IL CAOS E IL LIBERO ARBITRIO

IL CAOS E IL LIBERO ARBITRIO
(Quarta parte del commento a “Il principio passione”
 di Vito Mancuso)

IL CAOS E IL LIBERO ARBITRIO

 (Quarta parte del commento a “Il principio passione” di Vito Mancuso)

 Prima parte     Seconda parte    Terza parte

      E’ abbastanza intuitivo comprendere che la differenza tra logos (ordine, progetto, legge) e caos (disordine, casualità,  indeterminazione) non riguarda soltanto la teoria e la conoscenza (l’episteme) ma ha una sua ricaduta nel modo di vivere e di conferire (o non conferire)   un senso al nostro provvisorio abitare su questo pianeta. Dopo aver esaminato da varie angolature il principio-logos,  la cui  aporia più grave consiste nell’ impossibilità di rendere conto della presenza del male e della sofferenza in un cosmo progettato da una “ratio” incommensurabile  per la beatitudine finale di tutte le creature, Mancuso passa alla disamina del principio-caos, ovvero della concezione di chi, come il Democrito che l’Alighieri ammira, tra gli altri “spiriti magni” che dimorano  nel nobile castello situato nel Limbo, “il mondo a caso pone”. La teologia tradizionale, fatta propria dal Catechismo della Chiesa cattolica, indica la causa prima del male, della sofferenza e della corruzione nel peccato commesso da Adamo e da Eva, e prima ancora dal primo e più bello degli angeli, che, da portatore di luce (Lucifero) è divenuto, ribellandosi al suo creatore, seminatore di discordie (diavolo). E questa è la risposta alla prima domanda sull’origine del male. 


 

Quella teologia, inoltre,  solleva Dio da ogni responsabilità, affermando, con sant’Agostino, che Egli “non permetterebbe mai che un qualsiasi male esistesse nelle sue opere, se non fosse sufficientemente potente e buono da trarre dal male stesso il bene”. In questo modo tutta la responsabilità ricade sull’insipienza e sulla cattiva volontà del peccatore uomo, e del peccatore angelo, mentre viene salvata la sapienza, la bontà  e la razionalità  del principio-logos, cioè del Dio onnipotente, creatore del cielo e della terra (risposta alla seconda domanda sulla responsabilità di Dio riguardo al male). Questa soluzione non convince per niente Mancuso, che vi scorge “l’aporia del principio-logos e della prospettiva teologica tradizionale   che lo fa proprio, cioè l’incapacità di riconoscere l’originarietà del caos”.  L’originarietà del caos è funzionale alla libertà dell’uomo e all’evoluzione della vita universale verso il bene, che è Dio stesso: “Il caos  infatti – scrive Mancuso – è un elemento strutturale del processo naturale ed è un errore ricondurlo totalmente al peccato, perché è piuttosto il peccato a dover essere spiegato in base al caos (limite della prima risposta): il caos inoltre impone di essere colto all’opera nel disordine che attraversa la natura senza capziosi razionalismi che intendono logicizzare tutti gli eventi (limite della seconda risposta)”. Quindi non è un male che non tutto sia spiegabile e razionalizzabile, ed è tanto poco un male che “già la prima pagina della Bibbia che, oltre a poter essere interpretata alla luce del principio-logos come da tradizione, contiene anche un inequivocabile rimando alla realtà  indefinita e inquietante del caos. Si legge infatti in Gn 1, 2, tradotto alla lettera: ‘La terra era deserta, vuoto, tenebra sopra l’abisso, e una violenta tempesta spazzava la superficie delle acque’. I termini ‘deserto’, ‘vuoto’, ‘tenebra’, ‘abisso’ introducono fin da subito l’oscuro elemento del caos”. 


Secondo il primo racconto della creazione, infatti,  in principio Dio non creò la luce ma un cielo e una terra ancora avvolti nelle tenebre: prima che la luce fosse “le tenebre ricoprivano l’abisso”, cioè il caos. A conferma di questa interpretazione, Mancuso cita il biblista Claus Westermann. “L’espressione ebraica ‘tohu wabohu’ indica il deserto spoglio, simile al caos greco; a esso appartengono le tenebre come cosa inquietante, come lo è l’eclissi di sole per gli animali, e una ‘violenta tempesta’, come si trova in molti antichi miti della creazione del mondo, rafforza l’impressione di caos”. Inevitabile il riferimento a Esiodo che, nel suo poema sulla genealogia degli dei, pone il caos (sostantivo di genere neutro derivato dal verbo “chaino”, a sua volta derivato da “chasco”, che significa “mi apro, sto aperto”) all’origine: “Dunque per primo fu il Chaos, e poi Gaia dall’ampio petto…”. Anche nella mitologia greca, come in quella babilonese, annota Mancuso: “L’origine del mondo non è la chiarezza razionale della mente divina, ma un abisso oscuro, una sorta di burrone primordiale da cui emergono e a cui ritornano tutte le cose”. Il principio-caos, nondimeno, pur essendo il contrario del principio-logos, è un principio  innocente, nel senso che non dipendono da lui i mali morali che affliggono l’umanità, perché sarebbe come imputare alla natura gli errori e le scelte sbagliate degli esseri umani, i quali possono sbagliare in quanto dotati di libero arbitrio, mentre “lo naturale è sempre sanza errore”.


