Il museo d’arte di Savona: un museo “vetrina”.

IL MUSEO D’ARTE DI SAVONA:
UN MUSEO “VETRINA”

IL MUSEO D’ARTE DI SAVONA:

UN MUSEO “VETRINA”.

Da più di cento anni il concetto di museo nel mondo è cambiato in modo radicale.

Non è bastato più che avesse solo l’obiettivo di raccogliere, catalogare, esporre a fini conoscitivi e didattici opere di diverso tipo e di diversa epoca, ma si è rivelato necessario che assumesse, in modo sempre più deciso, il compito di diventare un centro di animazione culturale e sociale complessivo, di notevole richiamo per la città che lo ospitava.

Gli indirizzi museologici e museografici hanno subito nel tempo, inevitabili mutazioni che li hanno configurati in musei definiti, in modo inequivocabile, “musei del presente”.

Musei nuovi non solo per gli spazi, i muri, le aree interne ed esterne, ma anche nella sostanza e nell’effetto che andavano prefiggendosi.

Queste nuovi indirizzi riconoscibili già nel Guggenheim di New York, nel 1943, hanno portato a quella che sarebbe diventata la simbiosi tra visitatore, opera d’arte e architettura. Il nuovo museo ha cominciato ad avere una nuova missione ed essere edificio del mondo contemporaneo, uno spazio di confronto e di libertà per gli artisti ma anche com’è accaduto al Beaubourg a Parigi, un ampio museo di pittura e scultura, ma anche d’installazioni  musicali, di discografia, di cinema e di ricerca teatrale.

 

Un museo totale, quindi, uno spazio che espone tutt’oggi l’utopia del futuro in un contesto altrettanto spettacolare, quel museo-macchina  in vetro e acciaio, progettato da Piano e Rogers, che era destinato a nascere come centro per l’arte del presente, aperto ad un pubblico di massa.

 Il museo di oggi deve avere una relazione osmotica con la sua città, di qualunque grandezza essa sia, agendo principalmente con tutte le sue diverse funzioni. Non deve essere solo un percorso museale, ma un centro di cultura anche cinematografico, teatrale, oppure essere biblioteca museale, libreria, caffetteria, ristorante, bookshop, negozio di souvenir : un polo di attrazione di massa che si ponga come “centro” culturale e spazio flessibile, aperto, dilatato, a coinvolgere direttamente il visitatore.

Le innovazioni architettoniche concorrono a definire meglio quelle museografiche, là dove grandi vetrate collegano interno ed esterno e rendono visibile il contenuto e dove ingressi pedonali diventano ampi spazi, dove sia possibile incontrarsi, discutere, dialogare e conoscersi.

Il museo deve essere catalizzatore di energie culturali e creatore esso stesso di cultura.

Per questo quando s’investono energie ed economie finanziarie, come si è fatto a Savona con il Museo d’arte di Palazzo Gavotti e recentemente quello attiguo, della ceramica, nel Palazzo del Monte di Pietà, pur negli sforzi progettuali di chi ha ripensato il contenitore non sembra poter raggiungere questi obiettivi.

 

La trasformazione degli ambienti riguardanti quei palazzi storici di pregio, situati nel centro storico, costruiti alla fine del 1500, non potevano oggettivamente offrire la reale configurazione di quel modello museale che, nella città di Savona, poteva diventare sia una concreta proposta culturale, sia un polo attrattivo dal punto di vista architettonico e urbanistico come, da tempo, accade in tutte le città del mondo.

Se i critici definiscono i nuovi musei del mondo: “ipermercati della cultura” è anche vero che la trasformazione reale è stata quella che li ha modificati da “musei caldi”, quelli ad alto tasso di informazione ma con fruizione del tutto passiva, a “musei freddi”, capaci di indurre reazioni e azioni da parte del pubblico, non più solo spettatore ma attore della proposta culturale.

I musei savonesi non hanno queste caratteristiche, ma sembrano configurarsi  ancora come esempi di spazi chiusi, quasi riconducibili a quei luoghi “elitari” che Adorno chiamava “musei-mausolei”, riconducibili a grandi vetrine con una visione ancora lineare e gerarchica tipica del museo tradizionale, che vede al vertice la tutela e la conservazione, mentre il museo nel mondo è diventato, da tempo, il luogo  dove studiare, incontrarsi, fare shopping, mangiare, seguire dibattiti e passeggiare tra le opere d’arte.

