Gassosa, caffè e marsala

Gassosa, caffè e marsala
Sedici anni nel 1982. Estate, la Vespa di mio fratello, i mondiali di calcio, le ragazze da inseguire, il fantasma della scuola che ricomincia e la stagione che non finisce. Mi ero trovato un lavoretto da fare durante la bella stagione.

Gassosa, caffè e marsala

Sedici anni nel 1982. Estate, la Vespa di mio fratello, i mondiali di calcio, le ragazze da inseguire, il fantasma della scuola che ricomincia e la stagione che non finisce. Mi ero trovato un lavoretto da fare durante la bella stagione. Si trattava di accompagnare il titolare della ditta Gallo acque minerali con il suo camion nel giro di distribuzione tra l’alta Langa di Prunetto, in Piemonte, e i primi paesi liguri della Valle Bormida. Il confine tra le due regioni si trova tra Saliceto e Cengio.


 

Cengio era ed è famosa ancora oggi per l’ACNA, la fabbrica chimica di coloranti che ha sfamato e inquinato, elargito lavoro e pestilenza, donato benessere e conflitto sociale, tanto da segnare un confine in maniera ancora più profonda, tanto da far guardare tra loro i contadini piemontesi e gli operai liguri con un livore che nessuno aveva mai visto prima da queste parti. La fabbrica si era stabilita proprio lì alla fine dell’Ottocento, per produrre esplosivi. L’Acna (che allora si chiamava Sipe) non fu l’unica a vederci il buon affare. Infatti arrivarono presto la cokeria, la Montecatini, la Ferrania. Insomma, una buona fetta della chimica italiana si sviluppò nell’entroterra ligure affacciato sulla valle.

Il giro delle acque minerali era periodico con cadenza settimanale. Ogni giorno una serie di paesi, sempre gli stessi.


 

Come facesse il titolare a ricordarsi tutti i tragitti, tutte le destinazioni, tutti i posti da visitare, mi riesce difficile da capire. Eppure non si sbagliava e non dimenticava mai un cliente. La mia fortuna fu che al capo piaceva mangiare bene. Per cui, benché l’estate fosse il periodo di grande lavoro, e benché si fosse quasi sempre in leggero ritardo, al mezzodì ci si trovava invariabilmente in una delle tante osterie specializzate nello sfamare orde di operai, commessi viaggiatori ed elettricisti in giro per lavoro.

Fuori il sole rifiniva l’opera di arroventamento della Langa. Finito il fiero pasto, sempre ostentando buon umore, io e il capo risalivamo sul camion un po’ appesantiti. Dal mattino si era predisposto il carico il quale, stranamente, non era sempre lo stesso: se andavamo in Piemonte ci voleva poca acqua (tanto gasata quanto naturale) ma soprattutto ci volevano diversi tipi di birra, di spuma, di succhi di frutta. E poi prodotti che non erano propriamente congruenti con il resto del carico: pacchi di caffè in grani da un chilo, Marsala all’uovo in bottiglioni da due litri, vino bianco secco (sempre da due litri) e Moscato dolce. In Liguria, nell’Alta Valle Bormida, ci volevano più tipi di acqua. Da non dimenticare quella leggermente frizzante o quella di una nota sorgente taumaturgica. Poco di tutto, e neanche tutto. Era lontano il tempo delle bottiglie di regioni lontane, così come il tempo delle bottiglie di plastica.


Prunetto

Ricordo un pomeriggio nel quale arrivammo nel cortile di una grossa cascina oltre Prunetto. La padrona di casa ci aspettava sull’uscio tra i bambini, con il portamonete in mano. Lei cominciò a ordinare e io a scaricare casse: sei di acqua gasata, quattro di spuma al pompelmo, tre di sanguinella (che fa bene), cinque di spuma bionda (che la fanno col Moscato – non è vero, ma lo ripetevano in tanti –), quattro casse di birra, due pacchi di caffè.

«Le interessa del Marsala?». «Marsala? All’uovo? E ben sì, va’… un paio di bottiglioni»

Guardavo preoccupato il cumulo di cassette: di lì a poco avrei dovuto riprendere in mano e portare in qualche fresca e oscura cantina. «Ma nooo… Non c’è il caso, ché ce li porto io più tardi, ci mancherebbe, farsi servire a quella maniera, come i signori… ».  Pagò senza batter ciglio e noi, voltato il camion, ripartimmo per il nostro giro.

