Intervista al musicista savonese Federico De Caroli conosciuto col pseudonimo Deca

Intervista esclusiva di Alessandro Bianchi al savonesissimo Deca, alias Federico De Caroli, che ha appena pubblicato il suo nuovo disco 
INTERVISTA AL MUSICISTA SAVONESE FEDERICO DE CAROLI CONOSCIUTO COL PSEUDONIMO DECA

INTERVISTA AL MUSICISTA SAVONESE FEDERICO DE CAROLI
CONOSCIUTO COL PSEUDONIMO DECA

Incontro Deca, al secolo Federico De Caroli, ad un mese dall’uscita del suo nuovo disco, dall’intrigante titolo “Onirodrome Apocalypse”.

Un savonese doc che il nome di Savona da anni lo tiene alto nel mondo grazie ad una carriera musicale realmente pregevole, fatta di tanta originalità e pochi compromessi, che lo ha portato ad essere uno dei più stimati compositori del genere ambient in Europa. Ma non solo: anche sperimentatore e precursore di varie tendenze, autore di colonne sonore e musiche per la RAI, collaboratore di nomi prestigiosi della scena artistica internazionale.

Mezzo secolo compiuto proprio quest’anno e un bagaglio di progetti sempre notevole. Impossibile non avere la tentazione di interrogarlo a tutto campo.


A.B. – Ad appena un mese dalla pubblicazione, il tuo nuovo album incassa già notevoli consensi e attenzioni, pur trattandosi di musica non di largo consumo. Leggiamo elogi che farebbero inorgoglire la più scafata delle rockstar. Come si concilia tanta attenzione con una dimensione di quotidianità così “normale” come la tua?

 

Deca – La mia è la miglior dimensione possibile, per il tipo di cose che faccio. Mi consente di avere piena libertà d’azione, nonché il tempo e la lucidità di progredire senza scadenze imposte. E nel contempo di non dover rinunciare alla normalità quotidiana che per me è vitale: gli amici, gli affetti,  un sostanziale anonimato. Le tentazioni del successo di vasta portata le ho avute anche io, sarebbe stupido nasconderlo. Ma oggi le considero solo una fase inevitabile e transitoria. Sarebbe stata inconciliabile con il mio spirito e con l’esigenza di spaziare creativamente, senza alcun reale vincolo.

A.B. – La tua musica dagli esordi ad oggi è diventata un “prodotto” sempre più di nicchia. Forse questo è il principale aspetto inconciliabile col concetto di successo.

Deca – A parte i miei primi album, realizzati in gioventù ed ispirati ad un filone tutto sommato commerciabile – se non commerciale – ho percorso una strada di ricerca che mi ha portato a consolidarmi in una nicchia piuttosto lontana dal grande pubblico. Questo tuttavia non mi ha impedito di restare a contatto con varie tipologie di ascoltatori. Non necessariamente solo gli appassionati di musica elettronica comprano i miei dischi. Anzi, spesso i commenti più entusiasti e calzanti li ricevo da persone che hanno gusti distanti. Credo avvenga perché sono liberi da certi pregiudizi e quindi in grado di apprezzare meglio l’essenza emotiva e visionaria della mia musica.

A.B. – Il nuovo album “Onirodrome Apocalypse” è un concentrato di tutto quello che hai messo a frutto in questi trent’anni. C’è dentro tanta sperimentazione, un approccio non convenzionale al suono, ma anche melodia, suggestione, ritmo ipnotico. L’eco dei tuoi precedenti lavori si percepisce bene.

Deca – Ho definito “Onirodrome” una sorta di testamento artistico, perché scaramanticamente se dovessi morire domani e non realizzare più nulla, chiudere con questo album sarebbe perfetto! Ma altrettanto scaramanticamente penso che sia solo il capitolo finale di un ciclo e che d’ora in avanti posso permettermi di esplorare e sperimentare altrove. Infatti, reputo quest’opera una delle più bilanciate e dense che abbia mai realizzato. In quasi due anni di lavorazione ho messo a frutto l’esperienza che mi ha portato fin qui dalla metà degli anni ’90, periodo in cui impressi una svolta decisiva al mio rapporto con il suono. Questo album, oggi, contiene il risultato globale di un percorso intenso e tortuoso. Ne è prova il fatto che gli otto brani sono stati costruiti usando sia sonorità elettroniche, che sonorità e rumori naturali, il tutto amalgamato in modo da non distinguere cosa è artificiale e cosa non lo è.


