Il sovranismo unico antidoto del totalitarismo …

 IL SOVRANISMO UNICO ANTIDOTO

DEL TOTALITARISMO FINANZIARIO

IL SOVRANISMO UNICO ANTIDOTO
DEL TOTALITARISMO FINANZIARIO

 Quando, nel 1981, l’argine dei confini nazionali fu abbattuto e si lasciò che a determinare interessi e quindi prezzi dei titoli pubblici fossero i mercati internazionali, meramente speculativi, guarda caso il nostro debito pubblico iniziò la sua crescita, da allora inarrestabile. Ovvio: se non c’è la garanzia dello Stato, in simbiosi con la sua Banca centrale, a sostegno dei Buoni del Tesoro, il rischio di insolvenza, per quanto improbabile, si ripercuote sugli interessi, che crescono in proporzione al rischio. Rischio peraltro decretato da agenzie di rating straniere in lampante conflitto di interessi, in quanto proprietà di società finanziarie che stabiliscono il rating stesso in funzione del loro profitto, agitando pericoli spesso immaginari (ecco le vere fake news!). In queste condizioni, se lo Stato è costretto a pagare di più il denaro che prende a prestito, sarà gioco forza che ne avrà a disposizione di meno per sopperire alle necessità della nazione: ci sarà una progressiva scarsità di denaro, una deflazione. E non passa giorno che non si senta l’unanime preghiera dei politici affinché compagini straniere, inizialmente industriali e in seguito anche finanziarie, vengano ad “investire” in Italia, sopperendo così alla ritirata dello Stato e di tante aziende che ne seguono la sorte, passando in mano straniera. L’ex Ilva è forse l’esempio più vistoso di questa progressiva deriva. 

  


L’ex-Ilva di Taranto: simbolo intramontabile del conflitto inquinamento o disoccupazione. Piena occupazione, ambiente pulito e sicurezza  fanno a pugni con lauti profitti. 

 

L’onda lunga di questa miope visione, spacciata per lungimirante, ha portato le produzioni nazionali superstiti ad impegnarsi in una selvaggia competizione, mirata ai mercati esteri, mentre intorno ad esse fumano le macerie delle produzioni locali, incapaci di reggere l’urto dell’offerta di merci prodotte in Paesi con legislazioni sindacali e ambientali carenti o inesistenti.

Mi si perdoni una breve divagazione su quei pensatori, di ispirazione politica o filosofica, i cui incubi sono fossilizzati sul rigurgito del fascismo, spaventati a morte dal raduno di 3000 camerati a Predappio inneggianti al duce, o lagnanti la mancata accoglienza a braccia aperte (Open Arms) a clandestini in marcia verso un’Italia già esausta di suo, senza bisogno di concorsi esterni. Costoro non vedono altri problemi che questi, dimentichi che essi non fanno che acuire i già immani problemi che i loro connazionali -noi italiani- devono affrontare proprio in virtù, si fa per dire, dell’apertura indiscriminata dei nostri confini ad uomini e merci. Ci accusano di egoismi nazionali, di scarsa umanità, di ristrettezza mentale. E giù a sventolare le bandiere nere e i lager libici, additandoci come responsabili delle une e degli altri. 

 


Raduno a Predappio in onore del duce. Più folklore che minaccia. Ma non per i fascio-fobici, che non vedono nella piovra finanziaria il totalitarismo di oggi; il cui nemico numero uno era proprio il fascismo

 

Dunque, dicevamo della stolta marcia, dal 1981 in poi, verso il disastro odierno, con il botto finale procuratoci dall’euro, ormai acclarato affossatore della nostra economia, eppure paradossalmente elogiato attraverso le carriere d’oro di quanti ne hanno agevolata l’adesione e poi decretata l’irreversibilità. Alla schiera dei suoi estimatori s’è aggiunto, a sorpresa, persino l’anti-euro di un tempo, Matteo Salvini, che è arrivato a fare il tifo per Draghi Presidente della Repubblica. Onore a Giorgia Meloni per la sua coerenza nel non seguire la direzione del vento per meschini calcoli politici e dichiarare la sua distanza da chi alla direzione del vento finanziario sembra essersi adeguato.

