Governo Draghi: sì, no, non lo so

 

Governo Draghi: sì, no, non lo so

dalla rivista Tempi di Fraternità 

Governo Draghi: sì, no, non lo so

 

 Il nuovo governo nasce in uno di quei rari giorni detti palindromi, perché possono essere letti da sinistra a destra ma anche da destra a sinistra, così il 12.02.2021. Direi un giorno emblematico per un governo che può essere visto da due lati opposti: infatti, chi lo vede come la panacea di tutti i mali che affliggono il bel paese da almeno vent’anni, chi la morte della democrazia a favore della finanza e il trionfo del neoliberismo più sfrenato. Ci potrebbe essere anche uno sguardo non intermedio, ma laterale. Cioè cercare di vederlo da un punto di vista altro rispetto agli stereotipi.

Certo per un bancario, che ha scritto sul suo libro dei banchieri senz’anima, è facile posizionarsi sugli ipercritici senza essere, ben inteso, annoverato tra i destrorsi.

E in effetti il curriculum di Draghi rientra perfettamente nella fattispecie del freddo calcolatore che, abbandonato l’insegnamento del suo professore (si tratta di Federico Caffè, ormai dimenticato prestigioso seguace di Keynes), si è lanciato nelle privatizzazioni selvagge dei gioielli di Stato (Iri, Eni, Enel, Comit, Telecom), offrendoli su un piatto d’argento ai soliti potentati finanziari italiani che amano dirsi liberali quando si tratta di idee, ma non disdegnano i monopoli quando si tratta di affari (es. vedasi autostrade). E poi la Grecia: su Draghi pesano come un macigno le enormi sofferenze del popolo greco quando impose, con un provvedimento di dubbia legalità, la chiusura delle banche con tutte le conseguenze che si possono immaginare. Da notare che questo avvenne malgrado che le proposte di conversione del debito greco, presentate da Yanis Varoufakis all’Adam Smith Institute di Londra, avessero convinto gli investitori.

Passerà alla storia la dichiarazione del ministro greco: “Mario, ti riterrò personalmente responsabile se verrà sospesa l’esenzione (la possibilità che consentiva alle banche greche di ottenere denaro liquido in cambio di garanzie collaterali, n.d.r.) il giorno dopo che con il mio intervento ho fatto aumentare i titoli delle banche del 20 %. Se lo fai sarà la prima volta nella storia delle banche centrali che una banca centrale distrugge il successo sui mercati finanziari di un ministro delle finanze”.

Ma, si sa, quello era un governo di sinistra!

Tutto ciò e molto altro si potrebbe dire sulla storia di Draghi, quale esponente del potere finanziario, conclusasi brillantemente con la salvezza dell’Euro.

Ma lasciamo la storia recente e andiamo all’attualità.

 


 

Siamo ancora tutti storditi dalle spericolate manovre renziane volte a far cadere Conte ad ogni costo, ed ecco Draghi (tra l’altro amico di Berlusconi, cui deve molto).

Dunque Draghi arriva alla guida del Paese solo per evitare elezioni rischiose, non solo per il Covid? Per esprimere una valutazione personale della vicenda ho atteso la presentazione del programma, del dibattito e della replica. Non mi piace esprimere giudizi preconcetti sulla base della sola storia di una persona, perché l’esperienza mi dice che tutti possiamo cambiare: in peggio, certo, ma anche in meglio. Perciò mi sforzo di leggere con obiettività le parole di Draghi.

Sinceramente speravo di meglio, ma sbagliavo, perché il neo premier non poteva scontentare nessun partito all’inizio del suo cammino e così ha fatto. Un discorso dove i rari richiami a valori alti sono diluiti in un’arida elencazione di proponimenti, cose e numeri, senz’anima appunto, ma dove alcuni termini usati, come alcune omissioni, tradiscono il suo pensiero. Ad esempio ha parlato di “capitale umano”, che è basato sui principi di fondo della razionalità economica ed è definito dal Dizionario di economia e finanza come “insieme di capacità, competenze, conoscenze, abilità professionali e relazionali possedute in genere dall’individuo”. Una definizione che ignora la dignità della persona che alcune scuole di pensiero indicano tripartita in corpo, anima e spirito, dove ciascuna di queste componenti, sono strutturalmente interconnesse tra di loro e formano un unicum irripetibile della persona che poco ha a che fare con l’economia.

