Il dolce che non c’era

Il dolce che non c’era

Il dolce che non c’era

 Quali dolci mangiavano i nostri nonni? Oggi siamo abituati ad avere ogni tipo di dolciume a portata di mano: dalle merendine, agli “snack”, dalle lussureggianti torte confezionate, alla pasticceria d’alta scuola: pasticcino, torta, sfogliata, frolla. Tutti i giorni, volendo. Anzi: ad ogni pasto possiamo mangiare qualcosa di dolce. Anche solo un pezzetto di cioccolato, mentre nella memoria alimentare dei nostri nonni il dolce è una vera e propria rarità, relegata ai giorni di festa più importante, oppure ad omaggio reverenziale per una persona importante in visita. Al limite come gesto d’affetto raro e prezioso nei confronti dei bambini.


 

Tale era questa consuetudine che le persone anziane, ancor oggi, dicono di disdegnare i dolciumi, non essendo abituati a consumarli. Non so se lo dicano per convenzione o se sia davvero così,  so però che il gusto si costruisce e si modifica anche negli anni, ed è frutto complesso dell’ambiente in cui si vive.

Torniamo alla domanda che ho posto all’inizio: quali dolci, un tempo? Non vorrei qui parlare dei dolci dei signori: i benestanti avevano ricette e preparazioni codificate, in cui entrava anche la pasticceria. Più interessante disquisire sul cibo dei “poveri”.

Proviamo a pensare agli ingredienti di base: avevano il miele, rubato a qualche sciame di passaggio, od ottenuto con il favo a perdere: un tronco di castagno vuoto, come un grosso tubo, dove catturare uno sciame  di api che poi andava distrutto per cavarne quel poco, impastato alla cera. Dolce era la frutta, quella propria delle nostre valli: uva, prugne, fichi. Non a caso questi frutti li troviamo secchi, da sempre. Perché preziosi in quanto molto dolci e utili da salvare (e facilmente salvabili), da poter consumare anche dopo tanto tempo. Certo c’era anche lo zucchero, ma era roba da consumare con estrema parsimonia, come tutti i prodotti che non si trovavano naturalmente, ma erano da comprare. Quindi anche la marmellata era abbastanza rara.


Credo che l’unico dolciume tutto sommato consueto fosse il torrone: albumi, miele, nocciole. Semplice, dolcissimo, conservabile. E comunque tanto speciale da essere riservato ai giorni festa o di fiera.

Per costruire un dolce non c’è solo bisogno di zucchero. Serve una base di pasta, magari. Oppure una base cremosa, fresca. Mi vengono così in mente tre dolci un po’ antichi, i torcetti dolci, che ogni fornaio faceva a suo modo; la giuncata o la ricotta arricchita o aromatizzata dal miele, dallo zucchero, dal caffè o dal cacao; infine il pandolce, nelle sue mille varianti italiche, dove confluivano nell’impasto base del pane, tutte le ricchezze e le prelibatezze di casa: dalla versione povera con solo uvetta, nocciole. miele e semi di finocchio, fino ad arrivare a varietà con canditi, noci, spezie e liquori. L’apice di questa preparazione credo si possa dire il panforte senese, composto solo per la minima parte di farina.


La giuncata è oggi di più difficile approvvigionamento: non sono molte le aziende agricole che possono offrirla; non sono molti in casa a possedere ancora la grata di giunchi indispensabile per potersela fare a partire dal buon latte di pecora fresco. Eppure, anche sola, affondare i denti in tanta tenerezza e delicatezza è un’esperienza mistica. Si avverte chiara ed evanescente la freschezza dei nostri ruscelli, l’erba appena tagliata, l’odore della nebbia e della brina. Troppo raffinata: per questo ci si spolvera sopra (a mio gusto) un poco di zucchero semolato, da sentire far sentire ai denti qualcosa da macinare.

Erano e restavano delle “leccarie”, delle galuperie per i bambini buoni, per i giorni di festa. Oggi sappiamo anche che il valore nutrizionale dei dolci, in genere, è tale per cui occorre una certa moderazione, una certa sobrietà nel consumo. Soprattutto se poi si fa vita sedentaria, soprattutto se uno intende consumare cornetti di sfoglia a colazione come se fossero fette di pane. Ricordiamolo: i cornetti di sfoglia così invitanti, che troviamo in alcuni bar, che ci risolvono il problema di quella piccola fame mattutina, sono delle bombe niente male: il grasso contenuto in questi dolci è di quantità pari alla farina dell’impasto. Occorre almeno cercare questi dolciumi fatti da un artigiano coscienzioso, che utilizzi sempre materie prime di alta qualità e niente aromi artificiali. La strada del mangiar sano passa, questa volta, come spesso succede, per l’esperienza dei nostri nonni: poco dolce, fatto con materie prime semplici (frutta, miele, formaggio fresco), magari senza grassi. E poi via: a mietere io grano, o ad abbattere querce…

 

 Alessandro Marenco

 

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