Ha vinto la partecipazione. E guai a tradirla ora!

Ha vinto la partecipazione
E guai a tradirla ora!

Ha vinto la partecipazione
E guai a tradirla ora!

 

 Rileggendo cosa scrivevo due settimane fa, si percepiva la mia incertezza e tensione riguardo al voto referendario.

Col senno di poi, pare abbastanza scontato che dovesse vincere il NO, anche solo sommando il parere delle forze in campo, sondaggi o non sondaggi. Eppure scontato non era, e non certo per scaramanzia si stava col fiato sospeso, ma piuttosto guardando alla storia recente.

   

 La martellante, indegna, a tratti offensiva campagna a senso unico sui media, il terrorismo psicologico e finanziario, i pietosi endorsement,  la propaganda costosa non hanno ottenuto, per fortuna, i risultati sperati per rastrellare sufficienti SI’,  anzi sono stati  controproducenti, spingendo un bel po’ di contrari astensionisti a precipitarsi alle urne, ma  sono riusciti nel frattempo a instillare nei fautori del NO un senso di impotenza, di sopraffazione, di accerchiamento, di Paese vinto e rassegnato, che si è trasformato solo molto lentamente, a risultati in corso, in gioia incredula.

Inoltre se si fosse seguita la tendenza in atto, meno partitica e “fedele”, più umorale e momentanea, soprattutto della percentuale bassina di chi continua a votare, i risultati sarebbero stati affatto prevedibili, ma più in bilico, in equilibrio.

A conti fatti, avevano ragione giornalisti come Curzio Maltese, che i ragionamenti li facevano sul fallito referendum trivelle: già allora, ad aprile, dunque pochi mesi fa, di chi si era spinto a votare circa l’85%, più o meno 13 milioni di voti, aveva espresso bocciatura delle politiche renziane. Se questo era avvenuto per un argomento tutto sommato limitato e con pochissima attenzione e informazione, figurarsi su un tema vitale, e sul quale si misurava tutta la credibilità governativa, come la riforma costituzionale!

Maltese riteneva che questa truppa di votanti, come minimo, sarebbe tornata per un NO sicuro, mentre sarebbe stato difficilissimo rastrellare altrettanti consensi per la riforma.

Giusto, certo: ma questo, come tanti altri ragionamenti e sondaggi, faceva i conti e le spartizioni sullo zoccolo duro dei votanti, in una nazione in cui l’astensionismo ormai sfiora la metà degli aventi diritto al voto, specie giovani. Si ragionava su percentuali intorno al 50%.


 Un sito di sondaggi clandestini, a votazioni in corso, faceva un ragionamento che io più o meno condividevo: se la percentuale di votanti sarà molto bassa, vince il NO sicuro, anche se di poco. Infatti è più facile che a votare ci vadano gli arrabbiati, gli scontenti, più motivati, e meno i sostenitori della riforma.  Se invece la percentuale supererà la metà,  la partita sarà più aperta, il divario si ridurrà, e saranno determinanti i voti esteri. Potrebbe anche vincere il SI’. Se però la percentuale si alzasse di parecchio, recuperando fra gli astensionisti,  il NO potrebbe avere partita vinta, e di parecchio.

Io ci speravo, ed era il sogno più roseo. A posteriori, questa ipotesi poco considerata, alta percentuale di votanti,  è stata quella vincente, regalando una sonora batosta alle politiche governative, e dimostrando che i tanti che non vanno neanche più a votare non lo fanno perché non gli importi, ma perché non trovano nelle alternative proposte una che li convinca quel tanto che basta a prendersi il disturbo.

Purtroppo, neanche noi 5 stelle, ed è quello che ho sempre lamentato, come autocritica: pur crescendo e consolidandoci in modo che ha del miracoloso, rastrelliamo più nei già votanti, che nella marea di scontenti i quali dovremmo convincere a tornare alle urne e darci un’occasione.

Qui si gioca la partita del futuro, ma il referendum è stato un buon inizio. Per crescere bisognerà mostrarsi credibili, affidabili, preparati, con proposte serie, concrete e alternative.

