I disturbi del comportamento alimentare (DCA)

I disturbi del comportamento alimentare (DCA), di chi l’ha vissuto, ha sconfitto l’anoressia ed ha dato la sua dura e cruda testimonianza: Michela Olivieri

I disturbi del comportamento alimentare (DCA),
di chi l’ha vissuto, ha sconfitto l’anoressia
ed ha dato la sua dura e cruda testimonianza: Michela Olivieri

 

 

La più recente classificazione dei disturbi del comportamento alimentare (DCA) è riportata all’interno del DSM 5, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali.

Tale classificazione comprende l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il disturbo da Alimentazione incontrollata o Binge Eating.

Parlando in termini tecnici, allo scopo di sfatare le rassicuranti credenze popolari, l’anoressia nervosa si descrive come caratterizzata da una restrizione dell’assunzione di calorie in relazione alle necessità di ciascun individuo, insieme ad un’intensa paura di aumentare di peso ed alla messa in atto di comportamenti che interferiscono con l’aumento di peso.

Essendo il corpo, come per tutti i dca, uno dei bersagli prediletti, l’anoressia può comportare alterazioni nel modo in cui l’individuo vive il peso e la forma corporea, elementi che sembrerebbero influenzare massivamente il livello di autostima. 

Differente è invece la bulimia nervosa, la quale si caratterizza per la presenza di ricorrenti episodi di abbuffata, durante i quali,  l’individuo ingerisce una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte degli individui mangerebbe nello stesso lasso di tempo; tali episodi sono associati, oltreché ad una sensazione di perdita di controllo,  a ricorrenti condotte compensatorie quali, ad esempio,  vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici o, ancora, all’esercizio fisico compulsivo.

 Infine, con disturbo da alimentazione incontrollata si intende la presenza di ricorrenti episodi di abbuffata, accompagnati dalla sensazione di perdita di controllo, in assenza della messa in atto sistematica di condotte compensatorie.


 La psicologa ed ex vittima d’anoressia Michela Olivieri, inizia a raccontare la sua preziosa e dura testimonianza:

 “Parlare dei disturbi del comportamento alimentare richiede, a mio parere, la messa in gioco di 3 abilità principali: competenza, delicatezza e astensione di giudizio; questo perché, così come ho imparato, occupandomi da anni di questa tipologia di disturbi, chi non lo ha vissuto fatica a comprenderne il meccanismo, chi lo ha vissuto spesso  se ne vergogna.

Non è semplice, immagino, comprendere la ragazza o il ragazzo adolescente (i DCA si stanno sviluppando sempre più anche in soggetti di sesso maschile) che restringendo la propria alimentazione, giorno dopo giorno, con tenacia si procura la morte.

Vi posso però assicurare che non è semplice neanche combattere quotidianamente con una malattia subdola, una voce che giorno dopo giorno ti assilla, ti prosciuga nel vero senso della parola, che vuole la tua distruzione e che dagli altri viene definita “un semplice capriccio”.

Ed è proprio per sfatare l’idea che i disturbi del comportamento alimentare siano un “semplice capriccio” che Michela, all’epoca una ragazzina di 18 anni, ora psicologa, ha deciso, una volta vinta la propria battaglia contro l’anoressia, di gridare a gran voce cosa vuol dire soffrire di un disturbo del comportamento alimentare, cosa si prova e come se ne può uscire.

 Quando una dottoressa ha detto a mia mamma “signora sua figlia è anoressica” avevo solo 17 anni.

Ero una ragazzina come tante e come tante avevo deciso di restringere l’alimentazione per perfezionare la mia forma fisica.

Questo succede all’inizio, nella maggior parte dei casi: un semplice tentativo di perdere qualche chilo.

Ho iniziato riducendo dolci e carboidrati, così come il senso comune ci insegna.

Nessuno però ci dice che che la restrizione iniziale può sfuggire di mano portando con sè, non solo all’astinenza dal cibo, ma anche da qualsiasi altro tipo di piacere.

Leggendo sull’argomento, l’immagine analogica che maggiormente può rendere l’idea, è quella della conchiglia che si chiude, escludendo, tagliando fuori tutto ciò che è altro.

Chiudendo la conchiglia ho perso il piacere del cibo, il piacere di godermi le giornate, le amicizie, la mia famiglia, le mie passioni.


