Il “debito buono” e la transizione ecologica

 

Un contributo alla Giornata della Terra 22 aprile 2021

Il modo migliore

per prevedere il futuro

è crearlo!

RTL 102,5 

 Quella che si autodefinisce “la prima radiovisione” italiana, sia in termini cronologici che di ascolti, ad ogni segnale orario declama questo mantra, che nasconde in sé un potenziale esplosivo di cui forse i pubblicitari che l’hanno creato non sono pienamente consapevoli.

 

Una radio -TV di grande diffusione contribuisce a creare il futuro, forgiandolo nella mente degli ascoltatori che, anche inconsciamente, vi si adegueranno. In questo senso, i media sono i megafoni del potere

Un conto è lasciare al futuro il suo più costante connotato, che è quello dell’imprevedibilità, un altro è adoprarsi per modificarlo così da renderlo più prevedibile. Del resto, l’uomo si affanna da sempre per costruire un futuro migliore, sia a livello personale che collettivo. Il punto di svolta si verifica quando i mezzi a disposizione collettiva sono talmente cresciuti che ci si convince di poter creare il futuro, appunto, a proprio piacimento, dimenticando che il mondo è un sistema intimamente connesso –olistico, direi, da ecologista- e un mondo sempre più artificiale comporta controreazioni sempre meno prevedibili.

Se qualcuno pensa che siano parole al vento, vorrei porlo di fronte ad uno dei massimi problemi che, anno dopo anno, ci affliggono: la crescita demografica a ritmi esponenziali. Eppure, è un problema che abbiamo creato noi, inseguendo l’ideale del benessere per tutta l’umanità, scaricandone gli “effetti collaterali” su quanto umano non è; col risultato di un mondo sovrappopolato che non accenna a invertire la tendenza a moltiplicarsi (ma vedremo più avanti come vari fattori contribuiscano a cambiare uno scenario dato per scontato).

Di fronte ad un problema che, quando non si tratta di umani –vedi la soppressione inclemente di greggi, armenti, pollame quando un’epidemia coinvolge centinaia di allevamenti intensivi- è eminentemente morale, dall’arrivo del Covid ci siamo prodigati per strappargli quanti più umani possibile, anche a costo di diminuire le cure per altre patologie [VEDI], di stremare un’economia e di scaricare sull’ambiente un’ulteriore ondata di rifiuti in un mondo che già ne è soffocato; quasi tutto ciò fosse più moralmente accettabile.

La semplice constatazione che siamo in troppi e con una capacità inquinante pro capite in salita porta a considerare l’umanità sempre più come problema e sempre meno come insieme di persone. Creare il futuro significa allora porre le premesse per modificare la sua prevista problematicità, ossia per far sì che i numeri impietosi che i grafici demografici ci mostrano sulle basi del trend attuale vengano in un modo o nell’altro abbassati. Ci attiviamo quindi per creare un futuro meno fosco: se il problema siamo noi e non forze della natura, che non possiamo contrastare, perché procedere verso, diciamo, il 2100 senza far nulla per forgiarlo secondo i nostri desiderata? Ormai, ci sentiamo onnipotenti e nulla può ostacolarci.

La Cina di Mao, essendo una ferrea dittatura, aveva scelto il drastico metodo di multare le coppie con più di un figlio; ma con gli anni aveva dovuto recedere di fronte ai problemi che una popolazione con un esercito crescente di vecchi e decrescente di giovani deve affrontare sul fronte economico, con i primi che campano sul lavoro dei secondi. È precisamente la stessa situazione in cui si trova l’Italia e in cui si troverà qualunque nazione rinunciasse progressivamente a far figli per il peso economico che rappresentano in un mondo sempre più urbanizzato e industrializzato, dove non servono nuove braccia, anzi sono già di troppo quelle esistenti. Ecco perché la vagheggiata “decrescita felice” è una chimera. 

