Inferno

Stridori della dottrina cattolica sull’inferno
DE POENIS INFERNI ET DE PROFUNDO LACU      

Stridori della dottrina cattolica sull’inferno
DE POENIS INFERNI ET DE PROFUNDO LACU  
Seconde le Sacre Scritture, ci fu un tempo in cui la morte era veramente uguagliatrice di destini; un tempo in cui non si distingueva tra morti buoni e morti cattivi: nell’antico Israele, lo sheol era la valle dove si radunavano tutti i morti e dove vivevano – se così si può dire –  una parvenza di vita uguale per tutti. Quindi ci fu un tempo in cui l’inferno, inteso come luogo di dolore eterno per la perduta gente non esisteva nemmeno come mito (o come minaccia sacerdotale).

E d’altronde, come avrebbe potuto esistere l’inferno come duro e cieco carcere senza neanche uno straccio  di misero profano  da punire?

All’inizio della creazione tutto era buono e santo: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gn 1, 30); tra le buone cose create non figura l’inferno, impensabile quindi concepire fin d’allora un luogo di eterni tormenti riservato ai futuri dannati: perché ci sia l’inferno è necessario che ci sia almeno un povero diavolo disposto a farsi dannare per l’eternità. Senza diavolo, infatti, non c’è inferno
Ecco dunque la necessità di creare un Nemico (in ebraico satan), un angelo ribelle che pretenda di usurpare la divina potestà, e che meriti quindi di venir precipitato nel luogo più basso (inferno) dell’universo, nel profondo lago di fuoco insieme agli altri angeli che parteggiarono con lui, e che per questo con lui furono dannati a diventare altrettanti diavoli (in greco diabolos, cioè “calunniatore”). A pensarci bene, quella del diavolo è stata un’invenzione davvero geniale: senza un tentatore quando mai un uomo (o una donna) avrebbe potuto essere tentato, e, una volta caduto, o caduta, in tentazione meritarsi il castigo eterno? Ma qui sorge un’altra questione spinosa e intricata, talmente intricata che nessuno, che io sappia, è ancora riuscito a dipanarla completamente: come è possibile conciliare la dannazione eterna  dei peccatori – induriti e impenitenti, certo, ma pur sempre esseri umani con tutti i loro limiti,  fragilità,  abbagli,  défaillances,  mancanza di discernimento, disturbi di personalità, patologie, ecc. –  con l’infinita bontà, intelligenza, carità, onnipotenza e misericordia di Dio? L’uomo è libero di scegliere tra il bene e il male, è vero, ma può succedere che io consideri un bene quello che per te è un male, e viceversa. Ora, per un cristiano, non c’è bene più grande della volontà del Padre nostro che è nei cieli: non fare la sua volontà significa disobbedire ai suoi comandamenti, così al primo (“Amerai il Signore Dio tuo con tutto te stesso”) come al secondo (“Amerai il prossimo tuo come te stesso”), e disobbedire ai suoi comandamenti significa non ascoltare la sua Parola, non corrispondere al suo amore, quindi rifiutare il suo regno e con esso la salvezza: “ Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti”(Mt 13, 47- 50). Dunque Gesù, secondo Matteo, dà per scontato che, alla fine dei tempi, ci saranno dei pesci andati a male, cioè peccatori i cui peccati non saranno stati perdonati, e pertanto  saranno gettati dai suoi angeli nel lago di fuoco, dove a riceverli troveranno la mala compagnia degli angeli ribelli diventati diavoli. Per loro volontà? Certo, e di chi altrimenti? Anche gli angeli ribelli erano liberi di scegliere da che parte stare; anche loro – e certo con più cognizione di quanto possiamo avere noi, poveri diavoli umani – erano dotati di libero arbitrio, diversamente come avrebbero potuto scegliere di seguire Lucifero? E qui si apre un’altra bella  questione:  che cosa vuol dire “erano liberi”? Forse che ora non lo sono più? Ma nell’eternità non c’è più distinzione tra ora e allora, prima e poi, ieri e domani: nell’eternità c’è solo un eterno presente, e quello che è stato una volta così sarà per sempre. Già, ma gli angeli ribelli una volta, secondo la teologia scolastica, erano angeli come gli altri, anche’essi creature celesti puramente spirituali che, a un certo momento si sono ribellati. A un certo momento o da sempre? Da sempre è impossibile perché, abbiamo visto, in origine l’inferno non esisteva. Ma come può allora essere per sempre qualcosa che una volta non stava né in cielo né in terra? Avrà pur dovuto avere un inizio. Quando? Fuori dal tempo non c’è né inizio né fine, dal momento che inizio e fine appartengono proprio al tempo. Sulla porta dell’inferno dantesco è scritto, tra l’altro “Dinanzi a me non fuor cose create/ se non etterne, e io etterna duro”. La “città dolente” sarebbe stata costruita, secondo la visione dell’Alighieri, dalla divina Trinità prima della creazione dello spaziotempo, in una specie di istante  avvenuto miracolosamente prima del tempo vero e proprio.

Una città  ideale voluta e progettata dalla giustizia divina, dalla somma sapienza e dal primo amore per il castigo eterno delle anime (ma anche dei corpi, non dimentichiamolo) perdute. Che cosa hanno perso i dannati? Tutto meno la capacità di provare atroci sofferenze per sempre. Perché?  Hanno rifiutato di pentirsi e di convertirsi finché erano in tempo. Ma che cos’è il tempo di una vita di fronte all’eternità? Un soffio. Quale insania può far scegliere o un essere umano la dannazione eterna in cambio di un istante di dubbia e malsana felicità  terrestre (E’ l’argomento di Pascal)? Solo la follia, appunto. Dunque è la follia umana che viene punita in eterno dopo la prima morte? Quella lucida follia che consiste nel non corrispondere all’amore divino. “L’inferno è l’impossibilità di amare”, ha scritto Dostoeskij. E di questa impossibilità ne incontriamo già talmente tanta su questa terra che proiettarla in un aldilà infinito di “pianto e stridor di denti” sembra veramente incompatibile con l’infinita  bontà di un Padre onnipotente e misericordioso.
Fulvio Sguerso

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