IL VOLO SGHEMBO DELLE COLOMBE

IL VOLO SGHEMBO DELLE COLOMBE
(E il ruggito dei grilli)

 

IL VOLO SGHEMBO DELLE COLOMBE

  (E il ruggito dei grilli)         

Infine Enrico Letta ha avuto la fiducia. La crisi aperta dal Cavaliere si è chiusa nel volgere di una settimana, senza neppure il rito delle consultazioni (formali) quirinalizie, e senza il paventato soccorso decisivo dei transfughi alla Scilipoti: sarebbe bastato il voto delle colombe diversamente berlusconiane, sommato a quello del Pd e dei “centristi” di Monti e Casini perché il governo delle cosiddette larghe (o basse) intese (o fraintese) riprendesse quota, scongiurando lo spettro (per gli uni) e la speranza (per gli altri) delle elezioni anticipate “anche con il porcellum”. Ma è sopraggiunto a sorpresa il voto di fiducia del medesimo Cavaliere, mossa astuta e colpo di teatro che ha spiazzato i falchi alla Brunetta (su cui il tacere è bello), alla Bondi (poeta cesareo inconsolabile e imperterrito cantore delle gesta del Cav.), alla Capezzone (irriducible scherano del capo),  smentito il povero cortigiano Sallusti e tutto il seguito delle pasionarie alla Santanchè e delle amazzoni alla Biancofiore, alla Anna Maria Bernini, la quale – ritta in piedi sul sua scranno senatoriale, in sembianze di vestale biancovestita –  consolava il suo signore e padrone, affranto dopo la sua sofferta dichiarazione di voto, tenendogli la mano come a un bambino piccolo che ha paura del buio, arrendendosi alle ragioni delle non proprio candide colombe Lupi, Formigoni, Giovanardi, Cicchitto e, soprattutto, Angelino Alfano, evitandogli persino il disturbo di dover commettere un parricidio per assumere il comando di un nuovo  centrodestra non più berlusconiano.


Ha provveduto il Cav., lui, leader non più indiscusso, a rinunciare al bastone del comando, per amor…per amor di che cosa? Del Paese no di sicuro, se amasse davvero il suo Paese si sarebbe già da tempo dimesso e ritirato a vita privata (fra poco anche della libertà, a causa della condanna definitiva per frode fiscale); piuttosto per amor della roba e anche per versare una goccia del suo veleno nel trionfo degli ex traditori rimasti alleati – pro tempore, beninteso – con il nemico giustizialista che si prepara a votare per la sua decadenza da senatore; guadagnandosi, con questo colpo di scena,  anche la qualifica di “grande”, mormorata  dal riconfermato premier Letta all’ormai emancipato (così almeno si spera) ministro Alfano. Dunque, tutto è bene quello che finisce bene? Siamo sicuri che il Caimano non risorgerà  ancora una volta, come l’araba Fenice, dalle sue ceneri?

Già si nota qualche indizio di sbandamento e qualche distinguo tra le colombe più timide, qualche dubbio sull’opportunità di dividersi tra Pdl  e la appena rinata Forza Italia, qualche sospetta reiterata professione di riconoscenza eterna per un padre-padrone ingiustamente perseguitato da “una parte” della magistratura, mossa solo da odio politico nei suoi confronti…Insomma, come si suol dire, la cautela è d’obbligo. Ma intanto, chi ha vinto e chi ha perso in questa intricatissima partita a scacchi giocata sulla pelle del Paese? Tra i vincitori metterei anzitutto il Presidente della Repubblica, garante della stabilità istituzionale e longa manus dell’Unione Europea; in secondo luogo, ovviamente, Enrico Letta, e l’ala “democristiana” del Pd, che può ora contare su  una più solida maggioranza, facendo tirare un sospiro di sollievo ai poteri forti, ai mercati, ai sindacati e alla Cei, preoccupatissima per il crescente impoverimento della popolazione; in terzo luogo, il raggiante Angelino Alfano, che ha visto prevalere la sua linea “moderata” rispetto all’estremismo sfascista dei falchi e delle amazzoni rimaste fedeli al capo, anche se non più tanto carismatico; in quarto luogo i “centristi” Monti e Casini, che vedono in queste rinnovate larghe (anche se più strette di prima) intese una specie di prova generale per la formazione di un nuovo partito centrista e moderato a vocazione maggioritaria.

Tra i perdenti possiamo mettere

a) l’ala del Pd che sperava nell’archiviazione della strana e autolesionistica alleanza con un Pdl tutto schierato a difesa degli interessi del leader condannato e in un cambio di maggioranza;

b) Matteo Renzi, che ha visto evaporare il miraggio delle elezioni anticipate e della sua quasi certa e vincente  candidatura a premier;

c) Sel, che puntava a un governo di scopo di breve durata, giusto per la riforma elettorale e per la legge di stabilità, e poi andare al voto; la Lega, che considera questo governo lesivo degli interessi del Nord e nefasto per i nativi italiani, a causa  della ministra Kyenge;

d) Grillo, che chiedeva a gran voce lo scioglimento delle Camere, e l’indizione di nuove elezioni, nella certezza di stravincerle (anche grazie al detestato porcellum).


La senatrice Paola Del Pin

Tra i perdenti più perdenti, però, io metterei il M5S: ha perso su tutti fronti: politico, mediatico, culturale e …stilistico (o d’mmagine che dir si voglia). Mi chiedo con quale criterio sia stata scelta, per esempio, la nuova capogruppo al Senato Paola Taverna: nelle sua invettiva contro tutto e contro tutti, sembrava avesse l’aula in gran dispitto, come si travasse proprio nella cloaca evocata da Grillo, e non vedesse l’ora di scapparsene via, nauseata da tante “nullità” che i grillini avrebbero provveduto, se ci fossero state le elezioni, a cacciare via dal Parlamento. E, tanto per cominciare, avrebbero voluto cacciar via la senatrice Paola De Pin, dissociatasi dal MoVimento, che si è permessa di votare, tra le lacrime,  la fiducia e di criticare la linea “purista” imposta da Grillo e da Casaleggio ai grillini molto obbedienti ma poco lungimiranti, come la summentovata, irosa e schifata  Paola Taverna.

FULVIO SGUERSO

 

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