Il disturbo bipolare

SONO BIPOLARE, VUOI ESSERE MIO AMICO?
Il disturbo bipolare, conosciuto come psicosi maniaco-depressiva o ciclotimia, è configurabile nel quadro clinico delle psicosi

SONO BIPOLARE, VUOI ESSERE MIO AMICO?

Il disturbo bipolare, conosciuto come psicosi maniaco-depressiva o ciclotimia, è configurabile nel quadro clinico delle psicosi

Nessuno vi porrà mai questa domanda. Almeno, non ad alta voce. Con lo sguardo si comunicano tante cose, tante emozioni, tante mute richieste, anche di aiuto. E’ possibile che si incontri lo sguardo di una persona affetta da disturbo bipolare, e che negli occhi di questa persona si legga un grande bisogno di trovare qualcuno con cui condividere un pezzetto di esistenza. Il disturbo bipolare appartiene alle cosiddette sindromi distimiche, ovvero all’insieme delle patologie in cui si evidenzia un alterato tono dell’umore.

Il disturbo bipolare, altrimenti conosciuto come psicosi maniaco-depressiva o ciclotimia, è configurabile nel quadro clinico delle psicosi, ovvero nel macro gruppo di patologie psichiatriche in cui si verifica da parte del soggetto un distacco dalla realtà oggettivabile. Questa patologia psichiatrica è caratterizzata da un’alternarsi di periodi in cui il soggetto cade in uno stato di profonda depressione, e di periodi in cui al contrario il soggetto si trova in fase maniacale. Occorre subito sfatare un pregiudizio, molto diffuso soprattutto per colpa dell’errato utilizzo dei termini “mania” e “maniaco” nel linguaggio comune, secondo cui una mania equivale ad una idea fissa o ad un comportamento ripetitivo, mentre “maniaco” è un personaggio vittima di una mania probabilmente pericoloso. Nulla di più errato. In ambito psichiatrico la cosiddetta “mania” è una condizione psichica di grande euforia, caratterizzata da marcata disinibizione e illimitata fiducia in se stessi, mentre “maniaco” è colui che vive, anche se è più corretto dire che subisce, una fase di stato maniacale. Come tutte le patologie della psiche, anche il disturbo bipolare subisce il pesante ostracismo creato dalla diffidenza e dalla paura che spesso i cosiddetti “soggetti sani” provano di fronte al disagio psichico. Diffidenza e paura a loro volta alimentate da una scarsa conoscenza di queste patologie, che sono tante e che colpiscono tante persone. Informare significa aiutare le persone a superare i preconcetti, a vincere i pregiudizi, a diffondere una cultura della salute vista come un benessere di corpo e psiche. Gli italiani conoscono poco le patologie psichiatriche, e questo comporta una sottovalutazione dei sintomi che le caratterizzano, anche di quelli più evidenti. Ciò si trasforma, in concreto, in un ritardo nella diagnosi e nella cura. Non solo, la scarsa conoscenza, o peggio la misconoscenza, di queste patologie, produce un isolamento sociale di tutti i soggetti ammalati. Un paziente psichiatrico che non riceve le cure adeguate, oppure che viene seguito dal medico di medicina generale e non dallo specialista Psichiatra, è molto più a rischio di scompenso e, quindi, di diventare potenzialmente pericoloso per se stesso e per gli altri. Secondo un sondaggio Eurisko, presentato oggi a Milano in un incontro sul disturbo bipolare, l’85% degli italiani non ha mai sentito parlare di questa condizione. Eppure, quasi la metà della popolazione (45%) crede che avrebbe difficoltà a lavorare con un bipolare, mentre uno su tre (31%) pensa che non riuscirebbe a diventarne amico. Proviamo a riflettere su questi dati che ho estrapolato da un comunicato ANSA del 20 maggio. Proviamo a riflettere sull’evidenza, scomoda e fastidiosa per chi gode di buona salute, che le patologie mentali possono insorgere in qualunque momento della vita. Possono, in sostanza, colpire noi o chi ci è caro. Potremmo vivere sulla nostra pelle le sofferenze ingenerate dai pregiudizi. Ho voluto intitolare questo articolo con una domanda molto diretta, molto cruda, utilizzando volutamente il verbo “volere”, perché è una nostra precisa scelta quella di chiudersi o meno di fronte a chi è diverso da noi o, semplicemente, non è inquadrabile nel nostro personale e relativo concetto di normalità. Inizialmente avevo scelto il titolo “Sono bipolare, puoi essere mio amico?”, poi mi sono detta che no, non è più, a mio avviso, etico demandare ai cosiddetti normali la possibilità di accettare o rifiutare i cosiddetti “diversi”. Non più dopo le tante discriminazioni, non più dopo l’aumento dei suicidi tra coloro che vivono il disagio psichico, non più dopo le tante pagine di Facebook create ad hoc per discriminare. Non è etico, in un Paese che si definisce civile, che una persona ammalata chieda il permesso di esistere, quasi che avesse colpa della propria condizione. La volontà in luogo della possibilità. Perché un mondo migliore in cui vivere, si costruisce in primo luogo volendolo, sul serio, fino in fondo all’anima.

Giovanna Rezzoagli Ganci

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