La donna gli confidò diverse cose intime importanti, tra cui come lei viveva il rapporto con gli uomini e le sofferenze patite a causa delle profonde dissociazioni tra il ruolo di star attribuitoli all’unanimità dai critici e la sua reale sensibilità che tendeva a ricercare rapporti veri, più affini alle sue condizioni culturali e sociali originarie.
Questa esperienza venne trascritta da Clark su un diario che diventò poi un libro nel 1995 dal titolo Il principe, la ballerina, e io. La sceneggiatura del film “Marilyn” di Simon Curtis è quindi tratta dalle testimonianze scritte di Conin Clark.
Convincente in questo film di Curtis del 2012 l’interpretazione del personaggio di Marilyn Monroe da parte dell’attrice Michelle Williams che sia per le parti più drammatiche che per quelle briose-musicali contribuisce notevolmente alla riuscita estetica della pellicola.
La sceneggiatura è stata adattata e scritta da Adrian Hodges. Il film segna il promettente debutto cinematografico del regista Simon Curtis, al suo primo lungometraggio. David Parfitt ha prodotto il film, con il finanziamento di The Weinstein Company e BBC Films.
Il vero nome di Marilyn era Norma Jean, il cognome d’arte Monroe, da lei assegnatosi, era quello della madre da nubile, una scelta che fa pensare ad una decisione di Marilyn, il cui padre le era ignoto, di mitigare con il proprio successo targato Monroe il suo sofferto ricordo della madre, afflitta per quasi tutta la sua esistenza da seri problemi psichiatrici che la costringevano a ripetuti ricoveri.
Marilyn viene trovata misteriosamente morta, in una stanza, il 5 agosto del 1962 con una forte dose di barbiturici in corpo, a soli 36 anni. Non si riuscirà mai a chiarire se si sia trattato di un suicidio o di un omicidio.
Uno dei disagi psichici di Marilyn, che si riesce a intravedere tra le righe di questo film di Curtis, sembra riguardare l’identità più profonda della star, che appare spezzata in diversi punti con quella parte di sé più appariscente che esibiva in pubblico e che metteva a disposizione anche del cinema. Le ripetute crisi dissociative di Marilyn, così frequenti nei momenti di difficoltà con gli uomini, sono una costante patologica di tutto il periodo della sua breve carriera di attrice, esse evidenziano una impossibilità per la donna di controllare le parti più oscure del suo inconscio del tutto inesplorato.
Marilyn, nonostante le forti compensazioni di piacere che riceveva dal successo cinematografico, viveva male il suo ruolo di star perché dentro di sé non si sentiva un’attrice di particolare talento.
I ruoli che recitava portavano ad un aggravamento di questa insufficiente autostima, creando forti disgiunzioni tra la sua frenesia di vita, ben incarnata nei personaggi che viveva proiettandoli anche all’esterno del film nella propria vita reale frequentando ambienti mondani simili a quella che si intravedono nei suoi film, e la sua realtà più interiore occupata da un passato biografico molto problematico: caratterizzato nei passaggi cruciali della sua crescita di donna da un’atmosfera prevalentemente angosciosa che ha ostacolato una sua felice integrazione nel sociale.
Lo stesso personaggio Marilyn Monroe, inteso come diva, divenuto l’emblema di un ottimo cinema da commedia, brillante, brioso-musicale, ricco di ironia ed eleganza ma che si delineava come una forma di intrattenimento del tutto legata al mito del sogno americano, contribuiva a procurare all’attrice americana grosse sofferenze identitarie le cui radici affondavano nello stridente contrasto familiare di status simbol sociale tra lei e sua madre.
Le ferite e le umiliazioni patite da Marilyn in famiglia e nel sociale della sua infanzia-adolescenza non sono state se non in misura marginale attenuate dal suo successo relazionale con gli uomini. Per sua stessa ammissione in questo film di Curtis, non appena nell’intimità dei rapporti usciva dal suo ruolo di star evidenziando un maggior complessità della sua personalità, quasi tutti i suoi numerosi fidanzati e mariti fuggivano delusi.
Marilyn voleva essere amata come una donna normale, ma nulla riuscì a fare per uscire dalla straordinarietà del suo ruolo di star. Non se la sentiva di compiere la scelta drastica di abbandonare il cinema né di cambiare i suoi tradizionali ruoli cinematografici da star sex simbol per provare magari interpretazioni di personaggi più sobri e maturi lontani dal cinema inteso solo come puro spettacolo e intrattenimento.
Forse in ciò c’è una ragione, a un certo punto della sua carriera la star si è resa probabilmente conto che non poteva tornare più indietro, perché ciò non sarebbe servito a ricomporla psichicamente migliorando la sua salute mentale ma avrebbe aggravato la sua condizione nevrotica rimanendo per sempre ossessionata dai numerosi fallimenti con i notori uomini-padre che più aveva amato e che in un altro modo di vivere e recitare, pensava, sarebbe stato più difficile incontrare.

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