In morte di una ginestra

 In morte di una ginestra

 In morte di una ginestra

L’anno scorso ero rimasta particolarmente incantata da uno stupendo cespuglio fiorito, in un terreno abbandonato, tanto da immortalarlo e spedirlo a Uomini Liberi.

 Che orrore, questo degrado urbano, avevo commentato. Bisogna assolutamente porre rimedio, un parcheggio, un palazzo, un piazzale, una strada, un po’ di cemento purchessia.

 

Sono stata facile profetessa. E ci voleva poco. Quando un’area rimane incolta, selvaggia, priva di manutenzione e attenzione per anni, vuol dire che lì ci sono interessi. Più lungo e profondo l’abbandono, più forti gli interessi.

 

Ti accorgi che qualcosa si sta muovendo quando incominciano articoli sui giornali, proteste dei cittadini per la sporcizia e l’abbandono, richiesta di intervento.

 

Di rado, molto di rado, questo è fine a se stesso e pura manutenzione. Quando si comincia a provvedere, di solito inizia la trasformazione, prende corpo lo stravolgimento.

 

Eh già. Perché la chiamano riqualificazione, ma mai, e sottolineo mai, questa parola presiede a semplice recupero intelligente e riuso dell’area rispettandone la fisionomia. Mai.

Sarebbe troppo banale, troppo umano, troppo sensibile e sensato. Soprattutto, non coinvolgerebbe abbastanza interessi, se non quello della collettività.

 

Quella ginestra non s’ha da fiorire ancora. Ed ecco qua il panorama attuale.

 

Non è che io ami l’abbandono, non è che inneggi alla natura incolta e selvaggia in città.

Certo però non è colpa della ginestra, se chiunque passando si sentiva in diritto di gettare rifiuti oltre la rete. Eccola, la nostra “civiltà”.

Certo, non era per la ginestra che si lamentavano possibili infestazioni dell’area. Cosa attira un topo, un fiore o un cartoccio sporco?

E così, la nostra ginestra ha pagato per tutti. Ci aveva messo anni e anni e anni per quel trionfo. Non fiorirà mai più. Requiescat.

 

Ah ma allora preferisci il degrado, ah ma allora “voi ambientalisti”…. le sento già, le parole degli ottusi pappagalli ammaestrati dal sistema, tutti contenti ogni volta che possono cavarsela appiccicando etichette a vanvera, inconsapevoli di ripetere le parole di nemici anche loro, soddisfatti di rintracciare presunte stupidità altrui per non essere messi di fronte alla propria.

 

Vi convincono che non esistono alternative, e voi annuite tutti contenti. Finalmente l’area è pulita e in ordine.

Questo solo conta. Poi sarete altrettanto pronti a mugugnare, se quello che faranno non vi piacerà. E non vi piacerà di sicuro. Ma non certo ad attivarvi in concreto per impedirlo o chiedere qualcosa di diverso. Non a comportarvi da cittadini attivi.

 

Vi dicono che non c’è alternativa, e voi subito vi rassegnate. Ma se chiunque possiede un immobile, un terreno, privato o pubblico che sia, fosse OBBLIGATO a tenerlo in ordine, e soprattutto, SENZA CONTROPARTITE. E non ci fosse chi può svicolare a quest’obbligo.

Se nei confronti di un’area in disuso si privilegiassero le soluzioni a minore impatto.

Se gli speculatori non si trovassero sempre ponti d’oro, condoni, piani casa, agevolazioni, ma ostacoli, tanto più forti quanto più è grande lo stravolgimento che propongono.

Se tutto questo avvenisse, di legge e di amministrazione – e non sono “se” così difficili da ottenere, basta volerlo davvero – le cose cambierebbero.

 

Prendete la mia povera incolpevole ginestra. Qui, dietro via Saredo, apprendiamo dai giornali che le ferrovie vogliono vendere il terreno. Per questo non ne hanno curato la manutenzione? Per questo ora che il momento è giunto si provvede?

Sarebbe bello farci un giardino e un parcheggio. Ma no, il Comune è indebitato e non ha soldi per la soluzione più ovvia e semplice.  Allora deve agire tramite una partecipata, e curare che l’operazione abbia “sostenibilità economica”. E’ un’equazione: minori le risorse – e qui son nulle, grazie alle scelte del passato – maggiore il danno da sopportare.

Il che vuol dire, in una parola, cemento. Box interrati, un centro di rimessaggio per i bagni marini, un  oneroso (ma così indispensabile?) spostamento a monte della linea ferroviaria del porto.

E poi, alla fin fine, un parcheggio da far gestire ad Ata. E un’area verde, dicono. Considerando il tutto, ci si può aspettare quanto misera e spelacchiata sarà.

Una cosa è certa. Ci si metteranno anni e anni, al termine di tutto questo spelacchiamento, e scavo, e stravolgimento, e putiferio forsennato,  per riavere qualcosa che somigli a una pianta in quella zona.

E un’altra cosa è altrettanto certa.

Non potrà mai, ne sono sicura, essere così bello e commovente come questo spettacolo.

 

Uno spettacolo che la natura, da sola, umilmente e senza chiedere niente in cambio, è disposta a darci, per abbellire e confortare le nostre vite.  Mettendoci anni. Per celebrare il trionfo dell’ecosistema, animali, insetti, piante. E che noi siamo sempre pronti a spezzare per i nostri interessi.

Ora stiamo segando le ultime cordicelle del ponte che ci tiene sospesi sull’abisso del degrado ambientale irreversibile.

Godiamoci il freddo e le piogge di maggio, il mare tempestoso e autunnale, e buon pro ci faccia.

Tanto, è solo un caso, mica un cambiamento climatico. Non ci credo.

Tanto, che diamine c’entra quella singola stupida ginestra?

Del resto, se non siamo in grado di capire il nesso, se abbiamo perso qualsiasi sensibilità, qualsiasi contatto con l’ambiente che ci circonda, se lo spettacolo ci lascia indifferenti e questo articolo ci fa solo sogghignare, ci meritiamo tutto. Amen.

Addio ginestra, mi mancherai.

Milena Debenedetti  consigliera Movimento 5 stelle

 

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