La forza di Salvini e l’horror populi dei compagni

La forza di Salvini e l’horror populi dei compagni
Alle elezioni europee vince chi perde

La forza di Salvini e l’horror populi dei compagni
Alle elezioni europee vince chi perde

 All’indomani del voto europeo dai giornaloni di regime si era levato un sospiro di sollievo: populisti e sovranisti non hanno sfondato! In realtà socialisti e popolari, il sostegno politico sul quale si regge Bruxelles, avevano subito una sonora sconfitta ma, si sa, viviamo nell’era della comunicazione intesa come manipolazione della verità, come strumento per confondere le idee e in qualche caso per indorare una pillola troppo amara. Quindi, invece di dar conto della prepotente avanzata di chi questa Europa non la vuole ci si rifugia nel “poteva andar peggio”. Fin qui siamo nell’ambito del lecito, ognuno fa il suo mestiere e i servi fanno correttamente gli interessi dei loro padroni. Ma sotto c’è qualcosa di assai più torbido: nelle redazioni, come nelle stanze del potere, si sapeva bene che il voto, quale che fosse stato, non avrebbe intaccato la solidità del sistema, si sapeva bene che il voto serve solo a imbiancare i sepolcri, a dare una parvenza di democrazia a poteri inamovibili: il voto vale solo se legittima quei poteri, altrimenti lascia il tempo che trova.


Nella generale débâcle dei socialisti europei i compagni di casa nostra si sono distinti col loro misero 22%. Bene: ci siamo trovati il compagno Sassoli alla presidenza del parlamento di Strasburgo, il compagno Gentiloni al posto di Moscovici e il compagno Gualtieri commissario agli affari economici. Non c’è male come bottino per chi le elezioni le ha perse e quindi rappresenta abusivamente il nostro Paese in Europa. A chi quelle elezioni le aveva vinte nessuna voce, nessun ruolo. Ma va bene così perché quanto meno è rappresentativa tanto minore è il peso di questa Europa delle banche.

La spina nel fianco dell’Europa

Va bene così perché non ci sono più ambiguità, non ci sono più equivoci. Il sistema di potere europeo tollera il ricorso agli strumenti della democrazia per servirsene come una foglia di fico ma non se ne lascia certo condizionare o intimorire. Nelle sue mani c’è tutto il sistema dell’informazione, dalla rete alla carta stampata ma, quel che più conta, quel sistema è espressione diretta del capitale finanziario e il baluardo dell’economia globalizzata. Ha resistito alla perdita del suo formidabile puntello politico-militare,  l’amministrazione democratica americana, ha finora impedito il compimento della brexit, usa il debito pubblico come una garrota, impone l’ideologia gender, la snazionalizzazione, l’omologazione, il baricentro continentale, l’africanizzazione dell’Italia, il superamento delle specificità linguistiche e culturali, l’isolamento della Russia e ha reagito rabbiosamente al pericolo rappresentato da Salvini dopo aver ricattato Orban e messo a cuccia i nostri grillini. Salvini, momentaneamente neutralizzato grazie ai collaborazionisti piddini, all’inconsistenza etica dei Cinquestelle e ai maneggi del Colle, rimane una spina nel fianco di cui ci si vorrebbe sbarazzare definitivamente se non fosse che l’operazione sarebbe troppo rischiosa.  Per ora ci si accontenta di aver imposto anche in Italia la connotazione di ultra-destra alla Lega, con l’illusione di scuotere un’inesistente opinione moderata da mettere in guardia contro il risorgente fascismo. 


Gentiloni e Sassoli

Illusione perché i ceti borghesi e piccolo-borghesi – il ceto medio – portatore di quella opinione moderata non esiste più, se mai è esistito. Illusione perché la semplificazione della lotta di classe che Marx aveva previsto si è realizzata per davvero, seppure non nei modi e attraverso le dinamiche immaginate dall’autore del Capitale. È la lotta di chi non accetta di essere asservito contro chi pretende di asservirlo, una lotta che può essere considerata secondo prospettive diverse, come quella adottata su questi Trucioli dall’ottimo Pellifroni della grande massa dei debitori contro la minoranza dei creditori, ma che in ultima istanza rinvia alla dialettica servo-padrone, al contrasto fra economia reale e economia virtuale, alla ribellione dei ceti produttivi (quelli che tirano la carretta e sui quali si regge la società: insegnanti, medici, poliziotti, commercianti, artigiani, industriali, quelli che lavorano, offrono servizi e producono ricchezza) contro lobby e gruppi parassitari annidati nella politica, nella pubblica amministrazione, nel mondo dell’informazione e dello spettacolo, nelle grandi aziende di Stato, nelle pieghe del terzo settore.

 In questo dualismo o si sta da una parte o si sta dall’altra e chi si riconosce come parassita fa bene a difendere lo status quo.


Le due facce del potere

Con una buona dose di impudenza, o forse perché non danno alle parole troppo peso, si sentono esponenti di sinistra di mezza tacca, come la nuova approdata Lorenzin o la signora Morani, quella che ad ogni comparsata televisiva fa perdere al Pd qualche migliaio di voti, che il senso della nuova maggioranza sta tutto nella lotta contro Salvini perché, dicono, si è europeisti o si è sovranisti, e i sovranismi sono il nemico da battere. 

