Il combustibile Idrogeno

Quando ci vorrà 1 kg di petrolio per estrarre 1 kg di petrolio cesserà ogni convenienza di estrarlo.
Nel caso dell’idrogeno siamo già al di sotto della convenienza
L’IDROGENO COMBUSTIBILE DEL FUTURO?

Quando ci vorrà 1 kg di petrolio per estrarre 1 kg di petrolio cesserà ogni convenienza di estrarlo.
Nel caso dell’idrogeno siamo già al di sotto della convenienza

L’IDROGENO COMBUSTIBILE DEL FUTURO?

L’ultimo… articolo di Aldo Pastore …esordisce così:“L’idrogeno sarà la fonte energetica più importante e più sicura che l’intera umanità  avrà a disposizione per il prossimo avvenire”.

Poiché questa perentoria affermazione, nonostante venga poi ridimensionata nel corso dell’articolo stesso, potrebbe ingenerare false aspettative, vorrei qui fare alcune considerazioni in merito. Cominciamo con alcune riflessioni sull’energia elettrica. Si tratta della forma più ordinata, e quindi pregiata, di energia, in quanto si presta ad essere trasformata e impiegata per ogni uso, dal più vile, quale il riscaldamento (l’uso più improprio), al più nobile: quello informatico, dal cellulare al computer.

Ha un solo difetto: quello di essere istantanea; per cui, va utilizzata subito, man mano che si produce (si pensi alla semplice dinamo di una bicicletta). Se a ciò aggiungiamo che le centrali termoelettriche non sono modulabili e che le utenze sono nell’ordine dei milioni, ne consegue che il principale problema da risolvere a valle di queste centrali a getto continuo di elettricità è il suo immagazzinamento. Si ricorre così agli impianti idroelettrici, impiegando l’elettricità eccedente nelle ore notturne e festive per pompare acqua dal bacino a valle in quello a monte, da cui farla ridiscendere verso le turbine nelle ore di punta. Il processo comporta una robusta perdita di carico durante il trasporto, sia elettrico che idrico, per cui circa il 30% dell’energia iniziale va dissipata.  

Analogo problema vale per le fonti rinnovabili oggi più accreditate: eolico e solare. Entrambi dipendono dai capricci atmosferici e necessitano pertanto di accumulatori in loco o di collegamento alla rete nazionale: una soluzione, quest’ultima, sempre più incentivata anche per le utenze domestiche, grazie al pagamento del kwh in ragione di circa 4 volte il suo prezzo di mercato: un prezzo drogato!

L’energia elettrica consiste in un flusso di elettroni, che si muovono alla velocità della luce; e, come un raggio di luce, sono in costante movimento, sono “l’attimo fuggente”. O la utilizzi all’istante o devi trasformarla in un’altra forma di energia, accumulabile e poi disponibile a piacere. Ma questa sua indole “migrante” la rende anche un ottimo convogliatore di energia, indispensabile per trasferire a largo raggio l’energia prodotta in centrali ubicate secondo diversi criteri di convenienza (salti idrici alpini, prossimità di grandi corsi d’acqua o coste per il raffreddamento).

In questo contesto si inserisce l’idrogeno; ma non come “fonte”, bensì come “deposito” di questa energia fuggente. Perché non è una fonte? Perché l’energia impiegata per ottenerlo è superiore a quella che la sua combustione produrrà.

Questo problema si pone ogniqualvolta l’uomo scopre una nuova fonte energetica, dal carbone al petrolio al gas naturale. Le prime estrazioni sono le più facili, quelle che consumano una quantità minima di energia. Poi, bisogna frugare la Terra alla scoperta di giacimenti via via più difficili e quindi richiedenti quantità di energia parimenti maggiori.

Esempio: mentre il rapporto tra energia prodotta ed energia spesa (energy return on energy investment: EROEI ) era per i giacimenti texani dei primi del ‘900 di 100/1 (in pratica, bastava fare un buco nel terreno e zaff! sgorgava il greggio), in seguito non ha fatto che abbassarsi, richiedendo tecnologie e attrezzature di perforazione ed estrazione sempre più sofisticate. Oggi si parla di nuovi giacimenti di petrolio destinati a soddisfare la domanda mondiale per secoli: dapprima gli oli pesanti, ricchi di zolfo, poi le sabbie catramose e gli scisti bituminosi, i cui stessi nomi già rivelano non trattarsi di petrolio, bensì di materie prime grezze, tanto povere di petrolio quanto ricche di inquinanti. Ebbene, per queste sostanze il suddetto rapporto è sceso all’infima cifra di 3/1 e addirittura 2/1: un ben misero combustibile, se si pensa anche agli enormi problemi ambientali dovuti alla sua composizione ricca di inquinanti di ardua “neutralizzazione”. Il che, alla fine, significa: o si chiude un occhio sul loro impatto ambientale o sono anti-economici (e lo sono comunque, se vale l’equazione economia = ecologia). E poiché l’attuale modello di vita tende più a sfamare che a placare l’appetito di energia, di occhi se ne chiuderanno anche due, come l’improvvisa sterzata energetica di Obama sta a testimoniare. Oggi le compagnie petrolifere di mezzo mondo stanno lasciando una terraferma ormai munta per veleggiare in mare aperto. La foto della enorme nave perforatrice mostrata nel mio ultimo articolo è un perfetto simbolo di ciò che ci aspetta: trivellazioni offshore e per chilometri sotto il fondo marino, alla ricerca spasmodica di nuovi giacimenti e con rapporti di rendimento sempre più bassi: tradotto in soldoni, benzina e gas sempre più cari. Taccio qui sul nucleare, che mi riprometto di trattare prossimamente.