A.B. – Qui però manca il pianoforte, che è lo strumento con cui sei nato artisticamente e su cui ti sei formato. Pianoforte che era tornato protagonista nel precedente disco del 2010 “Automa Ashes”.

Deca – Si tratta di un’assenza solo apparente. Nascosto qua e là anche nel nuovo disco c’è il pianoforte. Il suo timbro inconfondibile però è stato manipolato, filtrato, per proiettarlo oltre la tradizione, pur conservando le sue caratteristiche emozionali. Il pezzo dove compare, infatti, a detta di tutti è il più malinconico, toccante, intriso di pathos. Dunque non ho tradito le mie origini.

A.B. – E il pazzo in questione quale sarebbe?

Deca – Il titolo è “Vilisa”, terza traccia dell’album.

A.B. – A proposito di titoli, anche nella parola scritta la tua musica (che è quasi totalmente strumentale) propone sempre immagini ed evocazioni accattivanti, misteriose. C’è sotto uno studio particolare proprio per supplire all’assenza di comunicazione verbale?

Deca – I titoli dei dischi e delle singole composizioni non sono mai casuali o buttati lì e hanno invece un peso notevole nella percezione globale di ogni opera. Perché devono riflettere lo spirito che la anima ed evocare – per l’appunto – con immediatezza la dimensione mentale ed emotiva che rispecchiano. I miei poi sono quasi tutti concept-album, per cui ogni parola scritta sulla copertina, così come le immagini, sono vincolate tra loro e hanno uno o più significati precisi. Sono realmente progettate con molta cura.

A.B. – Onirodrome Apocalypse è un titolo bellissimo e usa una parola molto nota ed una quasi sconosciuta. Inoltre dalla copertina si evince che l’ambientazione dell’album è legata alla tua città natale.

Deca – Sono due parole ovviamente di radice ellenica. Apocalisse significa rivelazione, anche se nell’accezione popolare viene sempre associata a catastrofi e tragedie di proporzioni bibliche per via dell’Apocalisse di Giovanni. Onirodromo invece significa più o meno il luogo dove corrono i sogni. Perchè -dromo è il suffisso per indicare un posto dove si corre o gareggia. Questo è ben noto. Oniro è relativo ai sogni. Quindi il titolo indica in pratica una rivelazione attraverso un forte flusso di sogni. Perché è questo che racconta il romanzo a cui il disco è totalmente ispirato.

A.B. – Romanzo che stai ancora scrivendo, se non erro.

Deca – Iniziato ben prima dell’idea di farne anche un’opera musicale e sicuramente ancora lontano dall’essere terminato. Scrivere è molto più complesso – almeno per me – che comporre e registrare musica. Questo romanzo ha uno svolgimento narrativo lungo e intricato, che è ambientato in effetti a Savona. Una Savona abbastanza diversa da quella che viviamo ogni giorno, in quanto percepita in modo trasversale anche attraverso visioni e precognizioni. Una città metamorfica che mescola suggestioni del passato e proiezioni del futuro. Il disco è suddiviso secondo quelli che sono i capitoli del romanzo e in pratica sono un modo alternativo di raccontare la stessa storia. Solo che nel romanzo è narrata con la parola, nel disco con una stratificazione sensoriale molto più ampia e indefinibile. Non è una semplice colonna sonora del romanzo, insomma.