Sono gli stessi che si rifiutano di riconoscere che l’immigrazione clandestina è solo un fenomeno criminale alimentato ad arte e nulla ha a che fare con i problemi veri dei Paesi africani, gli stessi che non capiscono o fingono di non capire che mai come in questo periodo storico gli Stati, grandi e piccoli, sono arroccati alla difesa dei propri interessi e usano gli organismi sovranazionali per il proprio tornaconto. Affamati di potere e di poltrone irridono a Salvini che si sarebbe suicidato avendovi rinunciato, quando invece lui il potere se lo è ripreso, quello vero, il potere che viene dal popolo.


Perché il potere è sì nella forza del denaro, nella forza della finanza, nella forza delle armi ma è soprattutto nella forza del popolo, che non è possibile continuare a tenere in schiavitù quando prende coscienza della sua condizione di schiavitù; anche a livello individuale il potere è una faccenda complessa: c’è un potere sano, naturale, che è quello del prestigio personale, dell’intelligenza, della cultura, della bellezza o della forza fisica e c’è un potere malsano, innaturale, perverso, che è quello del denaro, dello status, della lobby di appartenenza, della violenza e della sopraffazione. 

Quando un illustre accademico come Galimberti – accademico sì, professore certo, giornalista forse ma filosofo, come viene gabellato, proprio no – dichiara pubblicamente che questo governo e questa maggioranza sono nati per imporre una legge elettorale che impedisca a Salvini di andare al governo perché “non si può permettere” una vittoria dei sovranisti, e un’esponente di spicco del Pd, la sullodata Morani, annuisce e fa sua questa affermazione, diventa tutto chiaro. Diventa soprattutto chiara l’ipocrisia di chi, a cominciare dall’avvocato che ci è piovuto sulla testa grazie ai grillini, si affanna a sostenere che il governo giallorosso (se i colori in politica significano qualcosa lasciamo perdere il rosa o il fucsia, questo è proprio rosso, quel rosso che non ha mai portato niente di buono) non è un governo nato per abbattere Salvini , la Lega e il sovranismo (id est l’Italia), non è un governo contro ma è un governo per (per non si sa che cosa ma comunque “per”, forse per raddrizzare l’asse terrestre e finirla una volta per tutte con le stagioni e gli sbalzi del clima). 

“Non si può permettere” che la Lega vinca le elezioni. Il regime getta la maschera e mostra la sua vera natura violenta. Si osservi che la Lega al governo è stata l’elemento moderato  e se vogliamo conservatore nei confronti del radicalismo pentastellato; non a caso sulla Tav o sul reddito di cittadinanza la posizione dei leghisti rispecchiava quella del mondo imprenditoriale e, ahimè, dello stesso Pd. Perfino sull’Europa e sull’euro, almeno a parole, le posizioni più oltranziste sono venute dai Cinquestelle. E non dimentichiamo l’incauta apertura di Di Maio alle frange violente dei gilet gialli. C’è qualcosa che non torna in tutto questo, che rimanda al ritornello dei media europei per i quali la Lega è l’ultradestra. In che senso la Lega sarebbe l’ultradestra?


Se il gigante si sveglia

Ci sono due risposte a questa domanda. La prima è che con Salvini l’Italia ha alzato una diga contro l’immigrazione illegale e, checché ne dicano i nostri Soloni e i politicanti di sinistra l’immigrazione – l’invasione – è strategica per il sistema globale che ha a Bruxelles una delle sue capitali. La seconda è che Salvini è l’unico leader politico capace di aggregare le forze popolari e nazionali europee e di spezzare definitivamente l’asse Parigi-Berlino, le pretese egemoniche della Germania e la costituzione di un modello diverso di Europa, un’Europa policentrica e democratica. 

El pueblo unido jamás será vencido urlavano gli ultrà della sinistra nostrana riecheggiando i sostenitori di Allende. Il problema era che in Italia quelli che urlavano erano i quattro gatti dei centri sociali al soldo del Partito, che col popolo  non avevano niente a che fare; il problema era che, anche in Cile, il popolo si fidava più di Pinochet che del compagno Allende. Ma gli Inti-illimani avevano pienamente ragione: il popolo quando si unisce è invincibile ed è bene che la sua forza si esprima all’interno delle urne elettorali e non in altri modi. E se la maggioranza del popolo italiano vuole la Lega e Salvini, bisogna che l’Europa e i suoi scherani nostrani se ne facciano una ragione. Altrimenti, se “non si può permettere” un’affermazione elettorale della Lega, vuol dire che la Lega è fuori dal recinto della democrazia. Lo dicano, e provino a metterla fuori legge.


Noterella didascalica: ma “Popolo” è solo un’astrazione?

Le scienze umane e sociali novecentesche sono rimaste impigliate in un nodo epistemologico: la somma e la totalità, molar vs molecular. Un approccio al gruppo come somma di individui e un approccio al gruppo come entità reale. Come spesso accade tutti e due gli approcci sono corretti, anche se contrari fra di loro (del resto la fisica contemporanea ci ha abituati a queste contraddizioni). il popolo, di norma non esiste, come non esiste il pubblico a teatro o allo stadio, ci sono i singoli individui, i singoli spettatori. Ma a un certo momento i singoli spettatori diventano un’unità corale, un sentimento comune, una realtà collettiva, ad un livello più raffinato in una sala per concerto ad un livello più rozzo o addirittura animalesco nel tifo sportivo; e se nella routine quotidiana il popolo è solo una somma di individui c’e però un momento in cui il popolo prende forma e sostanza, la bestia addormentata e silente si sveglia (e fanno bene la sinistra e l’Europa ad averne paura). Quando accade il palazzi del potere tremano e finiscono per crollare.

  Pier Franco Lisorini  docente di filosofia in pensione

 

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