Ius soli, ius culturae, ius sanguinis

IUS SOLI, IUS CULTURAE, IUS SANGUINIS

IUS SOLI, IUS CULTURAE, IUS SANGUINIS
  La discussione che si sta svolgendo al Senato della Repubblica sulla riforma della legge che riguarda il diritto di cittadinanza dei figli degli stranieri nati in Italia ha, se non altro, il merito di marcare ancora la differenza tra Destra e Sinistra, differenza che da più parti è stata sbrigativamente archiviata come un obsoleto ferrovecchio ideologico ormai inutilizzabile nell’ attuale contesto storico caratterizzato, più che dalla lotta di classe, dal nuovo disordine mondiale e dallo scontro di civiltà di cui discettava il politologo statunitense Samuel P. Huntington nel 1996, oltre che dall’inarrestabile declino dell’Europa come potenza mondiale. Le reazioni al limite dell’isteria di alcuni esponenti della Lega Nord e l’ira che la nuova legge sullo ius soli proposta dal Partito Democratico e da tutta la Sinistra parlamentare provoca nel campo della Destra, così di quella cosiddetta moderata come di  quella radicale, rivelano, appunto, la persistenza oggettiva dell’antitesi destra/sinistra malgrado le sirene che la davano per estinta.

In questo clima di guerra civile ideologica e di eterna campagna elettorale, trentacinque filosofi italiani hanno pensato bene (o male, secondo i punti di vista) di lanciare un appello, tramite la rivista MicroMega, “alle senatrici e ai senatori della Repubblica affinché venga approvata la legge che conceda finalmente la cittadinanza italiana ai figli degli immigrati non solo per ius soli, ma anche – come è giusto che sia – per ius culturae. E’ una legge di civiltà, che supera quel “diritto del sangue” che ancora prevale. Sono tanti gli adolescenti giunti nel nostro paese che, dopo aver frequentato le scuole italiane per anni, attendono un segno concreto di ospitalità. Occorre riconoscere i loro diritti, che sono anche i nostri. Non approvare questa legge sarebbe una sconfitta, prima ancora che per loro, per noi che ci definiamo ‘italiani’, che veniamo dalla tradizione dell’umanismo, che non possiamo dimenticare l’esempio della ‘cittadinanza’ romana, che vorremmo nel futuro prossimo avere più voce in Europa”. Primi tre firmatari: Remo Bodei, Donatella Di Cesare, Roberto Esposito, i cui nomi sono – prendendo a prestito il linguaggio della pubblicità – una garanzia. Mi chiedo che cosa ci sia di tanto scandaloso in questo appello, che il prof di filosofia Pier Franco Lisorini (ormai anch’egli divenuto una firma stabile  di “Trucioli savonesi”) definisce addirittura “raccapricciante”.

Nel suo articolo “Perché la sinistra ha perso, e perderà ancora” uscito domenica scorsa su questa rivista leggiamo infatti: “Trentacinque filosofi hanno firmato un manifesto in difesa dello ius soli, memori in questo caso (è gente che ha studiato) dell’editto di Caracalla, che estendeva la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’impero, quando ormai il civis era diventato un suddito. Ci scherzo ma è una cosa raccapricciante e mi dispiace che il primo firmatario sia un mio vecchio compagno (!) di università, che ha così buttato alle ortiche una carriera prestigiosa. Di fronte al disastro di cui gli italiani sono vittime e, per ora, spettatori inermi, di fronte alla corsa indecorosa per zavorrare il Paese con centinaia di migliaia e presto di milioni di africani da mantenere, il problema vero per questi trentacinque sedicenti filosofi è conferire loro la cittadinanza, farne i nuovi italiani, al popolo di popolo (sic?) di eroi, di santi, di poeti, di artisti, di navigatori, di colonizzatori, di trasmigratori ora bisognerà aggiungere di scrocconi”. Ho voluto riportare per intero questo passo perché a me sembra una specie di contromanifesto i cui primi firmatari (oltre, ovviamente, al prof Lisorini) potrebbero benissimo essere Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Anche il prof Lisorini è un intellettuale, cioè una persona che ha studiato e insegnato per anni filosofia, e quindi non può non sapere che la Constitutio Antoniniana emanata da Caracalla nel 212 d. C., al di là delle intenzioni demagogiche e soprattutto erariali, ebbe il merito di realizzare l’unificazione giuridica e politica di tutti gli abitanti liberi dell’impero.

Questo per dire che l’estensione dei diritti e dei doveri favorisce la convivenza civile e la coesione sociale e che il problema vero per i filosofi firmatari dell’appello non è tanto la cittadinanza in sé, pur importante, ma è favorire l’integrazione e la comprensione reciproca tra soggetti e mondi diversi, onde scongiurare conflittualità, emarginazione e derive estremiste. Quanto allo ius soli che vorrebbero i trentacinque filosofi – tra i quali accademici come Salvatore Veca, Giacomo Marramao, Massimo Donà e Giulio Giorello (allievo di Ludovico Geymonat), quindi tutt’altro che “sedicenti” – si tratta della sua versione temperata: non  chiunque nasca sul suolo nazionale è cittadino italiano, ma saranno tali i figli nati nel territorio della Repubblica da genitori stranieri se almeno uno di loro ha un permesso di soggiorno Ue di lungo periodo e risulta legalmente residente in Italia da almeno cinque anni. Oppure lo ius culturae prevede che possano ottenere la cittadinanza italiana anche i minori stranieri nati in Italia o entrati entro il dodicesimo anno, che abbiano frequentato regolarmente per almeno cinque anni uno o più cicli presso istituti scolastici del sistema nazionale. Quindi non c’è nessun automatismo. Certo dietro a questa legge che facilita il conseguimento della cittadinanza ai figli di immigrati regolari già residenti nel Paese si intravede anche un calcolo politico: questi nuovi cittadini, probabilmente, simpatizzeranno più per la Sinistra che li accoglie piuttosto che per la Destra che vorrebbe emarginarli e rispedirli ai loro Paesi. In ogni modo, leghisti, sovranisti, neonazionalisti e neofascisti di Forza Nuova e Casa Pound dovranno pur farsene una ragione: i muri e i paletti di confine non potranno reggere a lungo in un mondo ormai globalizzato dove sarebbe il caso che vigesse per tutti lo ius gentium.
 
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