 

Salvini e Meloni. Assodato il tatticismo di Salvini e della Lega nel corteggiare Draghi, prevedo un ulteriore balzo in avanti di Fratelli d’Italia, che ne ha preso le distanze

 

Quanto all’euro, forse non tutti sanno che ce ne sono due tipi, la cui differenza non è solo fisica: a parte le monete metalliche, uniche a godere del privilegio statale di battere moneta senza debito né interessi, l’euro dal valore di € 5 in su è presente, per circa l’8-10% in forma di banconote (da sempre oggetto di una denigrazione stile “colonna infame” di manzoniana memoria) e per il restante 90-92% come moneta elettronica. Il contante è emesso dalla BCE, l’elettronico (o scritturale) dalla miriade di banche presenti sul territorio.

Mentre il contante è spendibile ovunque, oltre che in Italia, lo scritturale porta come una firma nazionale; e se lo spendi fuori d’Italia –come turista o per l’acquisto di merci estere- la transazione passa dalla Banca d’Italia, che almeno ha ancora qualcosa da fare, dopo essere diventata una succursale periferica della BCE. [VEDI 1]

L’annotazione al passivo sui registri di Bankitalia dell’euro scritturale italiano speso fuori dei confini nazionali attesta che anche una valuta come l’euro, valida a livello globale, è un po’ meno europea di quanto si vorrebbe far credere, perché non c’è una cassa scritturale comune. In sostanza, l’euro è l’etichetta comune di varie monete nazionali, presenti sottotraccia.

Leggo, nel numero precedente, l’articolo di Luca Murgia [VEDI 2] sulla moneta complementare. Personalmente, ho sempre guardato un po’ con sufficienza questi tentativi di aggirare la pesante soma dell’attuale sistema monetario capestro, col quale, quali che siano le scappatoie e i sotterfugi, è davvero gravoso convivere. E mi risultano incomprensibili tutti i riguardi dimostrati ad ogni livello per i parassiti della finanza, che prosperano sul nostro, peraltro svanente, lavoro. 

Gli stessi industriali che, da un certo livello in giù, sono vittime di questo sistema, dovendo ricorrere a salari e stipendi da strozzo per sopravvivere, non spendono una parola contro il sistema, che accettano quasi fosse una proprietà fisica, come la temperatura o la pressione atmosferica e si arrabattano con tutti gli espedienti, leciti e illeciti, pur di non disturbare i creatori dei soldi, preferendo scagliarsi all’unisono contro lo Stato, che ne è vittima alla pari di loro.

 

Quanti sono davvero i sovranisti? Se lo chiede Francesco Carraro.

 

Niente, tutti quelli che hanno le armi per imboccare una svolta non le usano, e lasciano che a strillare siano persone come me e i tanti che esprimono il loro dissenso in rete, in particolare su www.byoblu.com, pur avendo tutti noi soltanto il flebile potere del flatus voci. Flebile perché dobbiamo ricorrere a blog locali o ad editori minori, essendoci interdetto l’accesso ai piani più alti, esecutori del diktat neoliberista: vedi tra questi personaggi dell’establishment Carlo Cottarelli, che sfrutta la presenza in rete di tante voci fasulle per annoverare tra le stesse anche quelle sensate, che però hanno il difetto di intaccare lo status quo. Tra queste ultime, segnalo quella dell’avv. Francesco Carraro che si interroga sul genuino sentiment sovranista dell’elettorato italiano: non ci sta bene il neoliberismo solo sotto il profilo economico, o anche per i suoi risvolti sulla nostra cultura e  tradizione? Quanto teniamo all’”italianità” e quanto invece soltanto alle tasche piene? Estendo questo dubbio alla sensibilità ambientale degli italiani, a spiegazione delle misere cifre elettorali dei partiti di ispirazione ecologista. In ambedue i casi, seguo Carraro nel chiedere: non c’è offerta perché non c’è domanda, o viceversa?

 

Sfruttare le fake news per etichettare come tali anche le news che mettono a nudo le verità scomode

 

Facile conquistare consensi quando possiedi la stampa e gli stampi della moneta con cui comprare tutti. Quella moneta privata oggi insidiata dalle cripto valute, spacciate come simbolo di libertà, quando non ne sono che un surrogato, propugnato dai nuovi poteri, come la Libra di Facebook, ma la cui natura rimane immutata: privata. Con una differenza: che a garantire la moneta bancaria ci sono gli Stati, cioè noi, come abbiamo imparato dal 2008. La finanza non può garantire se stessa: ci spolpa e poi ci indica come suoi garanti. 

 

Marco Giacinto Pellifroni   10 novembre 2019

 Visita il blog  https://www.marcogiacinto. com

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