Humanitas dove sei?

HUMANITAS DOVE SEI?

HUMANITAS DOVE SEI?

   C’è un’esortazione che risuona sempre più spesso nei media e nei social network, in netto contrasto con la volgarità e la barbarie dilagante dei tanti, troppi haters che usano la Rete per manifestare la propria inciviltà e la propria miseria culturale, morale e linguistica, è l’esortazione accorata di Vittorio Arrigoni – ucciso nel 2911 a Gaza da un nucleo di terroristi salafiti per il suo strenuo impegno umanitario e pacifista – agli uomini di buona e soprattutto di cattiva volontà del nostro tempo: restiamo umani (stay human). Che bisogno c’è, qualcuno potrebbe chiedere, di una simile esortazione?


Vittorio Arrigoni

Forse che stiamo diventando bestie feroci senza nemmeno accorgercene? Oppure macchine senz’anima funzionanti come automi e cyborg? Sembra fantascienza ma da tempo si discute sul cambiamento in atto della “vecchia” natura umana alla quale si va sostituendo una specie di vivente ibrido sempre meno naturale e sempre più artificiale; questo grazie al “progresso” delle biotecnologie, dell’ informatica e della robotica applicate alla medicina e alla chirurgia. Ma l’esortazione accorata a restare umani, in questo momento storico, risuona anche nell’appello comune firmato dalle Chiese cristiane italiane e dalla comunità di Sant’Egidio: si tenga vivo uno spirito di umanità e di solidarietà nei confronti dei migranti.


Spirito di umanità? Solidarietà? Che parole sono mai queste? L’urgenza dell’appello delle Chiese cristiane (ma anche di tanti docenti universitari, scrittori e artisti a cominciare da Massimo Cacciari, Enrico Berti, Donatella di Cesare, Roberto Esposito, Sandro Veronesi, Michela Murgia, Andrea Camilleri, Roberto Saviano, Mimmo Paladino, Maurizio Pollini, Salvatore Sciarrino e tanti altri) deriva dal fatto che per molti, per troppi italiani quelle parole non hanno più senso, o meglio, hanno assunto un senso negativo. Perché? Possibile che il fenomeno mondiale dell’immigrazione insieme alla crisi economica e al conseguente aumento della povertà e del degrado ambientale e culturale delle nostre periferie metropolitane abbia avuto l’effetto che Pier Paolo Pasolini, già negli anni Settanta del secolo scorso, attribuiva al consumismo coatto funzionale al neocapitalismo ormai dominante e al mondo ridotto a mercato, cioè la corruzione dell’anima popolare dell’ umile Italia sopravvissuta al fascismo ma non al volgare edonismo di massa e alla supremazia dell’avere sull’essere?


Marshall McLuhan

Possibile, anzi, certo; ma a queste cause strutturali bisogna aggiungere la diffusione universale della Rete in cui tutti noi abitanti del villaggio globale di cui parlava Marshall McLuhan, ci troviamo volenti o nolenti (che cosa si può fare oggi senza computer?), sono connessi potenzialmente con tutti, così che oltre alle relazioni sociali tradizionali che avvengono nello spazio reale abbiamo le innumerevoli connessioni che si intrecciano nello spazio virtuale dei social, dove chiunque può scrivere qualunque cosa, connessioni che non potranno ad ogni modo mai sostituire le comunicazioni, i dialoghi e le interazioni che avvengono “faccia a faccia”. E tuttavia mai come nell’era dei web gli uomini e le donne si sentono soli e abbandonati in un deserto pieno di congegni rutilanti, di annunci pubblicitari, di automobili, ferrovie superveloci, autostrade, aeroplani, telefoni cellulari di nuova generazione, televisori al plasma, maxischermi, antenne paraboliche…Abbiamo gli strumenti per comunicare più potenti che mai si siano visti nella storia fin qui conosciuta, siamo sommersi da informazioni d’ogni genere ma invano cercheremo in Rete quelle più importanti.


I milioni di messaggi che viaggiano sui social contemporaneamente non possono che essere superficiali (ve la immaginate la Critica della ragion pura postata su Facebook?) e spesso trasmettono fake news, oltre a fare da cassa di risonanza agli odiatori e ai calunniatori anonimi. Per carità, non intendo demonizzare la Rete in quanto strumento, tra l’altro indispensabile per chi fa ricerca nei più diversi campi, ma è sotto gli occhi di tutti come il continuo chattare e messaggiare compulsivo di giorno e di notte che caratterizza soprattutto i giovani animali aristotelicamente politici e parlanti (ai quali bisogna aggiungere oggi l’aggettivo “naviganti”) nuoce alla comprensione reciproca tra genitori e figli, nonni e nipoti, ed espone gli adolescenti più sprovveduti a varie specie di adescamenti e di plagi. Anche in questo caso non è lo strumento a fare danno ma l’uso o l’abuso che se ne fa. In politica, poi, abbiamo visto come l’uso dei social sia un modo pratico e utilissimo per i Capi o Cesari (più o meno carismatici) di farsi propaganda parlando in diretta alla folla dei  loro seguaci senza neanche l’incomodo di radunarli in una piazza reale quando è così comoda la piazza virtuale! Ma non facciamoci troppe illusioni: non sarà la Rete a salvare le istituzioni repubblicane e democratiche da una crisi che dura ormai da trent’anni, non sarà la democrazie diretta teorizzata dai seguaci di Beppe Grillo e di Gianroberto Casaleggio ora al governo ad interim con la Lega.

“Per costoro – argomenta Massimo Cacciari su un recente numero dell’ Espresso – democrazia deve diventare l’universale chiacchiera in rete, organizzata, diretta e decisa nei suoi esiti dai padroni della stessa, senza partiti, senza corpi intermedi, senza sindacati che disturbino la linea diretta, in tempo reale e interattiva, come recita il loro verbo, tra il Popolo e il Capo, espressione della volontà generale”. Ora Il nostro ministro dell’Interno nonché vicepremier, che parla e agisce – con buona pace del Presidente del Consiglio in carica – da primo ministro in pectore va ripetendo a ogni piè sospinto che quello che fa lo fa in nome del popolo italiano. Per l’esattezza dovrebbe dire in nome della maggioranza del popolo italiano, dal momento che non tutti gli italiani, tra cui il sottoscritto, lo hanno votato; ma non sottilizziamo nemmeno sul fatto che nella domenica del 4 marzo dell’anno scorso la Lega rappresentava ancora una minoranza del popolo italiano avendo preso meno voti del M5S; la questione o, come si dice, il punto è un altro: le maggioranze  hanno sempre ragione? E, soprattutto, la giustizia si può decidere a maggioranza? Salvini sembra credere di sì, non si capisce se in buona o mala fede. Certamente concepisce la giustizia in base all’ utilità che ne può derivare, in termini di consenso e di voti, alla sua parte politica; cioè la sua è una giustizia strumentale e non universale come invece è (o dovrebbe essere) quella che distingue ancora oggi l’humanitas dalla barbarie.

FULVIO SGUERSO

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