I veri e i falsi Modigliani

I VERI E I FALSI MODIGLIANI

I VERI E I FALSI MODIGLIANI

 Modì – come lo chiamavano in quel milieu artistico e mondano parigino d’inizio secolo XX  i critici, i giornalisti e i  conoscenti che intendevano così rimarcare la fama di artista maledetto (maudit) che gli era  stata cucita addosso –  o Dedo – come lo chiamavano i famigliari e gli amici intimi – è tornato di nuovo agli onori delle cronache non per i suoi sempre più e meglio riconosciuti e apprezzati meriti artistici ma per alcune sue opere in odore di falsità esposte nella mostra in corso al Palazzo Ducale di Genova, e che, salvo imprevisti, durerà fino al 16 luglio del corrente anno.

 
La mostra, inaugurata il 16 marzo, “si propone – secondo i curatori – di illustrare il percorso creativo di Amedeo Modigliani affrontando le principali componenti della sua carriera breve e feconda. Attraverso una trentina di dipinti provenienti da importanti musei come quello dell’Orangerie e il Musée National Picasso di Parigi. Il Museo di Belle Arti di Anversa, il Fitzwilliam Museum di Cambridge, la Pinacoteca di Brera e da prestigiose collezioni europee e americane, oltre ad altrettanti disegni, si intende mettere in risalto il grande valore della sua ricerca in quel clima assolutamente unico creatosi nella Parigi d’inizio Novecento”. Tutto procedeva nel migliore dei modi, l’afflusso dei visitatori entusiasti era costante, intere scolaresche erano condotte dai loro insegnanti ad ammirare l’arte dello scandaloso artista livornese il cui strepitoso successo cominciò subito dopo la sua morte prematura avvenuta all’alba del 24 gennaio 1920, all’Hopital de la Charité di Parigi, fino al giorno di maggio  in cui il collezionista e intenditore d’arte contemporanea toscano Carlo Pepi, sfogliando il catalogo della mostra edito da Skira, individua ben tredici opere che, a suo parere, sarebbero dei falsi.

Dunque, secondo il collezionista, fondatore dell’Istituto Casa Natale di Modigliani a Livorno, che già nel 1984 aveva smascherato la beffa ordita da due studenti ai danni dei presunti esperti d’arte e messo in guardia l’opinione pubblica sull’autenticità delle sculture ritrovate nei Fossi Medicei livornesi (dove, secondo una leggenda metropolitana, Modigliani, esasperato per le critiche degli amici, le avrebbe gettate), almeno tredici opere esposte al Ducale sarebbero di dubbia attribuzione. La tesi di Carlo Pepi è stata avallata dal critico e curatore di mostre francese Marc Restellini, che ha dichiarato: “Questa mostra è dubbia e ho dovuto segnalare  questa situazione alle autorità italiane non appena ho visto il contenuto. L’Istituto (Restellini) conosce queste opere, si tratta di falsi noti per almeno un terzo dei dipinti esposti”. L’accusa è grave e non poteva certo rimanere senza conseguenze; difatti se ne sta occupando la procura di Genova. Il reato ipotizzato è la violazione del codice dei beni culturali e paesaggistici.  A indagare saranno i carabinieri del nucleo operativo a tutela del patrimonio culturale di Roma in quanto destinatari dell’esposto presentato da Pepi. Dal canto loro, gli organizzatori della mostra: Luca Borzani, presidente della Fondazione Palazzo Ducale per la Cultura e Rudy Chiappini, che l’ha allestita, convinti della infondatezza di simile accusa, sono ricorsi alle vie legali a tutela del loro operato.

Il critico e storico dell’arte Rudy Chiappini, che è stato per vent’anni direttore del Museo d’Arte Moderna di Lugano, si difende prendendo come esempi due delle opere esposte e giudicate dal Pepi prima false e poi dubbie: il grande nudo  (Nudo disteso, 1918) , già esposto in grandi mostre a Tokyo, a Roma, a Bonn…, e il ritratto di Chaim Soutine, del 1917, già esposto a Losanna nel 1994, a Parigi, nel 2003 e a Pisa nel 2014-2015 senza che nessuno, nemmeno Pepi, avesse avuto niente da obiettare. Ora le indagini sono in corso e, alla fine, vedremo, si vuol sperare, chi ha scambiato i veri con i falsi Modigliani (o viceversa)! Occupatevi in modo concreto della unicità e sacralità dell’opera ed assieme facciamo barriera tanto più che Carlo Pepi, dalla sua pagina Facebook, ha lanciato un accorato “Appello agli storici dell’arte” che merita di essere trascritto e diffuso: “Lasciate da parte per un momento le vostre teorie e andate a vedere la mostra di Modigliani a Genova. Voglio sperare che alcuni di voi abbiano ‘occhio’ per rendersi conto della serie di porcherie che sono state esposte e prendiate finalmente almeno una volta nella vita posizione dando il vostro contributo concreto a porre fine all’indecente, impunito proliferare di falsi! Occupatevi in modo concreto della unicità e sacralità dell’opera d’arte ed assieme facciamo barriera al fine di far cessare l’invalso, impunito malcostume di mettere in circolazione miriadi di falsi! Voglio sperare che qualcuno di voi abbia le capacità, l’amor proprio e il coraggio di prendere posizione”.

 
Ovviamente contro Palazzo Ducale e MondoMostre Skira e a favore del collezionista toscano Carlo Pepi. Ma al di là di queste ricorrenti polemiche sulle attribuzioni e falsificazioni di opere d’arte, che cosa si può dire della mostra di Modigliani al Ducale? Per quel che mi riguarda non posso che dirne bene: si entra veramente nella vita artistica del grande livornese, cominciando da quel Paesaggio toscano del 1899, ancora intriso di tonalità atmosferiche e macchiaiole che ci riporta alla malinconica nostalgia di un Ottocento preindustriale e alla poesia che emana da una strada di campagna deserta che si perde verso i monti lontani che sfumano in un cielo chiaro e nuvoloso per finire con quel bellissimo e tristissimo Ritratto di Maria, del 1918. E’ il ritratto di una bambina seduta in un interno (forse l’atelier del pittore), la sua immagine è come incorniciata nell’intelaiatura di una porta, di lei si vede solo il busto sottile vestito in un abitino scuro appena aperto sul petto chiaro. Una sciarpa verde scuro le copre il collo e fa risaltare il colorito tenue del volto ovale in cui si aprono le due profondissime macchie degli occhi. In pochi tratti Modigliani è riuscito a cogliere l’anima triste di quella bambina povera nella Parigi appena uscita dalle devastazioni della prima guerra mondiale. In questo, come in altri ritratti, il pittore dei grandi nudi giudicati scandalosi dai perbenisti di quel tempo, raggiunge una tale purezza e ed una tale essenzialità stilistica che il mezzo (la pittura) diviene tutt’uno con l’idea dell’artista e con l’anima della persona  che egli ritrae.
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