La fine dell’egemonia piddina e l’incerto futuro del centrodestra

Il governo Draghi è arrivato ingloriosamente al capolinea; i partiti invece del merito se ne rimpallano la responsabilità ma il Paese ringrazia. Ora però i nodi vengono al pettine. Si andrà alle elezioni in autunno invece di aspettare la scadenza naturale di una legislatura tenuta in piedi al limite del golpe – e vedremo se Mattarella & C. (dove C. sa per compagni) si inventeranno l’invasione degli alieni per mantenerla in vita – ed è unanime convinzione che dalle urne uscirà una maggioranza di destra: l’unica incertezza riguarda la consistenza di quella maggioranza. Ma anche se fosse una maggioranza schiacciante servirà solo a dimostrare che una destra – qualunque significato o connotazione le si voglia dare – in Italia non esiste e quella che si presenta come destra, o centrodestra che dir si voglia, è semplicemente un’ammucchiata. Un’ammucchiata tenuta insieme da equivoci, mezze verità, interessi di parte, ricatti e soprattutto poggiante su un consapevole inganno degli elettori.

La Lega affrancata dal nordismo bossiano avrebbe dovuto essere la grande novità della legislatura, in grado di ridare dignità e spessore alla politica ma Salvini, mai tollerato da Mattarella, ha rovinato tutto facendosi cacciare dal primo governo Conte, che metteva fuori gioco i compagni e con loro la dipendenza dall’Ue e dalla finanza globale, condizione per restituire al Paese il ruolo che storicamente gli compete nel Mediterraneo. Né destra né sinistra, ritorno alla politica vera dopo l’ubriacatura “ideologica”, bollata come populismo da quelli che per decenni hanno fondato il loro potere sulla più sfacciata demagogia, la novità dirompente di una Lega nazionale, unita, va detto, a quella antisistema del movimento Cinquestelle, ha dovuto fare i conti non solo o non tanto con l’opposizione dell’establishment quanto con lo scarso spessore umano, culturale e morale degli uomini destinati a rappresentarla. Salvini ha sottovalutato le ambizioni personali, la miopia localistica e gli interessi di bottega di una borghesia poco illuminata e, anche per limiti personali, non ha avuto il coraggio di scrollarsi di dosso le zavorre in doppio petto per puntare sulla componente barricadera del suo partito; il destino dei grillini era segnato dalla maggioranza di arrivisti senza scrupoli presente al suo interno, che fatalmente ha emarginato le, poche, teste pensanti ed ha espresso una leadership a sua immagine e somiglianza.

Insomma senza le gambe degli uomini le idee non vanno lontano e quella novità dirompente si è miseramente sgretolata: la Lega ridimensionata nei consensi è tornata all’ovile berlusconiano e i grillini allo sbando dopo aver rischiato di essere fagocitati dal Pd non sanno a che sponda approdare: screditati dopo il voto alla von der Leyen, attaccati a battaglie di retroguardia hanno perso ogni credibilità e mancato clamorosamente l’occasione di un riscatto prima accettando supinamente gli errori e l’uso politico dell’emergenza sanitaria e dopo avallando la follia della guerra alla Russia. Un percorso speculare a quello di Salvini, che ha creduto di poter tenere il piede in due staffe in tutte e due le occasioni, illudendosi che gli elettori si accontentassero di ammiccamenti e di qualche mugugno. E così il centrodestra si è ricompattato e si appresta a vincere le elezioni, che dopo la farsa ignobile delle finte dimissioni di Draghi, rimasto vittima del giochetto che era riuscito a Mattarella, non c’è Mattarella che possa impedire o procrastinare. Ma il centrodestra, la versione nostrana della destra, non ha né un’anima né un programma né una base sociale: se prenderà più voti della sinistra è solo perché la sinistra è spudoratamente antinazionale, non ha altra base elettorale che la borghesia parassitaria e la grande maggioranza degli italiani non sa a che santo votarsi.