Chiesi al capo: «Ma che famiglia sarà? Ma come faranno a consumare tutta quella roba?».

E lui:«Aspettano la trebbia ― mi disse guidando ― sono ancora tra le poche famiglie che trebbiano il grano alla vecchia maniera, e la trebbiatura le mette d’accordo. Domani si comincia da loro, e i vicini vanno ad aiutarli. L’indomani ancora saranno alla cascina vicina, e si scambieranno il lavoro. E per trebbiare bisogna che ci sia tutto pronto, compreso da mangiare e da bere».


Langhe

Intanto si arrivava nel cortile di un’altra cascina, una povera casa, un cortile di terra battuta, la porta della stalla alitava caldo di bestie.

Spuntarono da qualche parte due fratelli, non più giovani. Da qualche anno erano morti i genitori ed essi continuavano a vivere come era stato loro insegnato: lavorare, mangiare e dormire. Nient’altro.

Sul tavolo, nella vecchia cucina, c’erano sempre un bottiglione di vino già cominciato e quattro o cinque bicchieri scompagnati, appiccicati al ripiano di marmo decorato dai cerchi violacei del fondo degli stessi bicchieri. Anche loro compravano in eccesso, accettando volentieri qualche articolo proposto dal capo.

«Caffè?». «Massì…».

«Marsala?». «Proviamo…».

«Moscatello?». «Venisse nostra zia o una donna che sia, un bicchiere di Moscato da offrire… Mica una bottiglia, almeno una cassa da 12».

«Acqua e bibite?». «No, quelle niente. Un po’ di birra, quella sì, d’estate si sa…».

E pagavano senza fiatare, contando precisi, estraendo dai portafogli rigonfi e consunti le banconote. E avanti. Il giro del Piemonte finiva tardi, non arrivavo a casa prima delle nove. Ma le sere d’estate, soprattutto a 16 anni, ti fanno perdonare tutta la fatica del giorno.


Al dì seguente si procedeva per il versante ligure. La fabbrica o, meglio, le fabbriche hanno modificato pesantemente il paesaggio: le pianure del fondovalle adatte a ospitare i campi più fertili e belli, non essendo abbastanza redditizi, hanno ospitato gli stabilimenti.

I paesi sulle cime delle colline si sono spopolati e in molti sono andati a stare vicino alla fabbrica, facendo nascere il bisogno di case, appartamenti, negozi, botteghe e artigiani. Chi lavora in fabbrica, e solo in fabbrica, ha una cosa che ai contadini manca del tutto: il tempo libero. Ecco allora i bar, le società operaie, i cinematografi, i luoghi di ritrovo, i dopolavoro, le filodrammatiche o le bande musicali. La fabbrica modifica il paesaggio non solo dove è stata costruita, ma anche per le spinte, le esigenze, i bisogni che genera nella gente che ci lavora e ci abita attorno.

Il camion dell’acqua minerale si fermava in mezzo alla piazza, tra brutti condomìni di quattro-cinque piani. I bimbi giocavano in quel cortile – i più piccoli, perché i più grandi potevano anche lanciarsi verso avventure tra boschi e ruscelli ancora selvaggi, poco distanti.

Alcune signore avevano portato vecchie sedie all’ombra di una pergola di vite e cucivano intente, resistendo all’agosto. Insomma, un paese di campagna, una vecchia periferia, non ancora città, ma un qualcosa a cui tende.


Le signore padrone di casa non uscivano quasi neppure. Le si chiamava al citofono, rispondevano disponendo: «Una cassetta di acqua liscia». «Due bottiglie di sanguinella». «Ce l’ha quella lievemente frizzante? Sì? Allora mi fa una cassetta mezza e mezza?». «Marsala? No grazie, con questo caldo». «Una bottiglia di birra, me la vende una sola?».  Ci si caricava la cassetta su una spalla e si risalivano le scale, si suonava alla porta, si aspettavano i vuoti e si tornava a terra. Alla fine, dopo una mezz’ora di su e giù per quelle scale, si era venduta una minima parte di quello che avremmo venduto allo stesso numero di clienti contadini. La fabbrica aveva cambiato il paesaggio perché aveva, ancora prima, modificato i rapporti tra le persone. E la sanguinella (che facesse bene o meno) la si beveva seduti al tavolino, parlando di politica, di calcio, di donne. Ma era diverso anche il modo di ordinare. I “cittadini” compravano la dose minima, una bottiglia, al massimo una cassetta. