Il MERCATO DEL LAVORO E LA LOTTA INTEGRATA.

 

 

 MERCATO DEL LAVORO E

 LA LOTTA INTEGRATA 

Il  MERCATO DEL LAVORO E

LA LOTTA INTEGRATA.

Non è una riflessione di sistemi di colture agricole ma, curiosamente, si può considerarne una certa analogia con quanto è accaduto nel mercato del lavoro a livello planetario, quindi in Italia e di riflesso nel nostro territorio ligure, soprattutto savonese.

Infatti, se la lotta integrata in agricoltura parte dalla consapevolezza che se si interviene in un ecosistema in modo anomalo  si alterano le reti trofiche del sistema stesso, si possono individuare delle analogie con quanto è accaduto nel mercato del lavoro dove alterandone gli equilibri, gli obbiettivi nonché le relazioni tra lavoratori  e padroni si è finito solo per  remunerare il capitale di chi già possiede già la ricchezza del pianeta.


Se la lotta integrata si può definire in natura una lotta “pacifica” è anche vero che parte da una presa di coscienza all’interno delle dinamiche della natura stessa, senza usare mezzi chimici aggressivi ma con la consapevolezza della lentezza del risultato che comunque è garantito. Essa ha un unico obiettivo: quello di mantenere l’organismo dannoso entro una soglia, limite oltre al quale l’organismo stesso crea danno.

Quante analogie col mercato del lavoro così come si è evoluto in questo ultimo drammatico periodo.

 Una più attenta analisi dimostra che la battaglia per il lavoro, quello di chi lo perde, di chi lo difende a tutti costi anche accettando precarietà, elemosine al posto di salari, per chi lo accetta nelle forme meno tutelate che mai, per chi è costretto a lasciarlo per mancanza di tutele o di uno stato sociale inadeguato, può essere contaminata dal sistema di mercato, dove è straordinaria la capacità dell’attuale capitalismo di recuperare, integrare e quindi neutralizzare i movimenti di lotta che realmente lo criticano o si oppongono a questo stato di cose.

Se i lavoratori sono  stati resi incapaci di farsi forza oppositrice che, di fatto, li avrebbe portati a difendere i loro diritti, quelli, in Italia, sanciti dalla Costituzione, la critica all’attuale sistema sembra sempre più costretta ad arretrare a un livello apparentemente, e solo da una lettura superficiale, astratto.

In un’Europa, dopo la caduta del comunismo, con la conquista di una democratizzazione globalizzata da esportare, ma anche con il crollo del modello capitalista rivelatosi incapace, contrariamente alle promesse, di dare benessere a tutti, sembra sia caduta anche l’aspettativa di un futuro da condividere.

La classe operaia, pur essendo tra quelle che più direttamente stanno pagando gli effetti della crisi economica orchestrata dalle lobby finanziarie e industriali, sembra ormai integrata nel sistema.

Forse anche a causa di sindacati ormai incapaci di organizzare un’adeguata resistenza, irretiti dal ruolo ormai ritagliato dalle loro burocrazie, quello di presenziare ai tavoli dei Governi, per giustificare il loro potere più politico che contrattuale, dove hanno finito  per accettarne ricatti, promesse e compromessi.


Forse anche a causa di questo, a parte rari momenti di lucidità, finisce per usare lo stesso linguaggio dei padroni delle loro aziende.

Perdono in alcuni casi l’occasione d’impossessarsi dei mezzi di produzione dell’azienda che chiude e fallisce nonostante, l’ottima produttività e le commesse, com’è stato nella FAC di Albisola, andando dietro a promesse di progetti speculativi sul territorio che avrebbero solo agevolato i cartelli immobiliari e soliti costruttori. Finiscono per farlo suggellati dallo stesso sindacato, intento solo a curarsi di ammortizzatori che il pane ( e anche poco) garantiscono , solo a tempo determinato senza affrontare in modo compiuto le prospettive di sviluppo del lavoro.

Lavoratori, in altri casi, come la Tirreno Power che finiscono  ostaggi di industriali che conoscono bene lo stato di salute della loro azienda, tanto indebitata da rivolgersi a banche destinate ad un insperato tentativo di salvataggio , o ad altre aziende energetiche straniere che avrebbero dovuto comprarla, non si sa con quale futuro o con quali ristrutturazioni per renderla nuovamente competitiva.

Un’azienda che sapeva di produrre già da tempo energia in surplus. Basta guardare, l’andamento della richiesta energetica in Italia, nonostante i Governi non ne vogliano prendere atto producendo una politica economica di progetto energetico credibile, continua a scendere. La diversificazione delle fonti, anche in Italia, sembra premiare inesorabilmente le fonti rinnovabili e non il carbone che anche prodotto da Tirreno Power, inquina già di suo, e a Vado ancor più perché bruciato in gruppi tanto superati e obsoleti da costringere l’azienda a misurare le emissioni da sé.