La decrescita ci sarà, ma sarà piuttosto, o molto, infelice, almeno per la quasi totalità della popolazione. In Italia il processo è stato spontaneo: nessun governo ha mai spinto a fare meno figli, se non in forma indiretta, rendendo la vita un crescente calvario di restrizioni alla libertà personale (ben prima del Covid), pressione fiscale, miriadi di occasioni per multare i cittadini, crescente disuguaglianza sociale, perdita di potere d’acquisto, pletorici e costosi enti pubblici –dai ministeri alle regioni ai tribunali-, e imperante sopra tutti una assillante burocrazia per ogni atto formale. Un contesto simile non invoglia certo a far figli.

 

È legittimo ipotizzare che il clima di paura e incertezza e le crescenti difficoltà di natura materiale generate dai recenti eventi avranno un impatto negativo sulle decisioni di fertilità delle coppie italiane e sulla natalità in Italia   

Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat

 Sarebbe interessante un’indagine sul numero di figli che fanno i dipendenti dello Stato, enti pubblici e grandi aziende, a basso rischio di licenziamento, e confrontarlo con quello dei precari e delle piccole partite Iva. Tanto per capire quando la bassa natalità sia figlia della paura di non avere i mezzi per allevare la propria prole.

I governi di PD e compagnia bella, anziché agire su queste cause di sterilità, di matrice soprattutto economica e liberticida, hanno pensato di sopperirvi con l’ingresso indiscriminato di migranti da ogni dove, con tutte le conseguenze dovute alle estreme diversità culturali, religiose e comportamentali che il repentino afflusso di etnie lontanissime dalla nostra stanno provocando. E qualora la destra proponga di alleggerire il peso di tasse e sanzioni con un benemerito condono, subito cozzano contro gli scudi del rigore, in nome di principi obsoleti, come quello della lotta all’evasione fiscale, causata da una mano pubblica sempre più famelica, rendendola l’unica via di sopravvivenza per i lavoratori autonomi, i professionisti, i commercianti, che rischiano di incappare nelle ronde dei vigili o nelle maglie del fisco. Un’esistenza ansiogena. 

Il futuro è ormai visto come una minaccia ad ogni, pur minimo, traguardo raggiunto da parte della grande maggioranza della gente, che avverte nettamente che la deriva in corso è frutto davvero dei creatori del futuro, ossia del ristretto gruppo di coloro che si sono assicurati, attraverso il dominio della moneta, il titolo pseudo-aristocratico di creditori verso la sterminata platea dei loro debitori. Una parte minoritaria dei creditori voleva seguire la strada indicata nei primi anni ’70 dal Club di Roma, che metteva in guardia, seguendo Malthus, dall’incombente bomba demografica, puntando ad ostacolarla, sia con la minor disponibilità di denaro nelle tasche dei cittadini, specie delle nazioni avanzate, sia con vari accorgimenti per limitare il consumo di risorse e la produzione di rifiuti. La parte maggioritaria, invece, puntava sulla crescita economica, sostenendo che solo con un maggior benessere generale la natalità si sarebbe contratta, a spese però dell’ambiente. 

Secondo The Lancet l’Italia è forse la nazione messa peggio al mondo quanto a calo del tasso di natalità a un misero 1,3, quando per una semplice sostituzione di vecchi con giovani il tasso è 2,1. In sostanza ci stiamo avviando verso l’estinzione, capovolgendo, più rapidamente di altri, le cupe previsioni del Club di Roma

In altre parole, il conflitto era tra fautori della crescita fine a se stessa, ignorandone le conseguenze, da scaricare sulle future generazioni, in stile “dopo di me il diluvio”, e quanti volevano invece creare un futuro d’imperio, con una popolazione drasticamente ridotta secondo metodi cruenti ma inavvertiti. Da quegli anni entrambi i fronti hanno proceduto in parallelo, finché l’erompere della pandemia ha fornito lo spunto per un deciso cambio di passo nella gestione della società, con caratteri più marcatamente totalitari.

