IV Edizione finalese della Festa dell’inquietudine

 INQUIETUDINE  E  RISPARMI

IV Edizione finalese della Festa dell’inquietudine

 INQUIETUDINE  E  RISPARMI

IV Edizione finalese della Festa dell’inquietudine

 Lo scorso weekend si è tenuta a Finalborgo la IV Edizione finalese della Festa dell’inquietudine, promossa da Comune, Provincia, Regione e Fondazione Carisa. Ottima organizzazione e presenze di primo livello. Il dibattito che più mi ha coinvolto è stato quello sul tema “Che fine faranno i nostri risparmi?”.

 Lo stile è stato quello della tavola rotonda, con una moderatrice e quattro relatori* del mondo bancario, universitario e degli investment advisors. Quando mi sono reso conto che, più che all’inquietudine, i discorsi erano improntati all’ottimismo tipico dell’establishment, mi sono permesso di chiedere un piccolo spazio di intervento, in genere non previsto in questo genere di consessi.

In primis, ho voluto sottolineare come di risparmi in questi anni si parli più per lamentare di dovervi ricorrere per sopperire alla diminuzione o alla scomparsa dei redditi, con genitori e nonni a fare spesso da ammortizzatori sociali di figli e nipoti.

Secondo, sono dieci anni, da quando siamo passati dalla lira all’euro, che l’inflazione reale è ben lontana dalle cifre tranquillizzanti dell’Istat. E poiché l’euro ha portato con sé una diminuzione del potere d’acquisto di ca. 60%, i risparmi si sono sbriciolati nelle mani di quanti avevano privilegiato il risparmio rispetto alla spesa. Numero e “peso” dei risparmiatori si è quindi notevolmente ridotto.

A questo punto il mio discorso è stato interrotto dal dottor Giacomo Campora, che ha confutato la mia asserzione che ciò che ieri costava mille lire venga oggi fatto pagare un euro o anche più; pur essendo questa l’amara constatazione di chi fa ogni giorno la spesa: il main street people. Chi delega altri a farla, liquida questo dato di fatto come percezione popolare, non “scientifica”, insomma emotiva.

Il dottor Campora, per avvalorare la sua confutazione, ha portato l’esempio delle case. Chi avesse comprato una casa anni fa –ha ribattuto- oggi si ritroverebbe con un valore intatto o addirittura superiore. E ha quindi concluso che la miglior forma di risparmio è proprio la casa, che mantiene inalterato il suo valore nel tempo.

A parte il fatto che gli investimenti nel mattone subiscono cicliche quanto salutari esplosioni delle bolle speculative, come avvenne nel 1992 e dal 2007 in poi, in linea di massima non si può che concordare sul fatto che, se una casa costava 100 milioni di lire, oggi la si paga almeno 100mila euro. Ma questo non fa che confermare quanto ho sostenuto a proposito dell’inflazione da euro.

C’è poi un’ulteriore riflessione da fare: la tendenza a investire i propri risparmi nell’immobiliare ha portato ad un consumo abnorme del territorio, specie nelle periferie delle grandi città e in ogni luogo a vocazione turistica, specie costiero. Col risultato che l’Italia conta oggi centinaia di migliaia di alloggi sfitti, lasciati vuoti in attesa della “ripresa”. Ripresa che altro non sarebbe, dal punto di vista ambientale, che un nuovo slancio al consumo del territorio, sia come spazio che come serbatoio di materie prime. È questo il messaggio rassicurante che si vuol trasmettere a chi ha risparmi in cerca di investimento? Non è un messaggio antisociale, che va contro agli interessi della comunità?

Immagino la risposta sia che il privato, includendo nel privato banche e financial advisors, deve badare al profitto; mentre sta agli organi pubblici preoccuparsi di regolamentare i modi con cui il privato lo persegue.

 Purtroppo, però, i vari governi, di qualunque colore, hanno sempre enfatizzato, in particolare dai primi anni ’90, le privatizzazioni, assumendo in proprio una visione privatistica della società e facendo quindi venir meno l’equilibrio dei checks and balances che sono alla base di ogni buon  governo.

Lo Stato è arretrato su tutti i fronti, lasciando via libera al sacco del territorio (e delle proprie aziende), all’insegna del motto “Meno Stato – Più mercato”, nella convinzione che la crescita del PIL compensasse il mancato taglio dei pubblici sprechi.

Quasi non bastasse, è arrivata, insalutata ospite, la globalizzazione, sui cui guasti sociali e ambientali non mi soffermo, limitandomi ad indicare il libro “La paura e la speranza” di Giulio Tremonti, tanto per citare un uomo certo non di sinistra.

In conclusione, condivido con i relatori l’intento di conservare il potere d’acquisto dei nostri risparmi, laddove esistono, ponendo attenzione però ad indicare forme eco-compatibili, come oggi si dice, onde non esacerbare ulteriormente una situazione già gravemente compromessa, che il clima sta sempre più allertandoci a non sottovalutare.

Qualcuno dirà che sto girando intorno al problema, non avendo sin qui dato alcuna soluzione alla domanda iniziale. Premesso che non esiste una risposta univoca e senza controindicazioni, posso indicare, come minore dei mali, i metalli preziosi. Ben conscio che anche la loro estrazione e lavorazione comporta ferite ambientali; che tuttavia sono minori –salvo prova contraria- delle colate di cemento denunciate in innumerevoli pubblicazioni**, sin dall’epoca delle coraggiose denunce di Antonio Cederna.

Anche l’oro, peraltro, ha avuto le sue fiammate e ricadute, l’ultima nel 1980 con un successivo calo dagli $ 800 l’oncia ai $ 250 di fine anni ’90. Complice non secondario il mondo bancario, che mal sopporta(va) la concorrenza di qualcosa di inalterabile e non moltiplicabile ad libitum rispetto alla carta che le banche centrali stampano dal nulla, “prestandola” agli Stati al valore di facciata, più gli interessi, in cambio di BOT, BTP, ecc., contribuendo così all’inflazione e creando ipso facto il c.d. debito pubblico. Una strategia comprovata dalla massiccia e programmata vendita di oro da parte di tutte le banche centrali sino al 2010, quando la tendenza si è rovesciata, a cominciare da Cina e Russia.

Il dottor Campora si è detto ben disposto a dibattere sul tema del debito pubblico vs. signoraggio, in un convegno che il Comune di Finale potrebbe patrocinare, in quanto influisce in misura marcata su quei fondi che lo Stato non riesce più ad erogare agli enti periferici in misura dignitosa, specie dopo il ridimensionamento dell’ICI.

Segreto gelosamente custodito fino al 2004, il raggiro del signoraggio, che permette a un club privato di mettere subdolamente le mani nelle nostre tasche, è ormai dilagato grazie ad Internet e non giova a nessuno fingere che non esista. Certo, la sua divulgazione disturba le banche. Ma la reticenza sulle sue ricadute sociali disturba la nostra intelligenza.   

Marco Giacinto Pellifroni                                                                                         5 giugno 2011 

* Luciano Pasquale, Presid. Carisa e CCIAA Savona; Giacomo Campora, CEO Allianz Bank Financial Advisors; Sergio Sorgi, Presid. Progetica; Ruggero Bertelli, Prof. Economia Intermediari Finanziari, Univ. Siena.

** Ultima “La Colata”,  AA.VV., Ed. Chiarelettere, 2011

 

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