Sulla stessa linea la locuzione “capitale naturale” usata per parlare della politica ambientale. Inutile dire che l’aria, l’acqua, ecc. non sono capitali naturali ma bene comune (termine mai usato da Draghi). Come bene comune è il suolo sempre più consumato (2 m2 al secondo!) e ignorato nel discorso, un inquietante segnale al partito del cemento in spregio della salvaguardia ambientale.

Anche nei riferimenti di politica estera, a mio parere, vale il non detto in quanto, nel contesto del discorso e delle repliche, il ruolo “irrinunciabile” dell’Italia quale “protagonista dell’Alleanza Atlantica” nasconde la totale sottomissione alla Nato con conseguente acquiescenza alla politica sin qui attuata: crescenti impegni militari nell’est Europa, aumento delle spese per gli armamenti, già esorbitanti (per il settimo anno consecutivo) e continuazione della permanenza di basi militari atomiche sul nostro territorio, alla faccia della sicurezza anche ecologica.

L’ecologia l’ha fatto da padrona negli interventi di Draghi, in particolare con la citazione delle parole di papa Francesco sulla necessaria radicalità del rispetto dell’ambiente, mettendo in stretta relazione la pandemia, il salto del virus dall’animale all’uomo, con la tumultuosa distruzione del pianeta: “Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta”. Il nuovo ministero della transizione ecologica potrà dare risposte reali e non di facciata? Vedremo nella prassi, perché le attribuzioni, all’esordio, appaiono insufficienti a esprimere una svolta reale che dovrà modificare radicalmente la cultura energivora dominante.

Ma il papa aggiungeva che, senza il riscatto dei poveri, non si può migliorare l’ambiente. E di questo paradigma ineludibile nulla vien detto. Infatti Draghi ha sì parlato delle diseguaglianze (legate al coefficiente Gini), ma senza prospettare la benché minima soluzione per farvi fronte. Poteva farlo almeno quando ha parlato del fisco da riformare, ma non vi è cenno. Non si parla nemmeno di una mini patrimoniale a favore dei meno abbienti che coinvolga i paperoni del nostro paese (tre di essi, da soli, “valgono” circa tre milioni di poveri). Ha sì concesso che venga mantenuta la progressività, come sancito dalla Costituzione, ma ha citato come esempio da seguire la commissione Visentini del ‘72 che, se da un lato proponeva aliquote più progressive di oggi (andavano dal 10 al 72 %), dall’altro inventava il prelievo diretto dell’Irpef sulle buste paga dei lavoratori dipendenti in virtù del quale oggi questi ultimi sono costretti a sostenere oltre il 70 % del totale del prelievo fiscale delle persone fisiche e, piccolo particolare, il varo della riforma fu accompagnato da un massiccio condono fiscale…

Presagi infausti!

 


 

A proposito del papa, sarei curioso di sapere che cosa pensa dell’appoggio più o meno esplicito che la CEI e i giornali cattolici stanno fornendo a Draghi. In proposito Luigino Bruni, che non può essere certo tacciato di estremismo, scrive un post, non a caso su Facebook, anziché su un giornale: “Il mondo cattolico, sulla scia del Magistero, continua a lamentarsi di un  capitalismo in mano alla finanza, alcuni giornali di ispirazione cattolica hanno costruito parte della loro identità criticando il capitalismo finanziario e la dittatura della grande finanza. Poi oggi, questo stesso mondo cattolico esulta per l’arrivo di Mario Draghi, di cui si vanno a rintracciare le radici cattoliche, come se non fossero cattolici (almeno quanto Draghi) Prodi, Berlusconi, Monti, Conte, persino Renzi. Come se Draghi fosse lì per la sua dottrina religiosa e non per quella finanziaria” (il testo completo è riportato nel n. 3/2021, pag. 30 di Tempi di fraternità).