Dentro la conchiglia solo una cosa: il continuo conto delle calorie, i calcoli su quanto il peso sarebbe dovuto scendere da lì ala settimana successiva e la soddisfazione, una volta salita sulla bilancia, di leggere 35, poi 34, poi 33.5 fino a 32.

Nessun timore e nessuna paura di farmi del male, solo la necessità di assecondare quella voce che mi portava sempre più giù.

Pochi, invece, dicono che quella voce può essere sconfitta per sempre, chiedendo aiuto a figure competenti.  Quando l’ho scoperto, vivendolo in prima persona, ho deciso di gridarlo a gran voce per dare una speranza a chi combatte con volontà, alle famiglie e agli amici: di anoressia, così come di qualsiasi altro disturbo del comportamento alimentare si può guarire.

Ed è con questo obiettivo che, insieme a Stefano Tavilla e ad altri splendidi volontari abbiamo fondato l’associazione Mi Nutro di Vita, istituendo il 15 Marzo come  Giornata Nazionale dei DCA (L’associazione, che opera sul territorio ligure, oltre ad occuparsi di prevenzione, offre ascolto, comprensione e informazione attraverso l’istituzione di un gruppo di auto-aiuto per familiari e non; chi volesse contattarci può chiamare il numero 346/4256318, scrivere a segreteria.mnv@gmail.com).

Ed è con la volontà di far luce su argomenti troppo spesso ritenuti tabù che l’associazione organizza convegni e interventi di prevenzione, in ambito scolastico e non, per rispondere a quelle che sono le domande più frequenti come i  possibili campanelli di allarme  che un familiare può individuare, come comportarsi o, ancora, le diverse modalità di intervento.

Integrando esperienza personale e professionale posso affermare come campanelli d’allarme significativi siano, non solo lo sviluppo di un insano rapporto con il proprio corpo e con il cibo (restrizioni, abbuffate, eccessiva attività fisica, guardarsi frequentemente allo specchio, pesarsi frequentemente), ma anche un ritiro sociale determinato sia dall’impossibilità di accettare attività quotidiane come condividere la convivialità del cibo con gli amici, sia dal disagio provocato dai giudizi espressi dagli occhi eloquenti degli altri.

Altro fattore importante, in particolare per il disturbo anoressico, non sempre visibile nella fase iniziale, è la perdita progressiva di qualunque tipo di interesse; ricordo quando mi dicevano “sei irriconoscibile, non vediamo più la nostra Michela”.

La malattia “mangia” tutto, si porta via ogni cosa, ogni energia, ogni tipo di piacere e interesse.

Quanto detto permetterà al lettore di evincere come, data la severità della patologia, dato che è di questo che si tratta, una patologia, una malattia, non un sfizio o un capriccio, l’intervento deve essere tempestivo. Per guarire di un disturbo del comportamento alimentare la volontà è oro, ma non è sufficiente: bisogna chiedere aiuto.

Chi soffre di un DCA, almeno nella fase iniziale, non ha la forza, la consapevolezza e la volontà di chiedere aiuto.

E’ per questo motivo che mi rivolgo ad amici e familiari dicendo: non abbandonate la persona cara, fatele sentire la vostra vicinanza e chiedete aiuto al posto suo.

Chiedete aiuto non solo per lei, ma anche per voi, per ricevere informazioni su come comportarvi praticamente e su come gestire la relazione; relazionarsi con una persona malata di DCA non è mai facile perché non è relazionarsi con chi conoscete e amate, ma con la malattia stessa.

Più l’aiuto è tempestivo maggiori sono le possibilità di guarigione.

Queste sono le linee guida che mi sento di rimarcare.

Vorrei concludere ribadendo un messaggio fondamentale: di disturbi del comportamento alimentare si può guarire riprendendo in mano la propria vita.

Io, Stefano Tavilla, i membri dell’associazione “Mi Nutro di Vita” e i tanti altri volontari che si occupano quotidianamente, in tutta Italia, di dar gran voce a questi disturbi, sono l’esempio di come un’esperienza difficile possa, una volta superata, essere utilizzata per dar forza a chi ancora combatte.

Grazie

Michela Olivieri 

Laura Candelo 


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