La disfida dei narcisi

LA DISFIDA DEI NARCISI

LA DISFIDA DEI NARCISI

 Ieri a “Porta a Porta” , sotto l’ala bipartisan di un Bruno Vespa raggiante per essersi aggiudicato lo scoop del primo contraddittorio televisivo tra i due Mattei nazionali, si sono finalmente incontrati, o meglio, scontrati il segretario della Lega ed ex vicepremier nonché ministro dell’Interno del passato governo e ora semplice senatore Matteo Salvini e l’ex presidente del consiglio nonché ex segretario del Partito democratico e adesso anche lui senatore Matteo Renzi, oggi leader della neonata formazione politica “Italia viva”.

 

Due personaggi per certi aspetti simili che tengono banco sulla scena politica ma anche mediatica dell’Italia di questi primi decenni del nuovo secolo; entrambi, infatti,  amano comparire in tivù; sennonché mentre Salvini tiene i suoi comizi quotidiani anche sui social, anzi, ha fatto di Facebook la sua tribuna preferita perché gli permette di parlare (o meglio di fare la sua propaganda) direttamente con il suo amato popolo, senza intermediari o disturbatori vari, come talvolta accade durante i suoi comizi in piazza; per contro Renzi preferisce organizzare le annuali convention alla vecchia stazione ferroviaria fiorentina chiamata Leopolda dal nome del Granduca Leopoldo II, sotto il cui governo fu costruita tra il 1841 e il 1848. Entrambi i Mattei hanno frequentato da giovanissimi gli studi televisivi, Renzi ha partecipato al telequiz  “La ruota della fortuna” condotto da Mike Buongiorno, Salvini a un altro telequiz “Doppio Slalom” condotto da Corrado Tedeschi; i due concorrenti studiavano già da leader.


Aneddoti a parte, i due Mattei presentano indubbiamente alcuni tratti caratteriali comuni: autostima indefettibile, estroversione coinvolgente, autoritarismo, ostinazione, intolleranza alle critiche, determinazione nel perseguire i propri obiettivi,  una certa guasconeria, scarsa propensione all’autocritica, narcisismo secondario, ambizione illimitata. Per tutto il resto i due Mattei non potrebbero essere più diversi: per quanto concerne lo stile comunicativo, Salvini adotta un linguaggio semplificato, si esprime con frasi fatte e con stereotipi già presenti nella lingua parlata dai ceti medio bassi, dice quello che la gente comune vuol sentirsi dire, ben consapevole che l’ elettore italiano medio rifugge dal politichese che sa tanto di “casta”, quindi ecco la sequela degli slogan di facile presa tipo “prima gli italiani”, “aiutiamoli a casa loro”, “la pacchia è finita”, “me lo chiede il popolo sovrano”, “aboliamo la Fornero”, “non siamo servi di Bruxelles”, “meno partenze meno morti in mare”; quando non si perita di  riprendere pari pari alcuni motti ed espressioni del Duce o da lui utilizzati: “Tanti nemici tanto onore”, “Chi si ferma è perduto”, “Datemi pieni poteri”. Sono, come si vede, tutte frasi brevi con un minimo di subordinate, Salvini usa una specie di neolingua orwelliana adatta a un pubblico alieno da astruserie, con un bagaglio limitato di idee e quindi di parole: Salvini  si fa un vanto di non rivolgersi all’ élite del Paese ma al “popolo”, non per educarlo ma per conquistarlo (non si è populisti per niente). Anche Renzi vuol parlare al popolo italiano, ma non allo stesso popolo italiano a cui si rivolge Salvini: Renzi guarda alla borghesia imprenditrice, agli impiegati statali, agli ìnsegnanti, ai manager, a un ceto medio alto stanco di  discorsi fumosi o ideologici o di politici che parlano ad altri politici in un gergo incomprensibile ai non addetti ai lavori.


D’altronde è stato Renzi a introdurre in politica il verbo “rottamare” e il sostantivo “rottamazione” a indicare la necessità di uno svecchiamento e rinnovamento degli apparati di partito e del linguaggio  ingessato dei politici italiani. Questi termini sono stati poi lasciati cadere (come quelli di “gufare” e  “gufi” per significare chi ostacolava l’azione di governo e il cammino delle riforme guardando al passato anziché al futuro) e sostituiti con “questa è la volta buona”, “coraggio” , “crescita”, “speranza”, “entusiasmo”. Sappiamo come è finita la sua parabola e la sua volontà riformatrice: con la sconfitta del referendum istituzionale. Ad ogni buon conto vediamo che Renzi non è tipo da darsi per vinto: è di nuovo leader, non più del Pd ma di un partitino del 4% formatosi in Parlamento, Ma veniamo al duello televisivo. Chi ha vinto e chi ha perso? Intanto c’è un vincitore indiscusso, cioè Bruno Vespa, dato il numero dei telespettatori che hanno seguito la trasmissione: circa 4 milioni con il 25,4% di share. Ora, se la Lega è al 33% e l’Italia viva di Renzi al 4%, è probabile che tra quei 4 milioni gli spettori leghisti fossero in maggioranza, e questo spiega perché, malgrado l’evidente superiorità dialettica di Renzi, il risultato secondo i sondaggi sia di una sostanziale parità.


