostri valori comuni, come andrebbe ricordato a quelli che blaterano in difesa della civiltà cristiana. Ma sembra che quelli siano morti di serie B, come bambini di serie B erano state le vittime degli assassini ceceni nella strage di Beslan del settembre 2004, gli stessi assassini ceceni difesi su Panorama dal mandante dell’omicidio Calabresi. Allora sul terrorismo ceceno si allungava l’ombra lunga della Cia. Non vorrei che oggi dopo l’amplificazione dei disordini di Mosca, con quel personaggio ambiguo fatto passare per un moderno Bruto e a seguire questo strano attentato qualcuno volesse provare a scalzare il potere di Putin mettendolo alla prova. Putin ha mostrato grande freddezza e ha lasciato che fosse Medvedev a esprimere la riprovazione del suo governo per l’attacco missilistico americano in Siria ma ha inviato una nave da guerra in grado di rispondere adeguatamente ad una nuova iniziativa della flotta americana. Questo non è un gioco: generali e politici, soprattutto quando dietro di loro si agitano affaristi di tutte le risme e la leadership è in mani poco sicure, possono creare guasti irreparabili. Ieri Sarkozy oggi Hollande sono pericolosi proprio per la loro pochezza; degli inglesi non ci si può fidare, la cancelliera tedesca è stata fatta passare per una statista ma sembra che più che guidare gli eventi se ne faccia trascinare. Noi abbiamo Gentiloni…Questa è l’Europa che dovrebbe fare da contrappeso a Trump, o a chi gli tiene la pistola puntata alla tempia. Non ci resta che sperare che in Israele prevalga la ragione sul miraggio di vantaggi che non ci saranno per nessuno. Quanto agli arabi, non vorrei che dipendesse da loro salvarci dall’apocalisse.

 

E i compagni di casa nostra dove hanno riposto la bandiera della pace? Più zelanti delle cancellerie europee, più ossequiosi di Bruxelles hanno gioito di fronte al brusco cambio di rotta dell’amministrazione americana. Erano costernati per la vittoria del campione del disimpegno ora esultano per la sua metamorfosi interventista. Esultano oggi come avevano esultato ieri per la primavera araba e per l’eccidio di Gheddafi, e lo fanno non per una motivazione interna seguendo una loro strategia o un loro obiettivo ma per servilismo, per acritica obbedienza verso chi regge i fili, eterodiretti oggi come lo erano stati nel passato, con l’aggravante che quando guardavano alla patria socialista potevano almeno fingere una spinta ideale. Ora da quella poltiglia che è diventato il vecchio Pci escono solo ectoplasmi, simulacri, feticci senz’anima che ripetono meccanicamente frasi generate da una macchina, dei quali i primi a vergognarsi e ad avere paura, la paura che può provocare un esercito di zombi, sono proprio i vecchi compagni. Da questi fantocci non ci si può aspettare niente: in mano a loro l’Italia semplicemente ha smesso di esistere. Per fortuna, almeno in questo caso, l’opposizione si è fatta sentire. Si sono fatti sentire anche Berlusconi e Forza Italia ma il loro tempo è finito. Ci sono nella vita come nella storia passaggi irreversibili: quando Berlusconi si lasciò trascinare nella guerra alla Libia segnò il suo destino più di quanto avrebbero fatto i colpi di Stato o lo spred. Quanto alla sua fluttuante pattuglia, meglio lasciar perdere, fatta salva la lodevole eccezione di Toti, che però mi pare che abbia ormai entrambi i piedi dentro la Lega. Non è a loro che mi riferisco perché non sono loro né la vera opposizione né l’alternativa futura. Guardo piuttosto alla convergenza che si è creata fra Lega e movimento Cinque stelle. Nette e chiare le parole di Salvini, che non si è fatto condizionare dall’appoggio che aveva riservato per tutta la campagna elettorale e dopo la sua elezione a Donald Trump, altrettanto chiara la condanna di molti esponenti del movimento di Grillo, con qualche voce stonata, come quella della deputata che ha tirato in ballo l’articolo della costituzione figlio della retorica e della sconfitta, e si è messa a cinguettare che l’Italia ripudia la guerra. Il problema oggi non è quello di “ripudiare la guerra”, che già c’è, ma di sapere da che parte si sta: da quella di chi non solo insiste nel destabilizzare il mondo arabo, non solo di fatto sostiene il terrorismo islamico ma a questo punto spinge il mondo intero verso la catastrofe o da quella di chi senza moralismi e retorica cerca di contenere i conflitti locali e vorrebbe limitare gli interventi internazionali ad una moral suasion o, al più, a sanzioni commerciali, di chi rispetta la sovranità degli Stati anche quando non piacciono, di chi non vuole gendarmi planetari. Allucinante, a questo proposito, la seconda uscita del presedente americano ormai fuori controllo, che minaccia di attaccare la Corea del Nord prima che si possa dotare dell’arma atomica. Ma sarebbe piuttosto ora che l’umanità tutta decretasse senza infingimenti che l’arma atomica deve essere bandita definitivamente e per tutti, Stati Uniti compresi. Altrimenti tutto ciò che viene detto a qualunque livello su crimini contro l’umanità, armi di distruzione di massa, uso di gas, guerra batteriologica è solo falsità e inganno.


Nella palude intellettuale in cui ci troviamo affondano anche quelli che si sono assunti il ruolo e la responsabilità di contrastare il pensiero unico. È successo al direttore-fondatore della Verità. In una sua confusa analisi di quello che sta avvenendo in Siria prende spunto dal titolo di domenica scorsa sul giornale dei vescovi, l’Avvenire, in cui si accostano bombardamenti americani e terrorismo. Non ho letto l’articolo e sospetto che non l’abbia letto nemmeno Belpietro, che, criticando l’accostamento extra matellam minxit perché sostiene che non c’è alcun rapporto fra l’uno e gli altri. Se c’è una cosa di cui si può essere certi è che il terrorismo islamico è figlio primogenito della politica dissennata degli Stati Uniti, che hanno destabilizzato mezzo pianeta, hanno armato, finanziato, organizzato ceceni  e talebani, incoraggiato il califfato, tenuto a battesimo l’Isis, gettato benzina sul fuoco del conflitto fra sciiti e sunniti, osteggiato in tutti i modi la leadership laica, dimenticando che spesso, come Cromwell insegna, sono proprio le dittature che preparano il terreno alla democrazia. E non ci dimentichiamo i disastri combinati dalla guerra di Corea, di cui proprio il regime di Kim Jong-un è conseguenza diretta e da quella del Vietnam, che ha consegnato l’Indocina ai comunisti. Ma le lezioni della storia non servono a nulla e gli americani vogliono riprovarci con la benedizione di Belpietro: già ci pensa la “democrazia” corrotta della Corea del sud a rinforzare e in qualche modo legittimare il regime nordcoreano: manca solo la minaccia di un ritorno dei marines americani, assai poco popolari da quelle parti, per cementare ulteriormente il potere del dittatore comunista. Ma che debbano essere i coreani, che debba essere il popolo, se lo vuole, a liberarsene invece di partecipare convintamente alle adunate, non passa per la mente dei nostri giornalisti? Se mi devo etichettare da solo riconosco che sono un anticomunista intransigente ma non sono un manicheo, il Bene di qua, il Male di là, i giusti contro i reprobi: metto in conto che per la maggioranza del popolo della nord Corea il regime paternalistico del “caro leader” possa essere rassicurante; comunque sono affari loro. E l’accenno finale del direttore alla seconda guerra mondiale, ridotta a crociata contro il diavolo nazista, francamente mi ripugna. A distanza di almeno tre generazioni è tempo di riconoscere che da una parte e dall’altra la guerra è stata una sporca faccenda suggellata da crimini orrendi che non si limitano alla Shoah o alle rappresaglie tedesche: il flagello della svastica documentato da Edward Russell non copre le atrocità compiute dagli eserciti alleati , il terrorismo aereo, i centomila sepolti sotto le macerie di Dresda, e il più orribile crimine che l’umanità abbia mai conosciuto: le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Ma per gli americani quelli erano scimmie gialle.

Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.