Se anche Savona avesse compiuto le scelte operate in centinaia e centinaia di città mondiali, spesso anche poco note come, in Italia, Rovereto, Napoli, Pesaro, Bergamo, Bolzano, Trento e Pistoia, per fare alcuni esempi, e fosse arrivata a convincersi dell’importanza dell’architettura museale nella sua finalità e nei suoi obiettivi, mirati alle esperienze del visitatore, all’educazione, alla comunicazione e ai servizi per il pubblico,  riconosciuti come gli strumenti fondamentali della nuova museologia ma anche come edificio-logo della città, forse avrebbe scomodato Bofill e FuKsas per progettare un museo e non volumi residenziali di dubbio gusto e di scarsa utilità.

 

Un museo che potesse perseguire concretamente una visione sistemica, che lo ponesse al centro di un processo circolare in cui ricerca, tutela, conservazione e comunicazione sono in relazione tra loro e si integrano; un luogo le cui finalità sono quelle di studio, per lo sviluppo della conoscenza, di educazione, per l’apprendimento e l’affinamento della sensibilità del pubblico, e di diletto, per garantire a tutti il godimento derivato dalla fruizione del contenuto e del museo.

Un museo in grado di trasformarsi in un centro vivo di produzione culturale e di diffusione della conoscenza, in un crocevia di comunicazione e interazione del pubblico, in un luogo generatore di emozioni ed esperienze e non c’è dubbio quanto, in una città come Savona, ce ne sia bisogno.

 Come aveva sottolineato Giulio Carlo Argan « il museo non dovrebbe essere il ritiro e il collocamento a riposo delle opere d’arte, ma il loro passaggio allo stato laicale, cioè allo stato di bene della comunità: il luogo in cui davanti alle opere non si prende una posizione di estasi ammirativa, ma di critica e di attribuzione di valore».

 Come potrà il museo savonese perdere “sacralità” e diventare luogo destinato non soltanto alla conoscenza ma soprattutto al divertimento, orientato non soltanto alla ricerca e all’esposizione, ma più attento al pubblico all’interno di una prospettiva di servizio.

Come potrà trasformarsi se non contiene spazi adeguati al suo interno per quella serie di attività collaterali che si pongono come luoghi dedicati anche al consumo, aree funzionali e servizi aggiuntivi, librerie, boutiques, auditorium, caffetterie e ristoranti,che modificano la configurazione del museo, proponendo al pubblico una serie di spazi che consentono di vivere il museo familiarmente e non ultimo offrire occasioni occupazionali.

Il museo savonese che si distribuisce sui tre piani esistenti del palazzo, aprendosi sotto il portico di Piazza Chabrol con due accessi, il cui  percorso espositivo si sviluppa tra il secondo e il terzo piano non è certo stato progettato e realizzato per attrarre un gran numero di persone, desiderose di ammirare, oltre che le opere contenute anche il museo stesso in grado di trasformarsi in un centro vivo di produzione culturale e di diffusione della conoscenza, in un crocevia di comunicazione e interazione col pubblico, un luogo generatore di emozioni ed esperienze.

Aver trovato un’adeguata sistemazione alle numerose, quanto interessanti collezioni di provenienza sia pubblica sia privata, formatesi nel tempo e, fino ad ora, dislocate in più sedi non basterà a raggiungere l’obbiettivo di avere creato una moderna sede museale che possa diventare una reale quanto importante risorsa economica per la città.

Il museo savonese, in un palazzo recuperato a fini museali, è, e rimarrà un percorso gerarchico obbligato, sfornito di spazi idonei a diventare un polo di attrazione di massa, un “centro” culturale e vitale, perché carente di spazi flessibili, aperti, dilatati, utili a coinvolgere il visitatore che possa anche  studiare, incontrarsi, fare shopping, mangiare, seguire dibattiti e passeggiare tra le opere d’arte, in quell’azione di “marketing museale” che ha fatto la fortuna economica di molti musei e molte città, ma che Savona deve ancora imparare a fare.

 ANTONIA BRIUGLIA

          

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.