La disperata vitalità (anche postuma) di Pier Paolo Pasolini

LA DISPERATA VITALITA’ (ANCHE POSTUMA)
DI PIER PAOLO PASOLINI

 
    LA DISPERATA VITALITA’ (ANCHE POSTUMA)
DI PIER PAOLO PASOLINI
 

Sembra un destino. O una persecuzione che continua implacabile oltre la vita indubbiamente intensa ma altrettanto  pericolosa di Pier Paolo Pasolini, divenuto suo malgrado un’icona da adorare per alcuni e un idolo da demolire o un cattivo maestro da dimenticare per altri, in ogni caso una figura di intellettuale poliedrico, di scrittore, di regista e, soprattutto, di poeta  civile dal forte temperamento che  si è sempre trovato al centro di polemiche non solo estetico-letterarie ma anche etico-politiche, religiose  e giuridiche; insomma, si potrebbe dire che P. P. P. non si è fatto mancare niente (salvo la prudenza e il quieto vivere).


Ma alla fine che cosa rimane di tanta passione artistica e civile e di tanto impegno “pedagogico”? Sembra oggi che tutto sia stato vano.

D’altronde lui stesso lo aveva in qualche modo profetizzato nella sua ultima intervista rilasciata a Furio Colombo il primo di Novembre del millenovecentosettantacinque, poco prima di essere assassinato “da ignoti” sul litorale di Ostia, e significativamente intitolata ‘Siamo tutti in pericolo’.  Pasolini temeva e prevedeva la disumanizzazione che la cosìddetta “civiltà delle macchine” avrebbe prodotto, perché, in un prossimo futuro (ma non ci siamo già?), non saranno più gli uomini a servirsi delle macchine ma le macchine, sempre più “intelligenti”, a servirsi degli uomini, sempre meno liberi, sempre più uniformati e sempre meno capaci di scegliere da quale parte stare (se dalla parte dell’uomo o da quella delle macchine): “Qual è la tragedia? La tragedia è che non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra. E noi, gli intellettuali, prendiamo l’orario ferroviario dell’anno scorso, o di dieci anni prima e poi diciamo: ma strano, ma questi due treni non passano di lì, e come mai sono andati a fracassarsi in quel modo?”. Durante la Resistenza era più semplice, se non altro, da quale parte stare, anche se “Quando stai con la faccia schiacciata contro quell’ora, quel minuto della storia, scegliere è sempre una tragedia. Però, ammettiamolo, era più semplice, il fascista di Salò, il nazista delle SS, l’uomo normale, con l’aiuto del coraggio e della coscienza, riesce a respingerlo, anche dalla sua vita interiore (dove la rivoluzione sempre comincia). Ma adesso no”. Perché adesso no? Che cosa è cambiato da allora? E’ cambiata la società, la maniera di vivere, l’ideologia dominante (mascherata da assenza di ideologia), la mentalità dell’uomo medio: “Uno ti viene incontro vestito da amico, è gentile, garbato, e collabora (mettiamo alla televisione) sia per campare sia perché non è mica un delitto. L’altro – o gli altri, i gruppi – ti vengono incontro o addosso – con i loro ricatti ideologici, con le loro ammonizioni, le loro prediche, i loro anatemi e tu senti che sono anche minacce”.


Come dire che non si può contare su falsi amici conformisti e perfettamente integrati, ma nemmeno su presunti  apocalittici che “Sfilano con bandiere e con slogan”, sognando il potere. Alla domanda di Furio Colombo: “Che cos’è il potere, secondo te”, Pasolini dà una risposta memorabile e illuminante: “Il potere è un sistema di educazione che ci divide in soggiogati e soggiogatori. Ma attento. Uno stesso sistema educativo che ci forma tutti, dalle cosiddette classi dirigenti, giù fino ai poveri. Ecco perché tutti vogliono le stesse cose e si comportano nello stesso modo”, anche se, ovviamente, con i mezzi che hanno a disposizione, tutti vogliono il potere, e c’è chi per ottenerlo usa “un consiglio di amministrazione o una manovra di Borsa” e chi invece usa una spranga. “E quando uso una spranga faccio la mia violenza per ottenere ciò che voglio. Perché lo voglio? 

Perché mi hanno detto che è una virtù volerlo, io esercito il mio diritto-virtù. Sono assassino e sono buono”. Ecco a che cosa conduce la volontà di potenza (e di ricchezza) a ogni costo. Non è questa le diagnosi esatta della situazione in cui oggi ci troviamo tutti, volenti o nolenti? Il mondo non è forse di nuovo e ancora in una guerra, anzi, in diverse guerre (sociali, ideologiche, di religione, economiche)? 

Non ci si uccide di nuovo e ancora per imporre il proprio credo a tutti gli altri? A che cosa mira il Califfato se non al potere mondiale (come già il Terzo Reich di Adolf Hitler)? Pasolini avvertiva il pericolo e quasi presentiva che avrebbe patito sulla sua persona la violenza di cui stava parlando. Memorabile anche la metafora dell’acqua che sale con cui si chiude questa intervista

veramente profetica: “Mi sembra che abbiamo definito quella che tu chiami la ‘situazione’. “E’ come quando in una città piove e si sono ingorgati i tombini. L’acqua sale, è un’acqua innocente, acqua piovana, non ha né la furia del mare né la cattiveria delle correnti di un fiume. Però, per una ragione qualsiasi, non scende ma sale. E’ la stessa acqua piovana di tante poesiole infantili e delle musichette del cantando sotto la pioggia. Ma sale e ti annega”. Ora si può certamente discutere su questa visione escatologica che sembra negare ogni speranza di salvezza, ma non si può certo non riconoscerne, anche alla luce delle ricorrenti catastrofi “naturali” che flagellano il globo terracqueo, la fondatezza.  E si può certamente discutere la stessa complessa figura di P. P. P. magari entrando nel corpo vivo delle sue opere, cioè nella lettera e nello spirito dei suoi testi poetici, teatrali e cinematografici (come d’altronde è stato ampiamente fatto, basta dare un’occhiata alla davvero ingente bibliografia pasoliniana, così sulle sue opere letterarie come su quelle filmiche).


Muccino e Pasolini

Quello che, a mio modestissimo parere, non si può fare è tentarne maldestre stroncature postume, accusandolo – come ha di recente creduto bene di fare il cineasta e pubblicitario Gabriele Muccino sulla sua pagina Facebook –  di aver aperto “le porte a quella che era di fatto l’anti-cinema, in senso estetico e di racconto”. Giudizio pesante non supportato da un’adeguata argomentazione filologica e, appunto, estetica (tanto da dubitare della  effettiva competenza critica dell’autore dell’Ultimo bacio). Dispiace che questo incauto giudizio abbia scatenato un “uragano di polemiche, accuse, insulti a cui Muccino ha risposto per le rime, prima di chiudere il suo profilo social” (Fulvia Caprara, su La Stampa del 5/11/15). Povero (in tutti i sensi) Gabriele Muccino! Certo non ti aspettavi un tale profluvio di insulti per aver “postato” il tuo libero pensiero

sul cinema di Pasolini, tu certo l’hai fatto in buona fede…o no? Ai posteri l’ardua sentenza.

 

Fulvio Sguerso

 

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