Il monte Ornato e le nostre vite disadorne

Il monte Ornato
e le nostre vite disadorne

Il monte Ornato e le nostre vite disadorne

Oggi, insieme con i rappresentanti dei comitati che difendono la chiesetta della Madonna degli Angeli, siamo saliti fin sul monte Ornato, dove sorge lo storico piccolo edificio in pericolo, per piantumare un albero, un leccio, in segno di celebrazione per la Giornata della Terra.

Lungo il percorso, sulla strada tagliafuoco che sale dalla Fontanassa, voragini scavate dal dilavamento, nella rossa terra della collina. I segni di piogge e violente alluvioni, che la vegetazione di arbusti e macchia, unico residuo intrecciato ai resti di molti disastrosi incendi, non riesce a contenere.

 Eppure, giunti in cima, nel piccolo spiazzo ripulito con impegno dai volontari, si respirava un’aria diversa. Pulita, limpida  e quasi spirituale.

E’ un luogo che incanta tutti, un luogo fortemente simbolico. Lo sappiamo, del resto, ce lo dicono molte teorie di varia natura, che sulla nostra terra si intersecano linee di energia, che non è solo la posizione, il contorno, il panorama, il clima, gli edifici, a costruire lo spirito di un luogo, ma che questo si intreccia in qualche modo con la terra stessa, con il fluire vitale che permea le nostre essenze, in un rapporto simbiotico e profondo un tempo molto più forte, molto più essenziale, ma che ormai non percepiamo più, lo abbiamo tacitato, stratificato sotto strati e strati del nostro “grasso” ego, delle nostre vite artificiali di forzati dell’inutile. Condannandoci all’infelicità del profondo.

Sappiamo che esistono luoghi intrinsecamente “positivi” e altri “negativi”, e che non è un caso che in alcuni siano sorti templi e santuari, in altri leggende paurose o fatti oscuri.

Lì ci sentivamo “bene”. Nel senso più completo del termine. Quello che spinge a sorridersi, a rilassarsi, a provare la nostra umanità e a riconoscersi gli uni negli altri, nel calore del gruppo.

La chiesetta provata dalla storia, dalle incurie e dalla cattiveria, raccontava la sua vicenda. I volontari, accorati, ci narravano la loro, fatta di dedizione ostinata e sempre più disperata, di sgarbi e incomprensibili ostilità.

La storia della votazione promossa dal FAI che elesse la chiesetta a luogo del cuore. I soldi raccolti fra i fedeli per il restauro, consegnati al parroco, per poi scoprire che erano spariti, usati per altri scopi più urgenti della parrocchia.

 

 L’ indifferenza quasi ostile di tutte le autorità ecclesiastiche, civili e culturali a cui si sono rivolti.

I continui vandalismi, un reiterare tanto scientifico, costante, organizzato da  risultare sospetto e foriero di oscuri economici interessi, anche ben ramificati e con molte complicità, parenti stretti dei devastanti incendi del 2003.

Le nuvole di vaghe speculazioni su certi versanti collinari, progetti dormienti come oscuri draghi assetati di inutile oro.  Ombre fredde del gelido nulla che infesta purtroppo molti cuori e ottenebra le menti, inaridendoci, rendendoci ciechi e sordi a quel linguaggio della terra che, solo, potrebbe darci la vera pace.

Una pace che nessuna ricchezza, nessuno scempio redditizio, nessun lusso può sostituire, più preziosa e sfuggente dei beni materiali, lo star bene con se stessi, con gli altri e con il mondo, e per questo, così odiata da chi ne è lontano,  da chi non la avrà mai,  tanto da volerla annullare, distruggere, sottrarre agli altri, per una sorta di malevola  implacabile invidia inespressa, di ottusa volontà di annientamento collettivo.

Eppure, il comitato, i cittadini non mollano. Tanti continuano a tributare a quel simbolo in cima alla collina un affetto speciale. E’ amatissimo, ci dicono, anche da chi religioso non è. Perché certi simboli travalicano le raffigurazioni che tentiamo di dare loro.

Abbiamo scavato, concimato, piantato l’albero di leccio. Lo abbiamo innaffiato, sorretto con pali perché cresca forte e diritto.

Sarà tutto inutile, diceva qualcuno, amaramente. Sarà quasi un richiamo, un invito per i vandali a fare di peggio.

Abbiamo guardato il nostro albero.  Intorno, cespugli di rosa canina già fioriti. Dietro di noi, la chiesetta con le scritte pietosamente coperte da vernice grigia, le lastre d’ardesia pericolanti, il cancelletto divelto.

Davanti a noi, il panorama di Savona, che potrebbe essere bellissimo, ma visto così dall’alto rivela il triste volgare  squallido scempio di cemento che nasconde. 

Il tribunale,  il grattacielo  Bofill in porto, il muraglione del Crescent che appariva così vicino, in linea d’aria, alla Campanassa, da violarne l’antica dignità.  Il Priamar, pur così possente, sembrava seminascosto, il castello di sabbia di un bambino, in confronto ai protervi orrori moderni che contrassegnano la nostra povera città.

 

 Più a ovest il Matitino attende  fiducioso e paziente che nascano i fratellini, che finalmente siano maturi i tempi e i ritorni speculativi per devastare anche le rovine ex-Mottura, con altre improbabili torri che ora pre-esistono acquattate nell’ombra, non ancora concrete ma progetti, già reali e minacciose come l’occhio di Sauron, la stessa minaccia incombente sulla collina sotto di noi. I progetti depositati, immaginati, dormienti, approvati o no, ma sempre maledizioni che incombono. Allo stesso modo si vedevano già, con l’occhio della mente, l’occhio del futuro, il rosso occhio maligno dalla pupilla verticale, il Crescent 2, i palazzoni di Binario Blu il cui progetto ci dicono fermo (verità o ennesima sceneggiata?),  e i tanti meravigliosi palazzi palazzoni torri torrette grattacieli palazzi storti (ma con ecologici tetti in erbetta che fan tanto classe A!)  che il lungomare saprà regalarci, quel lungomare che alcuni vedono nei loro sogni solo come una sorta di risacca di sonanti bigliettoni.

Noi intanto siamo scesi dal nostro monte, abbiamo guardato un’ultima volta con orgoglio il nostro albero. Felici, per una volta, cercando di non pensare. 

Non resta che sperare, insistere, non arrendersi. Si sa che persino l’occhio di Sauron può essere sconfitto, dal coraggio e dalla testardaggine di pochi.

E in questo stato d’animo confuso, fra gioia serena e amara tristezza, sono rimasta tutto il giorno.

Di parole non ne trovo più, perché sarebbero di rabbia.

Altro non saprei né vorrei aggiungervi, per questa volta.

 Milena Debenedetti Consigliera del Movimento 5 stelle

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