La Focaccia (storia, ricordi e curiosità)

La Focaccia
(storia, ricordi e curiosità )

La Focaccia (storia, ricordi e curiosità)

Ero poco più di un bambino quando mia madre mi mandava a comprare pane e focaccia alla panetteria davanti a casa.

Ricordo il profumo intenso del pane appena sfornato ed il profilo gentile della proprietaria, ma soprattutto il piacere di spiare da dietro il banco il marito che con un lungo coltello dal manico in legno stendeva sulla focaccia bollente un filo di olio extravergine.


Se penso ad un alimento fondamentale nella vita di noi liguri, questo è sicuramente la focaccia.

A colazione, come spuntino a merenda, la sera abbinata ad un aperitivo o ad un buon bicchiere di vino bianco, ogni occasione è giusta per gustare la fragranza ed il senso di appartenenza che soltanto questo alimento così semplice riesce a trasmettere.

Quella davvero tipica non dev’essere alta più di due dita, croccante esternamente e morbida all’interno.

Le varianti però sono molte: in alcune zone del savonese si inseriscono sottilissimi pezzi di cipolla cruda, altrove invece vi si spolverizza del rosmarino o del pepe nero macinato, mentre farcirla con prosciutto e formaggio seppur il risultato risulti molto gradevole non appartiene alle tradizioni di questa terra.

Origini Saracene sembra possedere invece la famosissima focaccia di Recco.

Ai tempi infatti delle invasioni saracene, i recchesi si videro costretti a nascondersi nel fitto entroterra, avendo a disposizione solo acqua, farina di semola, olio e formaggio di caglio (stracchino e crescenza sono attualmente valide alternative); impastando e cuocendo questi ingredienti “ inventarono“ un tipo di focaccia prelibato e assolutamente unico, che finalmente nel 1997 ha conseguito il marchio di qualità “Autentica focaccia al formaggio di Recco “.

Ma quando nacque, in realtà, la focaccia? In effetti nessuno lo sa con esattezza. Probabilmente intorno all’anno mille, quando alcune carte la citano in un inventario che parla di pietra per focaccia e pasticcio di pesci .

Il Medioevo tutto è attraversato dal profumo della focaccia: un decreto dell’epoca vietava l’utilizzo di salse nocive per cuocerla e addirittura il vescovo di Genova Matteo Gambaro finì col proibire la consuetudine di consumarla in Chiesa durante le funzioni. Pare infatti che durante i matrimoni gli sposi la offrissero in segno di ringraziamento, abitudine che probabilmente degenerò a tal punto da rendere fastidioso il continuo masticare dei presenti che andava a coprire il latino recitato dall’officiante.


I secoli successivi videro il trionfo della focaccia, tra quotidianità e piccoli gesti.

La zona portuale di Genova si riempie di “sciamadde“ e di forni, di donne e di uomini che trovano nella focaccia un modo semplice e poco costoso per vincere la fame.

La storia più recente la vede diventare colazione dei portuali (Fùgassa e vin gianco), dei camalli in particolare, e poi alimento da passeggio, uno dei primi veri cibi da strada.

Deve uscire dal forno croccante e dorata, alta non più di in dito.

Nascosta per tre quarti dalla carta che la avvolge, il tassello va preso con due dita, rivolgendo la superficie unta  e dorata verso il basso, in modo che incontri  per prima le papille gustative.

Mai utilizzare lo strutto, per cortesia. E non possono mancare gli ombelichi che si riempiono di olio e sale.

Deve sciogliersi in bocca ed il giorno dopo diventare secca e spezzarsi.

Non deve avere mollica (quante orribili focacce vedo quotidianamente alte e piene di mollica sui banchi di alcuni panettieri!), non deve quindi in alcun modo assomigliare al pane: sono e devono restare soltanto lontanissimi parenti.

Purtroppo il passare del tempo e la presunta frenesia dei nostri giorni hanno portato col diminuire di quasi la metà i tempi di lavorazione, così come la percentuale di olio a favore del burro o peggio della margarina, con l’unico risultato cero di renderla meno saporita, meno digeribile e con tempi di conservazione molto più brevi.

La focaccia, altri ricordi.

Al Ginnasio “Gabriello Chiabrera“ c’era un distributore automatico di merendine e snacks, cosa ormai del tutto abituale in qualsiasi struttura pubblica o privata; ebbene, nessuna merendina, nessun dolcetto, nessun prodotto conservato: ogni due giorni una panetteria del centro veniva a rifornirla di tranci di piazza e focaccia artigianale! Confesso che quando mi capita di passare davanti a quella panetteria, ancora oggi mi esce spontaneo un sorriso e finisco col provare un pizzico di nostalgia, ma sappiamo bene tutti che grandi amori sono difficili da dimenticare.


Ricetta

La ricetta storica originale, figlia della povertà delle nostre genti, prevede di preparare un impasto piuttosto denso, con circa 500 gr di farina bianca, un pizzico di sale, qualche goccia di olio di oliva e tanta acqua quanto ne occorre.

Spianarla e distenderla poi su una teglia bassa e ben oleata, picchiettarla con le dita in superficie, salarla e inumidirla con altro olio  quindi metterla a cuocere in un forno molto caldo fino a quando non appare dorata in superficie.

Oggi nessuno la prepara più così.

L’impasto è infatti generalmente composto da farina 00, lievito di birra sciolto in poco latte tiepido, due cucchiai di sale fino, un terzo di olio e talvolta viene aggiunta purea di patate.

La lievitazione avviene in un luogo  buio e tiepido e dura circa un’ ora.

Veniamo ai tempi di cottura, che in effetti non esistono. Troppe variabili: tipologia del forno, temperatura, clima, impasto, gusti personali e della clientela.

La verità però probabilmente è un’altra: dalle nostre parti si ritiene infatti che un vero ligure debba saper riconoscere dall’aspetto una focaccia perfetta, pronta per essere sfornata!

E pronta magari, ad essere “pucciata“ nel caffèlatte, come molti noi fanno ancora!

ALESSANDRO SCOTTO

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