I lavoratori oggi cercano colpe in chi da quasi dieci anni sollevava elementi di criticità forte sul territorio legati alla salute della popolazione e quindi anche dei lavoratori stessi che comunque non hanno creduto opportuno, allora, dare il loro contributo.


Schierati e appiattiti, ancora una volta, dietro alla posizione dei sindacati che avrebbero promosso, in modo alquanto surreale, uno sciopero contro i cittadini, come fossero in antitesi con i lavoratori e non con i padroni dell’azienda.

Padroni ben consci dello stato delle cose, tanto da essere oggi indagati dalla Magistratura per comportamenti “delittuosi”.

Si può continuare a parlare ancora oggi la stessa lingua di chi è causa della perdita di lavoro e della salute di tanta gente?

Non si è forse tutti vittime di un sistema che decide a tavolino le strategie migliori per conservare, a tutti i costi, i propri profitti?

 Una volta delocalizzando com’è avvenuto per molte aziende savonesi, una volta chiudendo per incapacità e pessime gestioni o altrettanto sciagurati investimenti, una volta camuffando vendite di aziende che oltre a produrre energia producono malattie e morti.

Non si può parlare la stessa lingua di chi è stato causa di tutto questo.

Non si può ad esempio cadere nell’equivoco del benessere ad ogni costo. Quale benessere stiamo offrendo ai nostri figli se il lavoro non è più garantito, la salute neanche. Di quale benessere si parla quando difendiamo l’uso di automobili, frigoriferi, condizionatori e computer come beni indispensabili cui siamo stati indotti e non guardiamo il mondo in modo più completo, un mondo che non può continuare a difendere l’idea di consumo per il consumo?

Se per molti è finita l’epoca delle rivoluzioni, forse dipende dal fatto che abbiamo in mente quelle passate, ma le rivoluzioni sono in atto, anche se non tutti ne percepiamo l’esistenza.

 


ll mondo non può vivere senza utopie e i popoli continueranno a lottare per averne  di nuove.

Se è vero che è il sistema capitalista, alleato con quello delle banche, ad averci portato a questo, bisogna lottare per riconquistare quei beni comuni che come lavoro, salute, stato sociale e istruzione, strappandoli alla rinuncia cui ci ha indotto il mercato.

Bisogna riconquistare tutti insieme la lucidità che ci consenta di capire chi è stato il responsabile di tutto questo e insieme studiare le strategie per cambiare le cose, nessuna legge lo farà al posto nostro.

  Anche se l’esito potrebbe essere incerto, si potrebbe però scongiurare una lotta sociale tra cittadini, tra lavoratori, tra colpiti in modo diverso da questa crisi , facendo il gioco di chi sta a guardare, che sa che il potere economico sta in mano a pochi , che controllano tutta la produzione mondiale e direttamente o indirettamente, il lavoro di quasi un miliardo di persone, la tecnologia, la comunicazione, il trasporto e l’organizzazione e non per lo sviluppo e il progresso sociale, ma per massimizzare i loro profitti.

La bufala che bisogna aumentare la produzione è la prima a dover essere smascherata.

 

 Nè più prodotti, né più automobili, né più energia, anche in Italia la produzione è aumentata in questi ultimi anni , anche se i benefici non li hanno visti i lavoratori, che nonostante gli sforzi fatti per accettare ricatti e sub contrattazioni hanno, di fatto , assistito all’aumento della disoccupazione.

Disoccupazione anche e soprattutto nel settore industriale, anche a causa delle delocalizzazioni: un trasferimento globale di capacità produttiva di industrie che si spostano da un continente all’altro e in Europa dall’Italia a quei Paesi entrati in Europa proprio a questo scopo. Oggi, l’aumento della produttività è volto all’estrazione della maggior quantità di plusvalore per battere i concorrenti, generando così insopportabili condizioni lavorative.

 Alcuni dirigenti del movimento sindacale, come la direzione della Confederazione Europea dei Sindacati (CES), si sono identificati con gli obiettivi dei grandi monopoli europei e l’Unione Europea –  “si sono istituzionalizzati” – così il movimento sindacale ha perso parte del suo potere

L’ostacolo principale a queste battaglie sembrano così la burocrazia sindacale  e la classe politica, che promuovono la menzogna che gli interessi dei lavoratori e del potere economico e finanziario  siano compatibili, che bisogna sforzarsi insieme per difendere il “sistema paese” e la “competitività” .

 Le loro “vie d’uscita” dalla crisi sono, infatti, le collaborazioni di classe e il protezionismo diventando il filo conduttore tra chi possiede l’azienda e il lavoratore cui si è insegnato che la realtà è solo questa: accettare un peggioramento delle proprie vite, anche a costo di ammalarsi e morire, in modo che i padroni possano ristabilire il “normale” flusso di milioni nelle loro tasche.

        ANTONIA BRIUGLIA

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