Si sono sentite le interpretazioni più fasulle del voto. Quella che Renzi avrebbe vinto, avendo ottenuto il 41% come alle europee è da sganasciarsi. In generale, le interpretazioni partitiche che trasferiscono direttamente le percentuali e fanno ipotesi elettorali, sono assurde.

 

 Curioso come i fautori del SI’, ben mimetizzati prima, ora sconfitti si rivelino sui social, con acidità assortite.

Stiamo parlando di un referendum costituzionale, non di una elezione, e i motivi che spingono a votare in un modo o nell’altro non hanno necessariamente a che fare con le appartenenze né con le indicazioni di voto.

Per fortuna arrivano le analisi del voto più serie, non sparate dai politici ma dagli istituti specializzati. Che ci dicono come molti antirenziani del PD si siano schierati per il NO, come molti berlusconiani per il SI’ (e non è una sorpresa). Che l’elettorato pentastellato è fra i più fedeli, e che la vera differenza l’hanno fatta gli astensionisti tornati a votare. Ossia, che quel delta in più di votanti era massicciamente per il NO.

Ma i politici, sublimi, rilanciano. Specie i renziani che l’hanno presa benissimo.  Non ho mai visto gente spocchiosa e arrogante oltremisura come certi esponenti del PD. Capaci di manifestare, loro così politically correct, un razzismo snob e offensivo.

Dalla Puppato che, osservando la vittoria del SI’ all’estero, cita ironicamente la fuga dei cervelli.

Peccato venga smentita sempre dalla solita analisi del voto, che vede il NO premiato soprattutto da diplomati e laureati. A Chicco Testa che  se la gioca da antimeridionale notando il dilagare del NO al sud. Meno male che ad avercela coi “terun” erano i leghisti…

Ma altri aspetti, sempre parlando di analisi del voto, sono interessanti: il NO stravince fra i giovani, vince anche nella mezza età, perde solo fra gli ultra sessantenni. Ma non doveva essere la riforma del cambiamento, dell’innovazione? Sembra abbia convinto solo gli interessati alla conservazione dello status quo… Infatti vince nelle città ricche, nei quartieri bene, nell’elettorato borghese che è ora il PD.

 

E a proposito di analisi del voto estero… Molte ipotesi possono essere fatte, escludendo pietosamente l’idea di brogli in grande stile, che deve sempre e comunque essere ultima ratio. 

Una ipotesi purtroppo è che, mentre ai tempi del berlusconismo l’informazione sui fatti italiani arrivava molto più libera e obiettiva in altri paesi europei, e le persone potevano formarsi una opinione più corretta, mentre poi nei primi tempi dei 5 stelle c’erano interesse, simpatia, voglia di capire, obiettività, ora per interessi precisi internazionali prevalga una narrazione distorta, in cui non tanto Renzi o il PD vengano incensati, quanto piuttosto si demonizzi l’opposizione,  mettendo tutti, 5 stelle compresi, dato che ora come peso elettorale fanno paura e non sono più un simpatico fenomeno di folclore, nel calderone neonazista razzista e rozzo della nuova tendenza “populista”, spaventando elettori che già vedono in quei paesi gli effetti di certe derive. Proprio perché non si tratta più di fatti interni alla penisola, ma di situazioni che, a seconda di come evolvono, se non prevale l’obbedienza supina ai dettami dall’alto, possono danneggiare interessi economici sovranazionali, i media obbedienti agli interessi dei loro proprietari agiscono.

La mia personale analisi del voto, un minuscolo spaccato, parte dal seggio in cui ero spettatrice, come rappresentante di lista.  Al mattino una teoria di anziani ostinati e trascinantesi a ogni costo faceva supporre la risposta dello zoccolo duro, coloro che credono ancora in vecchi ideali traditi da tempo. Poi, man mano, altre persone di tutte le età, e fra loro altri anziani che commentavano: votiamo, finché ce lo lasciano fare. Cogliendo in pieno lo spirito sottilmente autoritario della riforma.

Verso sera gente trafelata con tessere elettorali intonse, anche giovani e giovanissimi, che guardandoci sorrideva.

