Il marocchino e la furia di Aiace Telamonio

Aiace Telamonio

Ho letto sulla Stampa l’incipit di un articolo di certa Elena Stancanelli, pare autrice di romanzi, sul marocchino che ha gettato dalle scale come uno straccio la figlia di pochi anni della compagna con la quale stava litigando. Non ho proseguito la lettura per evitare il voltastomaco: secondo la signora il padre ubriaco (in realtà non è il padre e silenzio sulla nazionalità, of course) fuori di sé come Aiace Telamonio che in preda all’ira per lo scippo delle armi di Achille mena fendenti contro guerrieri che, rinsavito, si accorge essere pecore e buoi, non aveva il controllo delle proprie azioni.  Al di là dell’accostamento, che mi ha fatto tornare alla memoria un felice autoironico graffito che recitava: “a questo è servito aver imparato a scrivere, imbrattare i muri”, disgustoso il tentativo di anticipare la difesa dell’omicida, incapace di intendere nel momento in cui ha compiuto il misfatto e non pentito ma incredulo e sbigottito una volta smaltita la sbornia. Insomma, non era lui.
A tanto porta il buonismo di regime e il cieco fanatismo in difesa dei clandestini. Ma il fanatismo buonista copre in realtà la mancanza di feedback  di una parte politica che si muove per interesse e per partito preso ed è per questo rigida e incapace di rivedere le proprie posizioni: sono gli stessi   che non tollerano che si accenni agli effetti indesiderati dei vaccini anti Covid, lasciando così libero il campo alle fake news che circolano sulla rete, gli stessi che gongolano quando possono dar notizia di un femminicidio tacendo sulla incontrovertibile circostanza che il fenomeno  è fortunatamente in costante calo (nonostante il contributo degli stranieri), gli stessi che aspettano con ansia, e invano,  che qualche picchiatore di Forza Nuova metta a repentaglio i valori della resistenza sui quali si fonda la costituzione “antifascista”. Gente che ha fatto dell’Italia un Paese sui generis, nel quale tutto viene alterato e visto con gli specchi deformanti dei vecchi Luna Park.  La realtà stiracchiata sul letto di Procuste del politicamente corretto – vale a dire dell’interesse della sinistra – gonfiata da una parte e mutilata dall’altra, presentata al popolo bue per educarlo, che non veda quello che non deve vedere e che riceva sempre e comunque conferme per la sua fede.

Un’operazione che ha richiesto la fattiva collaborazione del sistema mediatico, carta stampata e televisioni, e, beninteso, della magistratura.  Così si è fatto il lavaggio del cervello all’opinione pubblica per ridurre Berlusconi alle “cene eleganti”, che erano fatti esclusivamente suoi, invece di attaccarlo, come sarebbe stato doveroso, per essersi inchinato davanti a francesi e americani tradendo in modo vergognoso l’alleanza, e l’amicizia, con Gheddafi (del resto a distanza di tanti anni nessuno rinfaccia al redivivo D’Alema di essersi accodato allo sciagurato attacco alla Serbia, baluardo dell’Europa – e non tiro in ballo la cristianità – contro la pressione islamica). E, con la stessa disinvolta manomissione dei fatti, silenzi e polverone sulla morte di Rossi, il funzionario di Monte dei Paschi precipitato dalla finestra del suo ufficio (una morte simile a quella occorsa all’anarchico Pinelli, trattata con ben altro clamore e che costò la vita al commissario Calabresi).

La morte di Rossi

Silenzio stampa sul soggetto visto chinarsi sul corpo per accertarsi che fosse morto, enfasi sull’email con la quale (due giorni dopo la sua morte!)  lo sventurato avrebbe annunciato la sua volontà di suicidarsi.  Di fronte a un caso eclatante di omicidio, aggravato da un’impudente goffaggine e da altrettanto goffi tentativi di depistaggio, gli investigatori sono andati a caccia di farfalle sotto l’arco di Tito, i giornalisti più smaliziati e sospettosi  non hanno trovato niente da dire o da approfondire, quando anche un bambino riflettendo sulla banca dei compagni qualche idea su movente e mandanti se la poteva fare.

Raul Gardini

Niente di nuovo sotto il nostro sole: chi non ricorda la ridicola messinscena del suicidato Gardini, quel Gardini intruso nel salotto buono della finanza italiana che probabilmente con la sua morte convinse un altro intruso, Silvio Berlusconi, a farsi un partito per coprirsi le spalle.  Ma nell’Italia degli scandali su quelle morti è stata messa la sordina; nell’Italia di una tangentopoli costruita sul nulla quando c’è stata materia per far cadere teste e rivoltare la politica come un calzino silenzio di tomba. E allora perché mi indigno se per salvare la politica dell’accoglienza si tace sulle carceri piene di stranieri accolti a braccia aperte o quando commette un reato un siciliano si grida a squarciagola la sua anagrafe e la sua origine mentre si tacciono identità e nazionalità se assassini stupratori ladri e spacciatori sono nigeriani o marocchini? Lo dovrei considerare normale perché so che nel mio Paese si è consolidato un regime sudamericano che non ha più niente da spartire con le democrazie occidentali. Lo so ma non riesco ad accettarlo e continuo a ribellarmi davanti a un saggio di cattiva letteratura partorito per smorzare e prevenire la legittima reazione dell’uomo della strada che si illude di informarsi e comprendere quel che succede intorno a lui sulle colonne dell’autorevolissimo quotidiano della buona borghesia. Non fosse mai che i nudi fatti alimentino qualche pulsioncella xenofoba!

Pierfranco Lisorini

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