Considerando per un attimo l’ambito internazionale, possiamo capire meglio lo scenario italiano che potrebbe delinearsi nell’arco della durata del governo Draghi: in Francia, ad esempio, lo spauracchio dell’estrema destra lepenista ha sempre fatto virare al “centro” il voto di sinistra, consentendo ai Macron di turno di vincere e servire i poteri che contano. Idem per gli Stati Uniti dove i democratici liberal come Sanders hanno sempre dovuto cedere il campo ai gruppi tradizionalmente legati ai potentati, ultimo in ordine di tempo i Clinton e, dalle prime avvisaglie, anche Biden non sembrerebbe sfuggire a questa logica.

Qui da noi i movimenti sono forse più complessi, ma l’orientamento verso il “centro” non cambia. Non credo sia un caso che si stiano mobilitando più o meno noti esponenti cattolici, centristi, oltre ai ciellini, unanimi nel ritenere l’arrivo di Draghi una grande opportunità per ricostituire un centro politico che sperano ruoti su di essi. Non so se nelle intenzioni, ma nei fatti, ci sia convergenza con il Renzi pensiero, che mira ad asfaltare PD e M5S per attrarre i loro voti moderati verso un nuovo raggruppamento centrista con Calenda e i radicali della Bonino, e pazienza se costoro sono i più strenui propugnatori dell’individualismo a tutti i livelli. D’altra parte non son pochi i commentatori che vedono nella vicenda in atto la possibilità di “normalizzare” il paese tagliando le punte estreme per consentire un libero gioco tra moderati di centro-sinistra e moderati di centrodestra.

Risulterebbe così plausibile anche la stroncatura dei grillini dissidenti e la riduzione di Salvini a più miti consigli.

La sinistra radicale s’è già distrutta da sola, per cui non ha neanche l’onore di entrare nel mirino dei manovratori.

Così, mentre Renzi e il centro-destra gongolano, e l’ex maggioranza s’illude, ai cittadini tocca incrociare le dita e ai più poveri soffrire in silenzio. Non credo però che tutte queste manovre possano attribuirsi personalmente a Draghi, semmai sono l’effetto Draghi.

Ancora due osservazioni sulla composizione del governo.

Ho l’impressione che i ministri “tecnici” scelti da Draghi siano datati e non esprimano di certo pensieri innovativi.

Dirigenti e manager nati e cresciuti nella vecchia cultura liberale che odora di neoliberismo, anch’essi responsabili, per i ruoli svolti in passato, delle derive economiche in cui annaspiamo da anni. Difficile pensare che da lì si possa invertire la rotta. Eppure a Draghi e a questi “competenti”

sono affidate le sorti economiche e sociali dell’Italia (non solo i 200 miliardi di fondi europei) mentre i partiti, i cui esponenti sono piuttosto scialbi, saranno lasciati liberi di spennarsi tra di loro su materie ininfluenti, tranne lo sviluppo economico attribuito all’amico Giorgetti, che di ambiente non ha mai mostrato il minimo interesse (come del resto al suo partito e alla destra in genere, salvo ora cavalcarlo spudoratamente sull’onda del ritrovato europeismo di maniera) ma in compenso è molto vicino alla Confindustria.

Né si può tacere sui sottosegretari, ben nove assegnati alla Lega, tra cui il “falco” Molteni agli Interni, in spregio ai decreti sicurezza appena modificati.

“Siamo cittadini di un Paese che ci chiede di fare tutto il possibile, senza perdere tempo, senza lesinare anche il più piccolo sforzo, per combattere la pandemia e contrastare la crisi economica. E noi oggi, politici e tecnici che formano questo nuovo esecutivo, siamo tutti semplicemente cittadini italiani, onorati di servire il proprio Paese, tutti ugualmente consapevoli del compito che ci è stato affidato. Questo è lo spirito repubblicano del mio governo”.

Anche noi amiamo l’Italia: aspettando l’agire concreto, proviamo a dargli credito, perché gli sprazzi di speranza che restano, alla fine si riducono ai richiami alla centralità dei giovani e della scuola e all’accenno all’egoismo che domina gli attempati, che poco o nulla concedono alle generazioni

future: “ogni spreco oggi è un torto che facciamo alle nuove generazioni”. È partendo dal poco che vorrei concedere una chance di resipiscenza al neo presidente, osannato dai molti.

LUIGI GIARO da Tempi di Fraternità 

 

 

 

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