Molto istruttiva, in questo contesto, la definizione di “buono” con cui Draghi fa riferimento al debito, ossia al giogo perenne con cui i creditori al vertice assoggettano i popoli. Teniamo presente che il debito primario è quello degli Stati, che stoltamente hanno amputato il proprio, inalienabile, diritto a creare moneta propria, senza debito né interessi. Da questo debito discende gran parte delle tasse che gravano sulle spalle di chi lavora e produce, per foraggiare, alla fine della filiera, i succitati creditori primari. Viste attraverso le lenti “del Club di Roma” e suoi adepti, le tasse e tutti i balzelli che Stato ed enti pubblici accollano alla gente, sono “bellissimi”, come diceva Padoa Schioppa, in quanto limitano la capacità di spesa delle masse, e quindi riducono la velocità del degrado ambientale. La contraddizione di Draghi esce dalle sue labbra subito dopo l’accenno al debito buono, quando aggiunge che lo si potrà ripagare con la crescita. Quello della crescita è un mantra che sentiamo in TV e leggiamo sulla stampa da decenni. Affidare il pagamento del debito al mito della crescita cozza contro, non più i famigerati parametri di Maastricht, ma contro i propositi del Trattato di Parigi, rinvigorito in questi giorni dalla sterzata di Biden, dopo il boicottaggio di Trump. La transizione ecologica, affidata al nuovo Ministero, creato ad hoc, è costosa; ed è per ciò stesso incerto se farà crescere il Pil grazie alla lievitazione dei prezzi, o lo deprimerà per lo squilibrio rispetto alla capacità di spesa della gente.

Mario Draghi e il “debito buono”. Sotto la veste mutata permane l’animo del banchiere, il cui unico business si nutre del debito altrui. Draghi dice che si ripagherà con la crescita, in quanto il debito pubblico si esprime in una frazione del debito stesso rispetto al Pil. Quindi, se a denominatore il Pil cresce, il debito relativo diminuisce. Ma la crescita del Pil è contraria agli obiettivi della transizione ecologica, confermata oggi, 22 aprile, Giornata Mondiale della Terra, in un summit USA-UE e tutti i capi degli Stati maggiori e più inquinanti, Cina in testa

Di sicuro, il degrado civile, ambientale, culturale si profila sempre più nettamente all’orizzonte. A dissipare un po’ le nebbie che tuttora persistono, diciamo da qui alla fine del secolo, ci ha provato lo studio della più autorevole rivista di medicina, The Lancet, illustrato lo scorso agosto, mentre l’Italia stava godendosi un’estate apparentemente sgombra dallo spettro del Covid, in una trasmissione TV di Piero Angela [VEDI e VEDI], che ribaltava tutti i precedenti scenari di esplosione demografica, prevedendo anzi, dopo il suo big bang a partire dalla rivoluzione industriale, un inevitabile big crunch.

L’Italia viene prevista con una popolazione dimezzata, sui 30 milioni di abitanti, mentre la Nigeria procederà lungo l’attuale percorso di folle moltiplicazione demografica, raggiungendo addirittura una Cina in decrescita, intorno agli 800 milioni. Confrontando Nigeria e Italia intorno al 2100, si capisce l’attuale politica delle sinistre di far riversare, tra gli altri, parte dell’esubero nigeriano sulle nostre coste, per contrastare il nostro calo di nascite, come due vasi comunicanti. Ecco come certe previsioni sul futuro lo influenzano, puntando al consenso popolare verso scelte altrimenti avversate. È appena successo col Covid, e si sta cercando di fare altrettanto con l’ingresso agevolato di clandestini sul nostro suolo, premendo l’acceleratore sullo ius soli, tanto caro al neosegretario Dem, Enrico Letta. Con buona pace del Trattato di Parigi. 

Questo grafico dell’ONU, che anticipa una crescita di qui al 2100 di un ulteriore 42%, non collima con le previsioni di The Lancet, di tagli demografici molto più drastici

Il mondo si trova quindi ad un bivio tra decrescita infelice, con crollo temporaneo dell’economia e salvezza della Terra da una parte; e, dall’altra, distruzione dell’ambiente ed effimera salvezza degli attuali numeri demografici ed economici. 

Ai vertici dei poteri mondiali mi pare corrispondano due fazioni, una miope e progressista, l’altra più lungimirante e crudamente realista. Anche se è difficile definire, dietro le dichiarazioni di facciata, l’appartenenza all’una o all’altra dei vari componenti dell’élite mondiale. Per esempio, Bill Gates, di che schieramento fa parte?

 Marco Giacinto Pellifroni         25 aprile 2021 

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