 

A meno che non si voglia separare il mondo (dominato dal maligno) da Dio, come avviene nell’eresia gnostica, – contro la quale ha scritto il vescovo di Lione Ireneo – il cui errore di base è la contrapposizione Dio-mondo. Da questo dualismo nasce il principio della colpa-catastrofe: “L’esigenza di separare il vero Dio, padre delle anime, dal governo della natura e della storia nasce dall’esperienza della completa desolazioneofferta dal teatro del mondo. Se è veramente Padre, ragionano gli gnostici, Dio non può essere la causa della solitudine dell’anima in questo mondo di rapina e di ingiustizia, non può essere il responsabile di un mondo così intriso di dolore, e quindi non può essere all’origine della sua genesi, la quale di conseguenza va ascritta a qualcun altro”. A chi? Nella visione gnostica il mondo è una tragressione rispetto alla purezza e alla santità di Dio, e quindi la sua origine andrà cercata al di fuori e lontano dalla sfera del divino inteso come logos e come agape: “Basilide per esempio, un pensatore gnostico operante ad Alessandria d’Egitto tra il 120 e il 145, per risolvere il problema di come conciliare Dio sommo bene con un mondo devastato dal male poneva ben 365 cieli tra il vero Dio e il mondo, attribuendo la creazione e il governo di quest’ultimo agli angeli che presiedono il 365° cielo, il capo dei quali era individuato in colui che la Bibbia ebraica  denomina ‘Signore degli eserciti’, infinitamente distante dalla purezza assoluta del Padre supremo”. Qui il criterio seguito è l’esatto contrario di quello che raccomanderà  il teologo francescano Guglielmo di Ockham: non sono da postulare entità non necessarie e non suffragate  dall’esperienza. Anche per lo gnostico Tolomeo, allievo del vescovo Valentino di Alessandria, vale l’esigenza di salvaguardare Dio da qualuque contaminazione con la materia impura di cui è fatto il mondo, “un’esigenza che conduce alla moltiplicazione degli Eoni (da ‘aiònes’, cioè epoche) che nel sistema di Tolomeo da otto diventano trenta.


Guglielmo di Ockham

 

E proprio all’ultimo di essi, il più recente e di genere femminile, Sophia, si deve l’origine del mondo”. Ma questa Sophia si comporta più come la sventata Pandora che come la saggia Athena, e “venne presa dall’insipiente passione di voler comprendere il Padre-Abisso –  riferisce Ireneo – ‘apparentemente per amore, ma effettivamente per temerarietà’, impresa disperata anche per un’entità divina e che portò Sophia ad estenuarsi. Lo sforzo però ebbe un effetto collaterale, perché Sophia finì per generare, a causa dello struggimento per il Padre eterno e senza alcun padre fisico, ‘una sostanza amorfa, una natura quale poteva partorire in quanto femmina’ “. Un Padre eterno tutt’altro che amorevole e provvidente, se ha permesso che dal ventre della povera Sophia uscisse una materia talmente ripugnante che “al contemplarla, essa prima si addolorò per l’imperfezione di ciò che era nato, poi fu presa da timore che anche lei avesse la stessa fine; infine fu presa da stupore e incertezza…”. Per Tolomeo, dunque, la materia del mondo è frutto della ybris della dea  Sophia, che ha preteso di scrutare l’imperscrutabile: il mistero del Padre-Abisso; da questo peccato d’origine deriva tutto il male  presente nel mondo. “L’esperienza fondamentale dell’anima gnostica – osserva Mancuso – è il disordine e ancor più la malvagità del mondo: l’intelligenza  vede il mondo, lo viviseziona con la sua luce, e senza alcuna illusione ne dichiara l’inconsistenza razionale, l’intrinseca distanza dal bene, la differenza rispetto al logos”. Anche nell’ Antico Testamento  risuona – come abbiamo ricordato sopra – questo “leit motiv” del male presente nel mondo  e del peccato di superbia e di disobbedienza nei confronti del Creatore, tanto da ridurre questo mondo all’insignificanza o a una specie di anticipazione dell’inferno, come in questo passo del Qohelet: “Ho proclamato felici i morti, ormai trapassati, più dei viventi che sono ancora in vita; ma più felice degli uni e degli altri chi ancora non esiste, e non ha visto le azioni malvagie che si compiono sotto il sole”.


