Il vero cancro: la burocrazia

 Alla fine degli anni ’60 ero andato a perfezionare l’inglese in Inghilterra al City Literature Institute of London dove, con me, frequentavano i corsi anche degli studenti provenienti da altri Paesi europei.

 

Ero rimasto colpito dalla capacità di apprendimento e intelligenza dei tedeschi, che si caratterizzavano anche per la loro predisposizione e attitudine ad essere leader del gruppo, in classe e anche fuori. La medesima impressione l’avrebbe avuta mio figlio molti anni dopo, affrontando la stessa esperienza negli Stati Uniti.

Sono convinto che la capacità organizzativa dei tedeschi e il loro  spirito di gruppo derivino  dalla  antica società romana, che, al tempo, aveva esercitato una enorme  influenza sui barbari germani  inclusi nell’allora limes dell’impero; dagli ordinamenti civili alle innovazioni tecniche, dalla religione  alla stessa struttura grammaticale della lingua, gli antichi romani avevano trasformato popoli con strutture sociali di tipo tribale, prive di leggi scritte e con consuetudini tramandate verbalmente, in cittadini di una nazione. Peccato che loro – i germanici – hanno mantenuto nel tempo quelle virtù e attitudini ben recepite allora, mentre dalle nostre parti i popoli mediterranei le hanno in gran parte perdute! Ma la speranza di oggi è che non sia troppo tardi per poterle orgogliosamente riacquistare.

Dall’epoca della grandezza romana  ai tempi  più recenti, passando per Federico II di Prussia, detto il Grande, fino al grande Reich, il popolo tedesco si è sempre distinto per una grande forza unita ad un’innata capacità di dominare, per cui il fatto che un’ Italietta qualsiasi, nata da meno di 150 anni, potesse dare dei risultati migliori nella meccanica e nella chimica, non era certo un facile boccone da digerire.

Stesso ragionamento doveva essere stato fatto dai Francesi che, fin dai tempi di Napoleone, hanno sempre considerato l’Italia come un’appendice della Francia. Non dimentichiamoci poi che i Francesi fanno sempre valere il privilegio della loro poderosa force de frappe, la bomba atomica.  
Insomma per certi ambienti che contano l’Europa è Berlino per  l’economia, mentre Parigi lo è per la politica estera. Gli altri Paesi come l’Olanda e l’Austria sono considerati dei ricchi Lander tedeschi e l’Italia, assieme alla Vallonia belga, una provincia francese. Ma, senza voler sminuire Olanda e Austria  e Belgio, l’Italia rappresenta  pur sempre, sia  per dimensioni che per storia e cultura, qualcosa di ben diverso, pur con qualche difetto!

Ed è così che l’Italietta ante Euro, dal 1985 al 2001 aveva accresciuto il PIL del 44% e contendeva alla Francia il 5° posto come potenza economica, mentre, dopo l’ingresso nell’Euro, ovvero dal 2002 al 2017, il PIL italiano è cresciuto solo del 2%. Inoltre, quando nello stesso periodo la produttività in Francia cresceva del 13%, in Spagna e Germania del 12%, in Italia scendeva del 5%, ragion per cui ora viene considerata la malata d’Europa.

L’aver accettato di adottare l’Euro senza condizioni transitorie è stata una operazione che ha portato enormi svantaggi al nostro Paese, in particolare  alle piccole  e medie imprese, che improvvisamente si sono trovate a competere nel Mercato comune ad armi impari, e di questo dobbiamo ringraziare la coppia Prodi e Ciampi. A detta di un’ampia fascia della letteratura economica, con l’adesione tout court all’Euro i nodi dei nostri gap strutturali venivano al pettine, facendo emergere quattro debolezze:

1 – dimensione delle Aziende

2 – istruzione inadeguata delle materie scientifiche                   

3 – debito pubblico con un costo per soli  interessi pari al 3,7% del PIL

4 – pubblica amministrazione e giustizia civile inadeguate.

Non sono d’accordo sulla voce riguardante la dimensione delle  nostre aziende, in quanto  le nostre piccole e medie imprese hanno sempre dimostrato di essere proprio loro il vero motore dell’economia italiana, tanto è vero che lo stesso Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, negli anni ’90, elogiò il modello imprenditoriale delle Piccole e Medie Aziende della Padania, in quanto snelle, flessibili e proattive sui mercati. Ne’ si può addurre la difficoltà di adeguamento alle nuove tecnologie da parte delle PMI, tanto è vero che l’Italia, negli anni, si è sufficientemente adeguata alla digitalizzazione, ponendosi in una posizione mediana a livello europeo nell’ICT (Information Comunication Tecnology). (vedi grafico).   

Sono d’accordo invece per ciò che riguarda il secondo punto, perché è vero che  a partire dagli anni ’70 nella corsa al “pezzo di carta” per trovare lavoro nel Pubblico impiego, specialmente per gli abitanti del centro sud, era più facile raggiungere l’obbiettivo affrontando le facoltà umanistiche piuttosto che quelle scientifiche. Di conseguenza, mentre da un lato nel Paese cresceva ,negli anni nei settori ad alta tecnologia, la necessità  di professionalità tecnico scientifiche, dall’altro lato aumentava il numero di laureati in Giurisprudenza o in materie umanistiche, con poche possibilità di impiego reale e sopratutto produttivo.