La centrale Enel di Fusina 

 E torniamo all’idrogeno. Avevo anch’io letto a suo tempo il libro di Jeremy Rifkin “Economia all’idrogeno” di cui parla Pastore. (1) Assodato che si tratta di un semplice deposito di energia, proveniente da altre fonti, ed escludendo quelle non rinnovabili, pena l’azzeramento di ogni convenienza economica ed ambientale, le speranze sono riposte, secondo Mario Magliaro del CNR, citato da Pastore, in specchi (eliostati) che provocano reazioni catalitiche di dissociazione dell’acqua in idrogeno e ossigeno, e in pannelli fotovoltaici la cui elettricità viene usata sempre per dissociare l’acqua nei suoi due componenti.

Come si vede, l’idrogeno è un vettore, e non già una fonte di energia, come invece è ad es. la benzina. In comune hanno la possibilità di lasciarsi immagazzinare nel serbatoio di un’auto (con ben maggiori complicazioni per l’idrogeno, data la sua facile infiammabilità ed esplosività); ma mentre la benzina ha un rapporto EROEI variabile ma comunque superiore ad 1, nel caso dell’idrogeno si scende sotto l’unità, perché l’energia richiesta per la scissione dell’acqua in H2 ed O2 è sempre ben maggiore di quella che si ricava dalla successiva sintesi dei due elementi in acqua.

 

Qualcuno potrà obiettare che, trattandosi di energie rinnovabili, ossia “eterne”, come la radiazione solare diretta e un suo effetto, l’energia del vento, poco importa quanta se ne consuma. Si dimentica però che qualunque impianto di produzione, senza eccezione per quelli energetici, ha costi di fabbricazione, manutenzione e dismissione a fine vita. E anche in questo caso vale il rapporto EROEI sopra accennato. Il grande fisico di origine rumena Georgescu-Roegen, nei suoi libri anticipatori, (2) metteva in guardia dal mito dell’energia facile ad abbondante, invitando a tener conto dell’entropia della materia (oltrechè dell’energia, come ancor oggi ci si limita a fare), sottolineando come essa tenda al massimo disordine sino ad arrivare alla sua totale dispersione (“nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si conserva” recita il 1° Principio della Termodinamica; cui però il 2° Principio aggiunge “tutto si disperde”) . E lo stesso Rifkin, vent’anni prima del libro citato, scriveva il suo “Entropia”. (3)

Tradotto in termini più visibili, si pensi alle crescenti montagne di rifiuti che assillano ogni comunità urbana e ogni complesso industriale: rifiuti che altro non sono che la forma visibile dell’entropia materiale in crescita esponenziale a livello planetario. Quand’anche si riuscisse, per assurdo, ad ottenere energia in quantità illimitata, ciò spingerebbe ad un crescente utilizzo –e spreco- di materiali, che alla fine scadrebbero a rifiuti, non più utilizzabili se non a costi energetici superiori ai vantaggi ricavabili dai prodotti ricuperati: (4) i rifiuti sono l’equivalente materiale del global warming, che altro non è se non il rifiuto energetico. Un po’ come la legge implacabile vigente in campo petrolifero: la convenienza ad estrarre greggio dal sottosuolo ha come suo limite il punto in cui la quantità di energia spesa per estrarlo e lavorarlo pareggia l’energia contenuta nel prodotto finale. Detto in maniera facile facile: quando ci vorrà 1 kg di petrolio per estrarre 1 kg di petrolio cesserà ogni convenienza di estrarlo. Nel caso dell’idrogeno siamo già al di sotto della convenienza, per cui il suo interesse risiede soltanto nella sua natura di deposito e vettore di energia, in quanto si deve sprecare più energia per produrlo di quanta esso ne conservi e trasporti con sé.

Spero di avere chiarito la natura dei problemi connessi all’idrogeno come presunta “fonte” di energia, indicandone la mera natura di deposito e vettore. Non si cada dunque nella fata morgana di un’acqua carbone dell’avvenire, sulle orme di Julius Verne; e non solo per i suoi limiti quantitativi futuri come acqua dolce. Seguendo quest’aire, si potrebbe del pari sostenere che l’acqua è illimitata: basta guardare un oceano! Ma, nuovamente, sono i costi energetici e materiali della sua separazione dal sale marino che fanno la differenza tra acqua dolce limitata e acqua salata illimitata.

 (1)   Jeremy Rifkin, Economia all’idrogeno, Saggi Mondatori, 2002.

(2)   Nicolas Georgescu-Roegen, The entropy Law and the Economic Process, Harvard University Press, 1971; Energia e miti economici, Bollati Boringhieri, 1982.

(3)   Jeremy Rifkin, Entropia, Arnoldo Mondadori, 1982.

(4)   Cfr. Marco G. Pellifroni, Il buon governo dell’energia, su Ecologia, n° 4, Marzo-Aprile 1972. 

Marco Giacinto Pellifroni                11 aprile 2010

      

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