Infinito

PENSIERI FINITI
NELL’INFINITO

PENSIERI FINITI
 NELL’INFINITO
 
Sempre più spesso mi sorprendo a pensare: come è sempre finito il nostro infinito! Come è in-con-prensibile dal nostro umano intelletto, limitato eppur consapevole dell’illimitato spazio che lo circonda e dell’in-finità che eccede il tempo circoscritto e a scadenza della nostra vita! Nondimeno c’è chi non si rassegna, e cerca ostinatamente di pensare (pesare) l’impensabile e l’imponderabile, l’immenso e l’eterno. Prendiamo i numeri naturali: chi potrà contarli mai tutti? Anzi: esiste un numero così smisurato , una specie di mostruoso mega o metanumero che li con-tenga tutti? C’è l’infinito dei matematici, certo, ma si trova da qualche parte al di fuori dei loro calcoli e delle loro formule? E dove mai può trovarsi un infinito se non nell’infinito? Quanti sono gli infiniti? E’ possibile pensare un’infinità di infiniti?

Anche il più geniale dei matematici, anche il più potente dei calcolatori elettronici, a un certo punto, a un certo punto si dovrà fermare: l’in-finito non può essere com-preso da nessun ente finito. Ma allora, come e quando è potuto entrare questo pensiero nella nostra mente finita? O quello che noi chiamiamo infinito è e sarà pur sempre anch’esso qualcosa di finito? Noi, ad esempio, pensiamo di trovarci nello spazio, ma nel momento in cui lo pensiamo, lo spazio non è fuori ma dentro di noi. E infatti, se non fosse in noi, dove sarebbe? E come possiamo con-tenere, nel nostro breve spazio, l’in-finito? E può mai esserci uno spazio fuori dalla spazio? Il dentro e il fuori, il sopra e il sotto, l’alto e il basso, il prossimo e il lontano, ecc. sono categorie del nostro intelletto o realtà oggettive fuori (ancora) di noi? Basta pensarci un attimo per capire che siamo noi a stabilire le relazioni spaziali, e quindi, se non è fuori di noi, lo spazio dov’è? E ancora: se il fuori e il dentro (come il prima e il poi) sono relazioni che solo la nostra mente, cioè il nostro pensiero, può stabilire, come possiamo sapere se c’è qualcosa “fuori” dal pensiero? Certo che c’è qualcosa, affermano i realisti, in totale sintonia con il senso comune; come si può dubitare che le cose visibili, udibili, toccabili, ecc, esistano “fuori” dalla nostra mente? Anche le parole con cui le nominiamo? Ah no, le parole no, quelle esistono solo in quanto segni pensati, o pronunciati o scritti da qualcuno, mentre le cose esistono di per sé. E allora ditemi, dove stanno le cose “esistenti di per sé”? O bella, nello spazio! Ah, ricominciamo? E dove sta lo spazio? Sarà, ma le cose che vediamo, tocchiamo, o gustiamo, non provengono certo da noi, infatti le incontriamo. Ma che cosa incontriamo? Le cose o le immagini, le sensazioni, le “tracce” che le cose lasciano nella nostra memoria, quindi le loro rappresentazioni, non le cose stesse. Le quali, chissà come sono in sé stesse, e dove sono! E qui potremmo anche fermarci, se non fosse che il pensiero dell’infinito sembra anch’esso non aver limiti, anzi, è proprio grazie a questo pensiero che riconosciamo i nostri limiti, è grazie all’in-finito che possiamo aver nozione del finito, quindi degli enti finiti che noi siamo. Come sapremmo di essere finiti se non avessimo l’idea di qualcosa che che ci supera infinitamente, che va oltre i nostri limiti (i nostri confini)? E ancora: come potremmo concepire una linea di confine tra finito e infinito senza questa idea della trascendenza che continuamente ci fa tendere al di là del limite? Inoltre, come sarebbero concepibili e definibili le “forme” delle opere d’arte? E’ in queste forme che pulsa e vive l’infinito nel finito, l’imponderabile in un oggetto che ha un suo peso come la Pietà Rondanini , o l’Estasi di Santa Teresa, o nelle masse murarie, negli archi, nelle volte e nella navate di una cattedrale romanica o gotica; l’incommensurabile nella misura metrica di una canzone o di un sonetto del Petrarca, o nei quindici endecasillabi, appunto, dell’Infinito , o in una sonata di Beethoven, di Schumann o di Chopin? Infine, ma non alla fine, se non ci fosse l’in-finito non ci saremmo nemmeno noi, miseri e in-finiti profani finiti tra l’essere e il nulla.

Fulvio Sguerso

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