Tolomeo

 

Nel Nuovo Testamento la separazione tra Dio e mondo è ancora più marcata e apparentemente inconciliabile (nemmeno il sacrificio del Figlio unigenito di Dio ha potuto ricongiungere il mondo creato con il suo Creatore) dal momento che “da un lato si priva l’essenza divina di ogni traccia di violenza concependola come amore purissimo (agape), e dall’altro si coglie il mondo in opposizione diretta rispetto a Dio per averne crocifisso il Figlio, così che diviene inevitabile riconoscere che ‘questo mondo’, cioè il mondo reale della storia reale, è guidato non da Dio ma dal suo diretto avversario…”, cioè dal diavolo, detto anche, non per niente, “principe di questo mondo”. Tuttavia, così come è scritto nella Genesi, anche per il Nuovo Testamento il mondo, creato da Dio è (o almeno era in origine) buono; già, ma allora, di nuovo, come si giustifica la presenza del male in questo mondo? Come conciliare l’originaria bontà del mondo con il suo attuale stato in cui sembra dominare incontrastato il principe delle tenebre? “Si impone qui la necessità di trovare un nesso tra l’origine buona del mondo e la sua realtà attuale per nulla buona. Tale nesso viene elaborato dal cristianesimo ortodosso mediante un processo che parte da Paolo e trova il suo culmine quattro secoli dopo in Agostino, e il cui nome è ‘peccato originale’ “. Grazie a questa invenzione (tale è per Mancuso il dogma del peccato originale) il cristianesimo salva la compatibilità tra il principio-logos e il principio-caos, ma la salva caricando “sulle spalle degli uomini la responsabilità per il disordine e il male del mondo, inaugurando una teologia amartiocentrica (‘hamartia’ in greco significa colpa e peccato) e un’antropologia corrispondente che hanno attraversato la storia occidentale  producendovi infiniti sensi di colpa”. Non ha mai convinto del tutto, inoltre, la spiegazione tradizionale secondo la quale se tutti fossimo obbligati ad essere  buoni verrebbe meno il dono preziose del libero arbitrio, quindi non ci sarebbe nessun merito ad esserlo! Se il prezzo da pagare per un mondo senza male fosse la mancanza di libertà, verrebbe da dire: tanto peggio per la libertà (ma queste sono mie considerazioni personali).


Anassimandro di Mileto

 

Il principio della colpa e dalla catastrofe come causa originaria della sofferenza e della pena di vivere lo si trova anche in un famoso frammento di Anassimandro di Mileto: “Principio degli esseri è l’infinito…da dove infatti gli esseri hanno l’origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l’uno all’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo”. Secondo questo detto tutti i viventi sono colpeveli per il solo fatto di essere nati. Al polo opposto della visione gnostica si collocano i miti cosmogonici  del principio-vita, ovvero della vitalità, il cui concetto decisivo, precisa Mancuso: “è la parentela diretta che intercorre tra l’essere divino e l’essere del mondo, un legame paragonabile a quello fisico di un genitore rispetto a un figlio. In questi miti, infatti, ogni elemento del mondo naturale viene ritenuto una diretta emanazione dell’essere divino. Dio è il padre del mondo e della vita che vi brulica anzitutto in senso fisico, per meglio dire biologico, in quanto tutto discende dal suo seme. Esattemente all’opposto rispetto alla distanza assoluta tra Dio e il mondo posta dallo gnosticismo, qui viene istituito un collegamento strettissimo sotto forma di relazione organica tra il Dio supremo e ogni minimo ente del mondo. Il che conduce a considerare il mondo come composto  da materia divina e divino esso stesso”. Sul piano filosofico è la visione monistica della realtà opposta a quella dualistica, sul piano teologico è il panteismo opposto al teismo. In conclusione, tuttavia, nessuno dei quattro principi esaminati fin qui è in grado, secondo Mancuso, di interpretare esaustivamente l’insieme dell’esistenza e la relazione tra la Realtà primaria (Dio) con la realtà secondaria (mondo), ragione per cui è “necessario porre una quinta categoria” un quinto principio, cioè il pathos, la passione, l’unico in grado di svelare “la logica mediante cui la vita sorge e si evolve”.


Vito Mancuso

 

Solo il principio-passione, ove per “passione” si intende il processo, o evento storico, di incarnazione-passione- morte-risurrezione di Gesù Cristo, è in grado di rivelare “la logica che accompagna da sempre e accompagnerà per sempre il rapporto tra ‘il principio di tutte le cose’ e tutte le cose, tra il ‘principium universitatis’ e l’effettiva ‘universitas rerum”, tra la Realtà primaria e la realtà secondaria che da essa scaturisce”. Quella rivelata dal principio passione non è una logica basata sul principio di non contraddizione, ma è una logica dialettica, cioè che non esclude, ma anzi include il negativo, la contraddizione, il dolore e la morte; è una logica drammatica ma non tragica, in quanto “complessivamente orientata alla generazione di vita nuova (risurrezione)”. Ecco quindi spiegato il senso della formula Logos+Caos=Pathos: né il Logos né il Caos avrebbero senso senza il Pathos, così come non avrebbe senso la vita di ciascuno…

FULVIO SGUERSO

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