I beni materiali della Chiesa

Una piccola riflessione sulla gestione

dei beni materiali della Chiesa

Una piccola riflessione sulla gestione dei beni materiali della Chiesa

Nell’ultimo periodo abbiamo visto tutti come, alcune testate giornalistiche che probabilmente soffrono in maniera cronica di un calo di vendite, compongano sulle loro pagine articoli sempre più ridondanti e colmi di sospetti, sulla gestione dei beni economici della diocesi e dell’Istituto di Sostentamento del Clero diocesano. Sui casi specifici è opportuno che, se del caso, si pronunci l’autorità sia civile che religiosa, ognuna per le sue competenze, verificando se vi siano responsabilità, anche in vigilando, di qualcuno.  

 

 

Con questo contributo non ho alcuna intenzione di entrare nel dettaglio di questi fatti, tuttavia vorrei prendere spunto da tali vicende per porre sul tappeto una riflessione, fondata sia su esperienze professionali dirette che su pareri di colleghi, consulenti esterni di realtà ecclesiali, che porti a rispondere ad una domanda:

 

E’ opportuno che le strutture ecclesiali a livello territoriale (diocesi, case religiose, istituti di sostentamento del clero) che abbiano la responsabilità di imponenti patrimoni mobiliari ed immobiliari finalizzati all’interesse della Chiesa, affidino la gestione di questi a sacerdoti e/o religiosi che non hanno mai avuto alcuna formazione specifica ed un percorso professionale in campo economico/giuridico e, molto spesso non abbiano nemmeno conoscenza di come i beni che vanno a gestire siano qualificati secondo il diritto canonico? Ovviamente nessuno vuole espropriare al clero il potere di controllo sul rispetto delle finalità trascendenti alle quali la gestione di tali beni deve tendere, semplicemente si vorrebbe fare in modo che i beni della Chiesa, che in linea di principio sono posti al servizio dell’intera comunità dei fedeli, laici compresi, fossero gestiti con criterio economico e con competenze specifiche, senza sprechi e senza approssimazione. Ritengo anche che sia necessario fare in modo che, unitamente ad una riforma degli organismi decisionali che porti una forte apertura nei confronti di quel laicato dotato di competenze specifiche, si creino organismi di controllo sulla gestione, necessariamente collegiali, composti da sacerdoti e laici altrettanto preparati tecnicamente in modo che possano venir rispettate le finalità di servizio dei beni, unitamente alla idoneità tecnica delle soluzioni adottate dall’organismo gestorio. Una organizzazione così congegnata potrebbe sicuramente eliminare le inefficienze e gli abusi perpetrabili sia dall’interno che dall’esterno, fornendo trasparenza e controllo che fino ad oggi non sembra abbondino nelle strutture ecclesiali che si occupano di gestione economica. E’ poi necessario ed imprescindibile che il laicato possa dire la sua in qualche modo sulla gestione dei beni della Chiesa locale per almeno tre motivi: il primo perché il laicato è parte attiva nella Chiesa ed anche ad esso si rivolge la sua funzione salvifica che si esplica anche attraverso la corretta gestione dei beni terreni. Il secondo perché le competenze tecniche e gestionali dei beni appartengono al laicato e non al clero che non le sperimenta ogni giorno della realtà secolare come invece dovrebbe fare con la carità, l’accoglienza e l’insegnamento della Parola. Il terzo perché gran parte dei beni di cui oggi le strutture ecclesiali hanno al disponibilità provengono da donazioni e/o lasciti di devoti cristiani che, nella speranza di sovvenire alle necessità della comunità, hanno lasciato i loro beni faticosamente raccolti a soggetti giuridici degni di stima e rispetto. Facciamo in modo che la stima ed il rispetto verso questi enti siano giustificati, non soltanto dalla grandezza della missione che stanno compiendo, ma anche dalla capacità di gestione che questi beni necessitano perché possano assolvere nel migliore dei modi alla loro funzione.

    Gianluca Gandalini

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