Il lavoro fa ammalare. A volte morire.

 Il lavoro fa ammalare. A volte morire.

Il lavoro fa ammalare. A volte morire.

 

La nostra Costituzione pone il lavoro come elemento fondativo al primo articolo, ed il contesto sociale nel quale ci troviamo assegna al lavoro un ruolo discriminante nella organizzazione della nostra vita e nei processi di identificazione individuale e collettivi.

Il lavoro è un’importante componente della nostra vita, che non solo fornisce una possibilità di  realizzazione e gratificazione ma anche una capacità reddituale che consente di vivere una vita dignitosa (e dentro questa aggettivazione c’è tutto e qualunque elenco sarebbe incompleto poiché ciascuno di noi ne ha uno proprio).

 La presenza o l’assenza del fattore lavoro è destinata ad essere fonte di stress.

Il nuovo testo unico sulla sicurezza e la salute sul lavoro (Dlgs 81/08) si occupa per la prima volta di stress lavoro correlato, cioè pone l’attenzione (con strumenti di rilevazione che sono stati successivamente ideati e utilizzati e che – a detta degli esperti- sono ancora incompleti se non inadeguati), alla possibilità che il lavoro, ovvero il contesto lavorativo sia il luogo dove sia possibile ammalarsi.

Sono passati decenni da quando si è posta per la prima volta l’attenzione sulle modalità produttive, ma ci sono voluti tanti morti e tanti infortuni ed ancora oggi è un processo non risolto: la morte sul lavoro è ancora una tragica realtà.

E lo è anche in forma “differita”: pensiamo alla lavorazione di prodotti come l’amianto, o – per restare a casa nostra-  alla triste vicenda dell’ACNA di Cengio.

A tutto questo si è aggiunto la necessità di monitorare l’ambiente di lavoro, per verificare quanto lo stesso sia patogeno.

Lo stress a cui sono sottoposti i lavoratori (che siano impiegati e operai, dirigenti o medici) se rilevato deve essere risolto: la situazione lavorativa va sempre monitorata e vanno rimosse tutte le cause che hanno presumibilmente provocato lo stato di disagio.

Lo stress lavoro correlato si esplicita in vari modi, alcuni anche conosciuti dalle persone comuni, perché portati alla ribalta dalla cronaca giornalistica prima ancora che da studi scientifici.

Pensiamo al bossying, al mobbing, al burn out.

 Studi approfonditi su ambiente di lavoro e disturbi mentali (come depressione, stress, disturbi del sonno, disturbi psicosomatici, maggior acquisto e consumo di psicofarmaci) in Italia non ve ne sono, e neppure sono in corso (sic!!!): importanti ed allarmanti dati possiamo consultarli facendo riferimento a indagini condotte in paesi come quelli scandinavi, il Giappone, la Cina, l’India.

 Così come pochissimi sono gli studi relativi ai suicidi per cause di lavoro: per riflettere su alcuni dati è necessario fare riferimento ad una ricerca del 2011 condotta a Victoria (Australia – Victoria Coroner) dal giugno 2000 al dicembre 2007. Dei 642 suicidi avvenuti in ambiente di lavoro il 55% erano legati a fattori stressanti relativi al lavoro (comprendendo in questa accezione le difficoltà economiche seguenti una modificazione del rapporto lavoro/stipendio, successivi a incidenti -recenti o pregressi- sul lavoro, disoccupazione/licenziamento o conflitti con colleghi o capi).

Ma la malattia sul lavoro non riguarda solo i lavoratori in termini individuali: da qualche tempo sono sotto studio le organizzazioni, che spesso hanno un funzionamento patologico, così come il management con prevedibili conseguenze sull’intera piramide organizzativa e quindi sui singoli dipendenti.

Ma avviare in Italia una attenta osservazione sulle cause dello stress lavorativo, così come la prosecuzione dell’azione di prevenzione degli infortuni, non è da considerare alla stregua di una sorta di benevolenza, ma alla valutazione dei costi/benefici: un lavoratore ammalato costa di più alla collettività (in termini di cura, di produttività, di efficacia/efficienza).

Ma anche il lavoro che non c’è provoca stress.

Il lavoro non c’è per il disoccupato, per l’inoccupato, per il cassa integrato, per gli esodati.

Il lavoro non c’è più per chi è stato espulso dal ciclo produttivo (magari per delocalizzazione, riorganizzazione, esternalizzazione, chiusura dell’azienda o dell’ente).

Capita che il gravissimo disagio causato dal lavoro mancato sia letale, mortale.

Il numero dei suicidi nei Paesi Europei che hanno riallineato il proprio sistema economico su dettami imposti dalla BCE e della UE è aumentato considerevolmente, e seppur non siamo in presenza di dati elaborati ma ancora di statistiche grezze, specificamente è aumentato il comportamento autolesivo connesso con gli aspetti di crisi .

Il timore di non farcela, di non avere la sicurezza di saper provvedere a se’ e a quanti da noi dipendono (realmente o no, organizzativamente o familiarmente), la sensazione del baratro sono tutti pensieri che possono affacciarsi in modo pervasivo nella mente delle persone, al punto da non sembrar di scorgere alcuna possibilità di soluzione.

Dunque al disagio, alla malattia per il lavoro si è affiancato quello del mancato lavoro.

C’è di che riflettere sia sul piano politico sia su quello degli strumenti efficaci sul piano della salute per le persone in crisi, anche prevedendo specifici interventi di supporto delle strutture pubbliche che per altro risultano risultano di primaria importanza e necessità nella situazione attuale ed ancor più nel prossimo futuro visto l’inevitabile ulteriore compromissione della situazione economica e dell’assenza di risposte da parte politica.

Patrizia Turchi

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