Hena Begum

SI CHIAMAVA HENA
Era una quattordicenne come tante

SI CHIAMAVA HENA
Era una quattordicenne come tante
  
Si chiamava Hena, Hena Begum, aveva quattordici anni e viveva nel Bangladesh. Una quattordicenne come tanti, con sogni, speranze, progetti. Forse, o forse no, chissà. Ora non importa più, perché Hena è morta.
Per la precisione Hena è stata uccisa, giustiziata secondo la legge islamica, la sharia. Colpevole, secondo chi la ha giudicata, di aver commesso adulterio con un uomo già sposato. Condannata a ricevere ottanta frustate che non le hanno lasciato scampo. Si chiamava Hena, e noi lo sappiamo perché qualche quotidiano ha riportato la sua fine in un corto trafiletto nelle pagine dedicate alle notizie estere, domani in pochi ricorderanno il suo nome. Lei non è Sakineh, non è Asia Bibi, lei non ha avuto il tempo di raccogliere indignazione sul suo caso. Per Hena nessuna petizione, nessuna parola spesa per fermare i boia, nulla, come tante volte succede a tantissime vittime del più bieco integralismo, al più cieco dei fanatismi religiosi. A noi che viviamo in un Paese che si definisce libero, questa storia suscita probabilmente un sentimento di sgomento e di allibito disgusto, perlomeno è ciò che vorrei poter sperare. Ma è davvero così? Il viscerale odio verso la donna che ha caratterizzato, e che tutt’ora caratterizza, le grandi religioni monoteiste, ha immolato migliaia di vittime.
Donne, sempre donne, sempre giudicate da uomini. Uomini convinti di avere il potere di giudicare della vita e della morte in nome di Dio. Quale arroganza, quale offesa più grande può essere rivolta ad un Dio da un uomo, che di permettersi di dare la morte in nome suo? A mio parere, sottolineando con forza che di mio parere personale si tratta, nessuna. Nel nostro Medioevo si bruciavano le streghe, gli eretici, gli indemoniati. Bastava poco, bastava avere occhi sensibili alla luce in un mondo avvolto dall’oscurità dell’ignoranza più colpevole, per morire tra atroci tormenti.

Bastava molto poco, ed il peggio che alberga da sempre nell’animo umano inondava le povere terre di fiumi di dolore. Basta poco anche oggi, in tante parti del mondo. Basta essere donne, voler vivere la propria vita. Ma se sei donna e se sei nata in un qualunque luogo in cui il Medioevo non è ancora finito, o è appena cominciato, la tua vita non ti appartiene. Appartiene agli uomini, da sempre depositari della voce del loro Dio, sostengono molte religioni. Da sempre alla ricerca di modi certi per tramandare la propria linea genetica, dicono la biologia e l’antropologia. La donna, che dona la vita, è essere impuro. L’uomo che genera la vita, è essere superiore. Su queste basi, frutto marcio dell’ignoranza perpetrata nei secoli dai più squallidi e turpi rigurgiti misogini, si basa l’odio contro la donna. Odio che è costato la vita di una adolescente, poco più che bambina. Forse qualcuno s’indignerà. Forse qualcuno proverà dolore per una ragazza morta in modo atroce. Temo che in pochi ricorderanno non dico il suo nome, Hena, ma nemmeno la sua storia. Con l’amarezza che di un’altra ben più fortunata adolescente, Ruby, in Italia non si dimenticherà nessuno. Il caro Lettore potrebbe obiettare: questa è la vita. No, caro Lettore, questo è l’uomo quando si sostituisce a Dio, e dimentica di essere solo polvere destinata al vento.

Giovanna Rezzoagli

http://www.foglidicounseling.org/

giovannarezzoagli@foglidicounseling.org

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