Italiani euroscettici

     ITALIANI EUROSCETTICI

ITALIANI EUROSCETTICI

Un sondaggio rivela che noi italiani siamo i più scettici verso l’Unione Europea: il 56% voterebbe per un Italexit, sulla scia della Brexit. Ben 2 su 3, invece, il 65%, non cambierebbe l’euro con una moneta nazionale. [VEDI]

 

A rischio di passare per presuntuoso, mi schiero decisamente contro questa duplice scelta; nel senso che la ribalterei.

Premetto che non condivido di certo la politica di questa UE; ma le elezioni europee sono ormai prossime, e c’è una fondata speranza di poterla cambiare in una versione più rispettosa delle esigenze delle nazioni, diciamo in chiave “sovranista”, dimostrando la sua utilità nel fare da watchdog, da “cane da guardia” contro le trasgressioni degli Stati rispetto a leggi di vitale importanza, in primis quelle ambientali, vero tallone d’Achille dell’Italia.

L’Unione Europea può e deve essere cambiata.

Purtroppo, non è così per l’euro, nato sbilanciato in favore di alcune nazioni, specie del Nord, a spese delle nazioni meridionali, come Italia, Grecia e Spagna. L’euro non può essere minimamente cambiato: va preso o lasciato. Non ci sono vie di mezzo. 

Quindi, credo che l’Italia farebbe bene a restare in un’UE totalmente rifondata, mentre dovrebbe abbandonare una moneta che l’ha portata alla deriva. 

Del resto, esistono nazioni europee che sono entrate a far parte dell’UE, pur senza aderire all’euro, come Svezia e Danimarca. La scelta della Gran Bretagna di tenersi la sterlina è stata saggia; non altrettanto, a mio avviso, quella di sganciarsi dall’UE. Altre nazioni, come Ungheria, Romania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e tanti altri, sono nell’UE, ma non hanno l’euro. L’Italia dunque non sarebbe affatto un caso isolato.  

 

 

Saggia decisione quella inglese di tenersi la sterlina;

problematica invece quella di uscire dall’UE

 

Come ho già detto e ripetuto, conditio sine qua non per un simile addio sarebbe che la nuova moneta fosse emessa dallo Stato senza debito né interessi verso chicchessia: leggi banche e organismi finanziari internazionali che hanno saputo, con l’acquiescenza dei governi, fregiarsi del titolo di “istituzioni”: un fondo pensione americano, per esempio, è un’istituzione? Sono “istituzioni” la varie banche d’affari della City e di Wall Street, che prosperano facendo “consulenze” ai vari governi, Italia in testa, nelle decisioni più strategiche, che i nostri Ministeri, in particolare quello del Tesoro, sembrano non essere in grado di fare, come quando si tratta di ricorrere ai derivati? Chiedere consulenze a chi guadagna dai tuoi sbagli è cosa saggia? Eppure, l’andazzo è andato avanti per anni, se non decenni; e non è ancora cessato, sia a livello MEF che regionale, provinciale e comunale. 

Ci scanniamo per trovare i soldi per far fronte a eventi drammatici, come il crollo del ponte Morandi, alluvioni, terremoti, per i quali non si trovano i milioni, mentre i balletti dei derivati e degli interessi sul debito pubblico viaggiano nell’ordine dei miliardi. Mario Monti,  mentre portava l’Italia alla fame, elargiva senza batter becco oltre 2 miliardi alla Morgan Stanley per un contratto osceno stipulato dai “tecnici” del MEF, che “non si erano accorti” della manina che aveva inserito una clausola capestro a sfavore dell’Italia.

Di manine che infilano di soppiatto clausole estranee allo spirito di una legge o di una finanziaria l’Italia vanta numerosi esempi, l’ultimo questa settimana, per condonare gli evasori fiscali.

Ma restiamo in tema. Non potendo in alcun modo cambiare l’euro, appannaggio oscuro e insindacabile sia della BCE che delle banche commerciali private che ne sono gli azionisti, non c’è alternativa: per rinascere, per non veder crescere inesorabilmente, anno dopo anno, il numero di poveri assoluti (siamo a 5 milioni!), per non dover restare inerti di fronte a situazioni che richiederebbero interventi massici e immediati (si pensi solo alla messa in sicurezza di un intero territorio, che scivola verso il mare ad ogni nubifragio) non resta che conferire allo Stato il potere di emettere moneta. Certo, non stampandola per interessi di parte o di partito, ma dosandola a seconda delle reali esigenze del Paese. Affidandola quindi a un MEF retto da funzionari pubblici competenti e onesti; nel senso che non si trovano lì come in uno stage, in attesa di passare al servizio di chi avrebbero dovuto controllare. Certo non alla Banca d’Italia, che d’Italia è solo nel nome, pur fregiandosi, anch’essa, del blasone di “istituto di diritto pubblico”. 

 


Riporto dalla rete quest’immagine, dalla rude schiettezza

 

Concludo con una curiosità: ho voluto vedere come gli antichi romani chiamavano l’interesse. La parola latina corrispondente era: usura! 

Come dire che qualsiasi forma o entità di interesse equivale a usura, ovvero all’appropriazione di un guadagno illecito. L’usura è come il cancro, che non si manifesta subito, ma in maniera latente, fino ad esplodere quando ormai è troppo tardi. Oggi più che mai il denaro fluisce dal corpo vitale della nazione, l’economia, verso i suoi parassiti: uomini in doppiopetto, membri del jet set, capaci solo di prendere dalla società, privatizzando i profitti e pubblicizzando le perdite.

 L’interesse è comunque usura perché mangia poco alla volta il capitale, come il sale dell’acqua marina, che più se ne beve e più cresce la sete. Ciò non è avvertito a livello individuale, perché all’individuo manca la visione d’insieme. Ma un matematico lo scoprirebbe con qualche semplice calcolo. [VEDI]. E finché la facoltà di emettere denaro a interesse, cioè usurario, viene lasciato nelle mani di un clan privato transnazionale, intere nazioni ne sono e saranno soggiogate; mentre la politica scade a mero gioco di copertura della triste realtà (e tanto vale anche per i Tribunali, con le loro sentenze salva-banche). Tutti ne siamo colpiti, ma pochi si rendono conto delle radici del male.

     Marco Giacinto Pellifroni    21 ottobre 2018

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