il Verbo si è fatto carne

IL CORPO DEL CRISTIANO
TRA CARNE E SPIRITO

IL CORPO DEL CRISTIANO
TRA CARNE E SPIRITO
 
Secondo il Credo, o Simbolo apostolico, in cui sono enunciati i dogmi fondamentali della fede cristiana, Gesù Cristo, figlio unigenito di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo: “ E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1, 14).

Ma che cosa significa esattamente l’enunciato “il Verbo si è fatto carne”? Può mai farsi carne e sangue e nervi e ossa un, anzi “il” verbum, cioè la Parola per antonomasia? Nel famoso prologo del vangelo di Giovanni, il latino Verbum traduce il greco Logos, che non significa “parola” ma “ragionamento”, e anche “discorso”, e nel greco biblico anche “legge” e “sapienza”; quindi “il Verbo si è fatto carne” significa che la sapienza e la legge divina si sono materializzate in un corpo, nel corpo di Cristo, appunto, che si è fatto uomo. In termini filosofici sarebbe come dire che un’idea astratta, un concetto, si è concretizzato, rendendosi visibile, ascoltabile, toccabile, ecc. in una determinata persona che agisce nel mondo e nella storia. Ma una persona, per intelligente e virtuosa che sia, è pur sempre un soggetto limitato nel tempo e nello   spazio (oltre che dalle altre persone, che sono altrettanti soggetti agenti nello spazio e nel tempo). Ora il Figlio di Dio, per i cristiani, è sì una persona ma non certo come qualunque altra: il suo corpo è umano e divino al tempo stesso (vero Dio e vero uomo), e fa parte, insieme al Padre e alla Spirito Santo, della Santissima Trinità, nella quale solo una delle tre persone – il Figlio – è fatta (o si è fatta) di carne, cioè ha voluto assumere i limiti della condizione umana e condividere la nostra terrestre fragilità in tutto e per tutto, tanto che, secondo Paolo: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2 Cor 5, 21). Dunque “essere di carne”, cioè creature umane, significa anche “essere peccatori”? Non necessariamente: il peccato non è nella carne in quanto tale ma nella malizia umana e nella pretesa di confidare in lei più che nello Spirito di Dio; e d’altronde, prima del primo peccato, Adamo ed Eva non si vergognavano della loro nudità, tutto in loro era santo, organi genitali compresi. E qui si apre una prima questione: perché mai il primo peccato, cioè il primo atto di volontà difforme dalla volontà divina, ha reso peccaminoso non tanto l’atto sessuale in sé (tra l’altro necessario alla riproduzione della specie) quanto il desiderio o la passione o l’attrazione psicofisica che l’accompagnano?

Era (è) forse meglio amarsi senza troppo ardore, moderando e controllando l’intensità dei propri impulsi, così da non sottrarre troppa energia all’adorazione e al culto dovuto al Padre celeste? E’ quello che pensa Agostino, influenzato, oltre che da Paolo, dall’ascetismo neoplatonico e stoico. Dopo la prima disobbedienza, frutto dell’orgoglio e della presunzione di poter decidere da soli su ciò che è bene e ciò che è male, Adamo ed Eva si accorsero di essere nudi, e se ne vergognarono, quindi “intrecciarono delle foglie di fico, se ne fecero della cinture” (Gen 3, 7).

E perché mai, si chiede Agostino, si coprirono i genitali invece delle mani e delle loro bocche? Che colpa avevano i genitali? Non erano stati loro a cogliere e a mangiare il frutto proibito! Come spiegare questo strano “spostamento” di obiettivo? Proviamo a chiederci il significato di “allora si aprirono gli occhi di tutti e due”; evidentemente non è che prima di aver disobbedito al divieto divino fossero ciechi, non fosse altro perché bisognava distinguere gli animali per nominarli; i loro occhi si aprirono nel senso che si resero conto di qualcosa che sfuggiva al loro controllo, era un impulso nuovo che Agostino denominò concupiscenza e che prima della caduta non esisteva nel paradiso terrestre, quando il primo uomo, creato a immagine di Dio, e la prima donna, plasmata con una costola tolta all’uomo, vivevano in armonia con le altre creature e in intimità con il loro Creatore, e nessun desiderio o brama li turbava. Ma, dopo che l’uomo e la donna (carne della sua carne, osso delle sue ossa), rivolsero il loro desiderio su di sé distogliendolo dal loro unico principio e fine, furono dominati da desideri irrequieti e insaziabili perché volti a cose finite o prodotte da loro stessi, nella vana ricerca di un appagamento impossibile perché cercato fuori o contro la volontà di Dio. Così avvenne anche la dissociazione tra la volontà e gli impulsi del corpo, in particolare di quelli sessuali: Adamo ed Eva potevano dare ordini ancora alle loro braccia, alle loro gambe e ai loro occhi, ma il loro sesso disobbediva, quasi a ricordare la loro disobbedienza a Dio. Da allora in poi, data l’oggettiva difficoltà di separare la concupiscenza dall’atto sessuale, nella tradizione cristiana l’ombra o anche solo il sospetto del peccato grava sulla sessualità nel suo insieme, anche se vissuta all’interno del matrimonio; tanto più che, come leggiamo in Matteo: “Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra, commette adulterio. Gli dissero i discepoli: ‘Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi’. Egli rispose loro: “Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi così dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca.” Altra questione alquanto complessa: che ne sarà di chi non può capire, perché non gli è stato concesso? Per costui sarà pianto e stridor di denti per l’eternità? Mistero. Per tutti i cristiani, nondimeno, siano essi semplici o teologi, casti o lussuriosi, laici o chierici, omo od eterosessuali, una volta battezzati, convertiti e rivestiti di Cristo, vale – se anche la sua è parola ispirata da Dio – l’affermazione di Paolo nella lettera ai Galati: “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna; poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”. Forse Paolo vedeva più lontano dello stesso Agostino (e non parliamo nemmeno di certi papi teologi).

Fulvio Sguerso

 

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