La Cgil di Maurizio Landini non è più…

 

 La CGIL di Maurizio Landini  

non è più un sindacato incolore

 

La CGIL di Maurizio Landini  

non è più un sindacato incolore

 E’ più o meno dai tempi di Menenio Agrippa che le braccia e lo stomaco della società litigano tra loro su chi abbia più meriti e più diritti nel portare nutrimento all’organismo. E questa dialettica tra lavoratori (le braccia) e datori di lavoro (lo stomaco) è sana: sissignore. Perché solo dal periodico confronto tra i moli che in un sistema complesso devono funzionare affinché tutto funzioni al meglio si può periodicamente mettere a punto l’equilibrio tra le parti. L’annunciata  nomina di Maurizio Landini alla segreteria generale della Cgil in sostituzione dell’incolore Susanna Camusso è, in questo senso, una buona notizia.


 

“Ofelè, fa il to mestè”, dice il proverbio milanese. Ovvero: ciascuno deve svolgere il suo ruolo e quindi, in materia sindacale, avanzare le sue richieste ai propri interlocutori. I sindacati devono chiedere più soldi, più occupazione e più diritti; i datori di lavoro, più produttività e lealtà aziendale. Da questo incontro/scontro deve scaturire l’equilibrio ottimale. Più i negoziatori sono forti, più l’accordo è prima difficile e poi durevole, come fu tra Cofferati e Ciampi.

Landini aveva vissuto alcuni anni fa, tra il 2010 e il 2011, una stagione di grande notorietà perché si era imposto come l’anti-Marchionne, respingendo le richieste dell’ex, defunto, capo della Fiat per una contrattazione separata e astenendosi dal condividere un accordo che venne poi firmato da Cisl e Uil. 

Il tempo però se non ha dato ragione del tutto a Landini (la Fiat è riuscita finora ad andare economicamente bene) ha dimostrato che miracoli occupazionali il compianto manager abruzzese non ne ha fatti e che i dipendenti del gruppo in Italia si sono ridotti dai 77 mila del 2005, primo anno tutto gestito da Marchionne, ai 60 mila attuali.

Oggi, il ritorno di Landini sulla scena in una posizione chiave restituisce alla sinistra sociale del Paese un briciolo di identità. Magari costruita in parte su ideologismi superati: ma pur sempre meglio che nessuna identità.

 Senza un’opposizione attiva, nessun regime resta a lungo democratico, e questa prospettiva non piace alla fin fine a nessuno, nemmeno a quelli che oggi sbuffano all’idea di doversela di nuove vedere con Landini.

La robotizzazione, che toglie spazio al lavoro umano; la globalizzazione, che pone concorrenza i Paesi neo schiavisti del Sudest asiatico con i nostri; la crisi ecologica, che spaventa tutti, sono altrettanti argomenti sui quali la sinistra di governo italiana ha da anni perduto la voce e le idee. Per sbagliate che possano essere considerate da chi non le condivide, ci vogliono. Se non altro, per la stessa ragione che rende necessario il nero: far risaltare il bianco.

 

SERGIO LUCIANO  Italia Oggi

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