In verità nel 2003 con il Governo Berlusconi per cercare di aumentare la competitività  delle aziende si era cercato di agire sul diritto del lavoro con la legge Biagi – Maroni che, tra l’altro, introduceva il “contratto a progetto” e liberalizzava di fatto il mercato del lavoro; ma ciò non poteva essere sufficiente a portare la nostra forza competitiva  ai livelli ante Euro, in quanto, oltre al peso degli interessi sul debito acquisito negli anni, il vero problema era e resta tutt’oggi il punto 4, su cui prima o poi si deve agire se si vuole salvare il Paese, e cioè mettere mano alla Pubblica Amministrazione in modo pesante.

Negli anni, la P.A. ha continuato ininterrottamente a drenare risorse sempre maggiori, infatti già a partire dal 2000 e fino alla fine del decennio, mentre negli altri Paesi la pressione fiscale sul PIL diminuiva rispettivamente, in Germania dal 42,6% al 40,7%, in Fancia dal 45,6% al 43,2%, in Spagna dal  34,9% al 32,1% , in UK dal 37,4% al 36,2%, in Italia al contrario continuava ad aumentare passando dal 41,3% al 43,2% per arrivare oggi al 44% del PIL.

Ma ancor di più del fisco, che è sempre più vorace, è la burocrazia,  come già accennato nel mio precedente articolo, che affligge l’Italia sino dai tempi degli anni ’70 e che, anziché adeguarsi ai tempi moderni, si è ancor più sviluppata in senso negativo.

Nel nostro Paese l’apparato Statale non è mai stato concepito come generatore di servizi per cittadini e imprese e come supporto all’economia, ma, al contrario, come fonte di produzione di posti di lavoro per lo più clientelari. La burocrazia, oltre ad essere un drenaggio di risorse, è sempre stata causa  di ostacolo alle attività economiche, il che in tempi di protezione doganale e svalutazione della Lira poteva essere in parte trascurato; ma con la caduta  delle barriere doganali e l’ adozione di una  moneta unica, la burocrazia è diventava totalmente incisiva sui costi di produzione e ha messo e continua a  mettere  fuori mercato gran parte delle attività produttive.

L’attività della Pubblica Amministrazione assieme a quella della Giustizia Civile rappresentano un vero e proprio incubo per le imprese italiane, perché con le loro funzioni normative, regolatrici  e autorizzative, sono i veri alleati delle imprese concorrenti europee, che possono competere per contro col supporto del loro sistema efficiente, e proprio nell’emergenza dei giorni  nostri di Coronavirus lo possiamo constatare; anche per questo in Italia vi è tanta economia sommersa.

Un’altra funzione della P.A. che è mancata nel nostro Paese ormai da moltissimi anni è la funzione di supporto all’Economia, attraverso la costruzione di infrastrutture. I dati sono lapidari: dal 2004 al 2013 mentre la spesa corrente passava dal 43,9% al 48,5% del PIL  la spesa per investimenti calava dal 3,9% al 2,7%. del PIL.

A complicare ulteriormente il problema è accaduto, sempre in quegli anni, un fatto nuovo e cioè la modifica del titolo V della Costituzione, attuato dall’allora  Governo di Sinistra con l’intento di contrastare l’avanzata della Lega Nord, propugnatrice di una più ampia autonomia regionale improntata sul modello tedesco dei Lander, modifica che fu concepita dalla Sinistra  per spuntare le armi alla Lega in campo elettorale, ma che fu  all’atto pratico scientemente attuata per produrre ulteriore  burocrazia, senza fare perdere alcunché ai poteri centrali.

Questa riforma è stata deleteria innanzi tutto, come affermò il nostro Segretario Federale di allora Umberto Bossi, perché il federalismo non può funzionare senza la responsabilità diretta degli Amministratori locali, e nel caso di specie mentre si aumentava la filiera delle autorizzazioni e dei pareri non si creava nessun meccanismo di responsabilizzazione né politica né tanto meno personale di chi avrebbe preso le decisioni.  

Senza responsabilità alcuna ha prevalso un po’ ovunque la sindrome del NIMBY, Not In My Back Yard, con il blocco di parecchie infrastrutture tipo la Gronda di Genova tanto per fare un esempio con le conseguenze che tutti conosciamo, oltre naturalmente a creare ulteriori sacche di spese improduttive e fini a sé stesse.

Per la mia esperienza personale di 40 anni di attività imprenditoriale, potrei dimostrare che, se i dirigenti delle varie Amministrazioni potessero essere responsabilizzati con sanzioni esemplari per gli errori e per le lungaggini nelle risposte, che spesso creano perdita di opportunità specialmente in campo internazionale, il nostro PIL aumenterebbe almeno del 10 % in più all’anno rispetto a quanto avviene ai giorni nostri.

Purtroppo nell’Italia di oggi la burocrazia non paga mai per i propri errori mentre le Aziende ne pagano le conseguenze, per cui vi sono sempre meno imprenditori e l’economia continua a languire; oltretutto una legislazione oltremodo farraginosa continua a produrre leggi e normative sempre più soggette a interpretazioni soggettive e spesso contraddittorie da parte dei dirigenti della stessa Amministrazione.

Purtroppo le difficoltà causate alla nostra economia con l’ingresso nell’Euro e dovute alle nostre strutture appena citate non sono le uniche cause del declino del nostro Paese. Ad esse va aggiunto il ruolo preponderante della finanza che tratterò nel prossimo articolo.

SILVIO ROSSI  Consigliere LEGA NORD 

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