Abbiamo assistito a tatticismi indegni della dialettica democratica. La politica non è roba da educande ma nemmeno un gioco d’azzardo: tutti i commentatori, le “grandi” firme, i conduttori televisivi si sono sprecati in lamentose geremiadi sul teatrino dell’assurdo imbastito da governisti veri e finti, sul carattere surreale di una crisi di governo in presenza di una schiacciante maggioranza di facciata, sul gioco delle parti fra Lega e grillini. Troppo comodo appellarsi ora alla serietà e alla responsabilità. Nessuno ha ricordato il trucco ignobile di un governo affidato a un tecnico super partes che avrebbe dovuto traghettare l’Italia fuori dalle acque agitate della pandemia e preparare il terreno per incassare i fondi europei, stop. Quel tecnico estraneo alla politica ha preso in nome dell’Italia una posizione politicamente catastrofica coinvolgendoci in un conflitto senza avere il potere e la legittimazione politici per farlo, un conflitto che avrebbe richiesto equilibrio, attenzione scrupolosa tesa ad evitare ripercussioni dannose per il Paese, disponibilità a porsi come mediatori e interlocutori credibili.

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È accaduto che il capo di governo europeo politicamente più debole perché privo del tutto di un consenso elettorale ha superato tutti i leader dell’Ue nell’attaccare la Russia, nel pretenderne l’umiliazione, la sconfitta militare (!!!), nel plaudire a sanzioni che ci voleva poco a capire che sarebbero state un boomerang. Tutto senza un dibattito in parlamento e nel Paese, come se si trattasse di una questione tecnica o di dettaglio e non di un passo suscettibile di provocare un disastro economico e sociale. Tutto fatto digerire all’opinione pubblica attraverso una mai vista mobilitazione dei media e di grandi e piccoli centri di potere, tutti ricattabili perché tutti dipendenti direttamente o no dal pubblico denaro (e dall’esterno). Quello è stato il vero de profundis di quel poco di democrazia che restava nel nostro Paese, non i giochetti e il teatrino dell’assurdo di oggi che, comunque, hanno avuto il merito impagabile di estromettere Draghi da palazzo Chigi e di porre fine alla legislatura.
La vera posta in gioco è la sovranità dell’Italia, che, piaccia o no agli atlantisti tenuti al guinzaglio dal dollaro Usa, si misura con la posizione nei confronti della Russia e dell’Ucraina. L’unica connotazione forte del governo Draghi – che all’interno ha tirato a campare – è stato il sostegno incondizionato al fantoccio della Nato che sta portando il suo Paese alla rovina. Ed è su questo che si deve valutare non solo la tenuta e lo spessore politico del centrodestra ma la stessa possibilità di un’alternativa.
L’opacità con cui è stata affrontata la questione ucraina non viene riconosciuta, tantomeno diradata, da questa destra. Opacità malamente mascherata da slogan sull’aggressione, sulla nostra libertà in pericolo (ma quando mai?), la difesa delle democrazie dall’attacco di regimi autocratici. Ed è su questa oltre che sull’informazione a senso unico, sul rifiuto aprioristico di considerare le ragioni che hanno spinto la Russia all’intervento militare, sulla miopia nei confronti di un regime, quello ucraino, che non ha nemmeno la parvenza di uno Stato – basterebbe a dimostrarlo la presenza di milizie armate, l’intolleranza di qualsiasi forma di opposizione, le elezioni pilotate, il bombardamento delle minoranze o il ruolo dei servizi segreti stranieri (americani) -, sul silenzio sulle malefatte dei militari ucraini (la commissione di Ginevra non prevede che si spari ai prigionieri incatenati anche se Zelensky potrebbe appellarsi all’illustre precedente americano ai danni dei nostri soldati in Sicilia), che si deve esprimere una vera alternativa politica. Ma la posizione del centrodestra di governo – balbettii della Lega a parte – è la stessa di quella del Pd e, fino a prova contraria, dei Cinquestelle mentre quella della destra di opposizione, FdI, è se possibile più draghiana di quella di Letta. Quindi, andando al sodo, che vantaggio trarrebbero gli italiani, che vantaggio trarrebbe il Paese da una vittoria elettorale della destra seguita magari da un governo retto da Giorgia Meloni, ansiosa di sostituire Draghi nel ruolo di servo sciocco della Nato e degli Usa, bypassando magari la stessa Ue tanto per distinguersi?

Lo scenario che si para davanti all’Italia è poco rassicurante: un cambiamento che non cambia nulla – perché il vero cambiamento passa per la questione ucraina e il rapporto con la Nato, gli Usa e la finanza globale – aggravato dall’assalto alla diligenza da parte delle torme assetate di poltrone e denari annidate fra gli eredi del vecchio Msi. La politica non sarà roba da educande ma non può ridursi a una mangiatoia in cui si alternano commensali famelici che usano cuneo fiscale, reddito di cittadinanza, riforme mal definite come distrattori e specchietti per le allodole. In questo momento i partiti dovrebbero prendere posizioni nette intorno a precise scelte politiche: il ruolo dell’Italia nell’Ue e nella Nato, l’immigrazione clandestina, la sicurezza, la destinazione del welfare e, prima di ogni altra cosa, la guerra e il rapporto con la Russia.
Tuttavia in questo quadro desolante c’è qualcosa che non torna. I giornaloni lo interpretano come una follia estiva, un attacco all’Italia, una vergogna (La Stampa): Draghi si imbizzarrisce per le timide richieste di Conte e mostra insofferenza per i sottintesi distinguo della Lega; per rafforzarsi finge di dimettersi proprio quando gode di una maggioranza schiacciante in parlamento, poi d’accordo col Pd ritira le finte dimissioni non perché gode di quella maggioranza ma perché glielo chiedono gli italiani (!); il centrodestra a sua volta finge di rinnovargli la fiducia ma senza i Cinquestelle e a questo punto Draghi si trova in un cul de sac e tenta il colpaccio di scaricare la destra per tornare alla formula del Conte 2 ma i grillini presi a schiaffi da tutti non ci stanno e si chiude il sipario. È vero, come insegnano gli Stoici, che se la conclusione è giusta le premesse possono anche essere sbagliate ed è anche vero che c’è una logica interna allo svolgersi delle cose che sopperisce ai limiti degli attori ma mi permetto il lusso di tentare un’altra chiave di lettura che postula una doppia realtà, quella manifesta (si provoca la crisi perché Draghi non estromette i grillini) ed una nascosta: non sarà che Salvini e Conte, rinsaviti, hanno finto di litigare ma hanno stretto un patto per far fuori Draghi e il Pd che trascinano l’Italia nel baratro del conflitto ucraino? Se così fosse ci sarebbe da sperare in una ricomposizione del fronte populista – lontano dal sovranismo maleodorante di FdI – ripulito dalle scorie e liberato dai ricatti delle banche e dell’Ue.

Mi viene da obiettare che se anche così fosse – ed è quello che temono a Washington a Bruxelles e nelle cancellerie europee – manca però il tempo per una conseguente riorganizzazione del quadro politico; ma quando nel nuovo parlamento si dovesse scoprire che il centrodestra è solo un’ammucchiata priva di una linea politica coerente sarebbe allora il momento per dare rappresentanza al malessere popolare o con una manovra parlamentare e il costituirsi di nuove coalizioni o con un immediato ritorno alle urne che vedesse il fantasma del populismo incarnato da una credibile formazione politica. In tutti i casi i giochi si faranno sul terreno della guerra, delle sanzioni, dell’approvvigionamento energetico e della sopravvivenza delle piccole e medie imprese: l’Italia sopravvivrà solo sottraendosi all’abbraccio mortale di un occidente artificiale, antistorico, vuoto, privo di qualsiasi base culturale, creato dai media su commissione delle lobby finanziarie economiche e militari, perché la vera autentica civiltà occidentale è una sommatoria di culture, lingue, tradizioni diverse di cui la Russia è pare integrante; una civiltà inclusiva che non si chiude all’altro ma del confronto con l’altro si nutre, in termini culturali e spirituali ma anche, più prosaicamente, sul terreno degli scambi commerciali.

Pierfranco Lisorini

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