Quando si apre l’urna, allo spoglio, la “stratificazione” è significativa. Le prime estratte sono gli ultimi votanti, al fondo stanno i votanti del mattino. Ebbene, il NO era largamente prevalente in cima, il SI’ pur nettamente minoritario recuperava qualcosina sul fondo.

Altro particolare (e non l’ho notato solo io), come erano segnate le croci: i SI’ erano quasi tutti lievi, più deboli, i NO ricalcati, come di persone che non vedevano l’ora di potersi esprimere.

 

 Tralasciando gli aneddoti, si potrebbero fare molte altre considerazioni. Una, che è pienamente giustificata, a dispetto di tutte le critiche, la nostra proposta di abolire il quorum.

Le critiche dicono che non si può lasciar decidere a una minoranza. Ma i fatti raccontano invece che è più facile che raggiunga il quorum un referendum dove non è previsto. Perché? Perché il triste sbarramento fa sì che chi vuol far fallire un referendum cerca di puntare su disinformazione o non informazione, indifferenza, astensionismo. Giocando scorretto per sommare i propri voti, magari minoritari, con lo zoccolo duro di chi non è molto interessato al voto.

Se invece non è previsto quorum, nessuno può puntare su questo, o si vince o si perde, e coi propri voti. Dunque, è più facile che si possa e si debba fare informazione, che cresca il dibattito, che si ragioni sulle questioni concrete. Il che porta a maggiore partecipazione. Ossia, maggiore democrazia.

Partiamo dunque, in conclusione, da quello che è il vero dato positivo, a dispetto delle percentuali numeriche che non lasciano dubbi. Quelle ci dicono che la narrazione unica renziana non convince, le varie crisi che mordono le ossa l’hanno fatta rapidamente sgonfiare di fronte ai fatti: gli effetti delle tremende riforme, scuola e jobs act su tutte,  si sentono e colpiscono anche quello che era un elettorato fiducioso, fedele  e perbene di centro sinistra. Ma ci avrebbe detto la stessa cosa anche una vittoria risicata con votanti inferiori.

A far sperare, invece, è proprio essere tornati a vedere code ai seggi. La voglia di democrazia, la voglia di dire la propria, di tornare a decidere il proprio destino che hanno le persone, dopo tanti inciuci, maggioranze non uscite dalle urne, decisioni e priorità assurde e arroganti, presidenti garanti di tutto tranne che del popolo.


 Un desiderio che si pensava sconfitto e rassegnato, e che invece c’è, a dispetto di tutto, e si fa sentire.

Guai a non ascoltarlo. Guai a tradirne lo spirito e le richieste.

Vale naturalmente per noi del M5*, i primi  chiamati a doverlo interpretare e appoggiare, dopo averlo a lungo invocato. Una bella responsabilità.

Ma vale anche per altri. Che si giocano il futuro nella politica. Primo fra tutti, il PD.  Dopo aver fatto il vuoto di militanti, ora rischia di perdere anche una buona fetta del proprio elettorato di riferimento, non  certo  recuperabile nella società perbenista dei salotti di cui ora si compiacciono, e che non si farà più  bastare il baluardo dei diritti civili usato come ultimo argomento.

E’ tempo di una svolta, una speranza, un cambio di tendenza. Farsene beffe come si è fatto finora, non è più possibile. La semplice tranquilla riproposizione del pregresso,  come ora ahimè si sta delineando, suonerebbe come una intollerabile beffa, l’offesa finale.

Non si può giocare con le tensioni degli impoveriti, dei disoccupati, degli sfruttati, dei malati che non riescono a curarsi, dei giovani senza futuro.

Non si può continuare a farsi tranquillamente gli affari propri, soprattutto affari di svendita del Paese, dei beni e dei diritti di tutti. Stavolta, come dire, sono stati “sgamati”.

Vedremo cosa accadrà. I fermenti nel mondo, ancora confusi, magmatici, contraddittori, continuano.

Cosa dicevo l’altra volta? A che punto è la notte? Si intravede un baluginare, un chiarore lontano. Si può tentare di sperare.

Di sicuro, l’alba è ancora lontana. 

 Milena Debenedetti  Consigliera del Movimento 5 stelle

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