A.B. – Visto che sei anche l’autore delle inquietanti foto della copertina, quanto è importante per te avere la possibilità di integrare varie discipline creative e artistiche? Hai all’attivo la produzione di videoclip e cortometraggi, mostre di quadri, progetti di design e fumetto, regie teatrali…

Deca – Confrontarmi con altri mezzi espressivi oltre alla musica è sempre stata un’esigenza viscerale, sebbene coltivata di volta in volta con finalità più o meno velleitarie. Girare video, ad esempio, mi è servito per arricchire e perfezionare le mie esibizioni dal vivo. Così come dedicarmi alla fotografia e alla grafica, che sono aspetti legati alla produzione di dischi. Tanto che ho anche collaborato in questa veste ai progetti di altri artisti. In altri campi, invece, ho avuto delle opportunità per cimentarmi e accostare discipline nuove al contesto musicale. Talora con scarsi risultati, ma l’importante è averlo fatto. Sperimentare per me è vitale.

 

A.B. – L’esperienza di direttore artistico al Teatro Sacco è stata importante in questo senso?

Deca – Le due stagioni al Teatro Sacco mi hanno dato modo di dare forma a vari progetti che altrimenti non si sarebbero mai concretizzati. Aldilà dell’esperienza meravigliosa sotto il profilo culturale e sociale, in quanto membro del team che ha ridato vita a questo gioiello savonese, disporre di quello spazio mi ha permesso di collaborare con altri artisti locali e non, di mettere in scena performance molto articolate preparandole adeguatamente, nonché di vivere in una cornice stupenda quello che ad oggi resta il mio ultimo concerto solista come pianista (novembre 2009 N.d.R.) E a proposito di arti grafiche… all’epoca mi occupavo anche della creazione di tutte le locandine degli spettacoli in cartellone.

A.B. – Col passare degli anni le tue apparizioni dal vivo qui in zona si sono diradate sempre di più, a dire il vero. La piazza savonese e ligure non è congeniale per una data dei tuoi tour?

 

Deca – In città la mia ultima apparizione con un concerto vero e proprio risale al 1994, quando portai tra le mura della fortezza una performance di musica elettronica corredata di proiezioni video, luci e molto altro. Per il resto ho trovato via via sempre più difficile avere interlocutori e spazi adeguati al mio tipo di proposta. Il Teatro Sacco stesso non ha le caratteristiche per questo format. Suono musica che necessita di atmosfera e concentrazione, supportata quindi da una dimensione consona e da vari apparati scenografici. E da un’acustica adatta a certe sonorità. Ho preso atto che è molto più facile organizzare spettacoli in altre regioni o Paesi oltreconfine. In ogni caso io non faccio veri tour, piuttosto progetto singoli eventi che poi vengono replicati nell’arco di un paio d’anni in varie città. Peccato che a Savona sembri molto complicato, anche magari sfruttando spazi particolari, da allestire per l’occasione come avvenne al Priamar 20 anni fa.

A.B. – Per concludere: si direbbe che tu sia votato definitivamente ad una carriera solista.

Deca – Le esperienze collettive non mi sono mancate, in passato. E suonare con una band o comunque in contesti non solisti, a parte inevitabili problematiche, offre sempre un clima emotivo molto intenso e irripetibile nell’esperienza solista. Tuttavia, il percorso che ho seguito per vocazione mi ha quasi imposto una scelta di questo tipo. La musica che realizzo oggi e che è quella per cui ho attitudine e vera passione, necessita di un unico binario  in tutto il suo processo di creazione ed elaborazione dei suoni, di gestione degli strumenti, di sviluppo delle idee. L’identificazione dell’opera con il suo autore è totale. E non ne faccio una questione di ego, benché da questo punto di vista io mi prenda tutti gli onori del risultato (ma mi assuma anche tutti gli oneri, inclusi eventuali insuccessi). Il punto è che avendo modo di realizzare ogni lavoro nella sua interezza in completa autonomia, lo faccio. Non avrei mai la pretesa, peraltro, di scrivere e incidere un album rock tutto da solo.

Alessandro Bianchi

 

La redazione ringrazia Il Musicista Deca e il genovese Alessandro Bianchi che con questa intervista ha reso omaggio in modo particolare ai savonesi, che hanno un concittadino di tale levatura.

 

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.