Pur essendo entrambi animali – come si dice – televisivi, Salvini è apparso più di una volta in difficoltà, ed è rimasto quasi tutto il tempo sulla difensiva: mentre Renzi lo incalzava senza risparmiargli niente anche sul piano personale, Salvini controbatteva spostando il discorso sui porti chiusi o aperti, sulla sicurezza e sugli stupratori e i terroristi che sbarcano dalle navi o dai barconi e con le solite frasi preconfezionate buone per tutte le occasioni: “Ho dimostrato che volere è potere”, “è sempre colpa mia”, “Ho capito che è un reato andare in spiaggia con il proprio figlio” (a proposito del colpo di sole del Papeete evocato da Renzi), “I casi sono due: o gli italiani sono cretini e io non ho fatto nulla, mangio come un bufalo alle sagre, o sono tutti rimbambiti. Il fatto è che io oggi sto al 33% e lei al 4%”, il tutto accompagnato da un linguaggio non verbale ammiccante e furbesco a beneficio del  suo pubblico di fedeli al di là delle telecamere. Essersi guadagnato il consenso della maggioranza degli elettori italiani è l’argomento preferito di Salvini; tuttavia, mi permetto di osservare a margine di questo faccia a faccia o duello che dir si voglia, che  l’intelligenza non è una questione di quantità ma di qualità, anzi, di solito sono pochi quelli che riescono a vedere più lontano dell’immediato presente e degli interessi particolari, famigliari o di partito (giusti son due, e non vi sono intesi). Riguardo ai motivi di quello che Renzi ha definito un colpo di sole, cioè della crisi di governo agostana, Salvini ha ripetuto la litania dei troppi no opposti dal M5S alla realizzazione dei progetti che avrebbero sbloccato i cantieri e ridato slancio all’economia, e per questo bisognava ridare la parola al popolo sovrano, cioè indire nuove elezioni. Già, ma lo scioglimento anticipato delle camere e l’indizione di nuove elezioni, secondo Costituzione,  non spetta al ministro dell’Interno ma al Presidente della Repubblica, il quale deve prima verificare se in Parlamento si possa dar vita a una nuova maggioranza in grado di votare la fiducia a un nuovo governo, dal momento che l’Italia è ancora una Repubblica parlamentare.


Ma siccome Salvini ha ripetuto, anche in questa occasione, che, considerata la situazione di stallo in cui si trovava il governo, era venuto secondo lui  il momento di ridare la parola al popolo, come se il ministro dell’interno avesse il potere di decidere quando andare a elezioni anticipate, Renzi gli ha chiesto quale Costituzione avesse letto o quale altra avesse in mente, ma su questo punto silenzio totale, o meglio,  spostamento del discorso su altri argomenti, tipica strategia di evitamento di fronte a un ostacolo. Questa strategia è riuscita a innervosire Renzi che, a un  certo punto, dopo l’ennesima non risposta è sembrato lì lì per perdere le staffe mentre Salvini è rimasto compos sui per tutto il tempo, sicuro di sé e rispondendo agli attacchi più sferzanti con la tecnica collaudata del sorriso (quanto spontaneo lo lascio immaginare al lettore) convinto di aver vinto, malgrado le sue reticenze,  usando la figura retorica dell’ironia: “Renzi è un genio incompreso: ha tagliato le tasse, risolto la pace nel mondo, fatto ricrescere i capelli ma gli italiani non se ne sono accorti. E’ così geniale che ha trovato un nuovo governo sotto un fungo”.


In conclusione si può convenire sulla superiorità salviniana quanto al linguaggio non verbale (i sospiri, gli occhi al cielo, i sorrisetti ironici)  e sulla superiorità renziana quanto al linguaggio verbale (a uno spettatore imparziale è apparsa evidente la maggior estensione del registro lessicale del politico toscano rispetto al politico lombardo). Il momento più comico del duello è stato quando i due Mattei si sono accusati reciprocamente di mentire al proprio elettorato e al Paese intero, era come quando il bue dà del cornuto all’asino. Riguardo al merito delle spinose questioni su cui ha insistito invano Matteo Renzi ne sappiamo quanto prima, cioè niente: quali sono stati i veri motivi per i quali ha deciso dall’oggi al domani di staccare la spina al primo governo Conte? Mistero. Che fine hanno fatto i 49 milioni di soldi pubblici erogati alla Lega? Non si sa. Se Savoini nell’affaire della compravendita di gasolio russo e della tangente chiesta per finanziare la Lega ha agito per suo conto e all’insaputa del suo leader, perché Salvini non lo ha querelato? Silenzio. Quali sono i reali rapporti tra Salvini e la Russia di Putin? Mistero. Su un solo punto i due Mattei si sono trovati d’accordo: nell’ avversione  per il premier Giuseppe Conte. Prove tecniche di un futuro duello politico? Chi vivrà vedrà

  FULVIO SGUERSO 

 

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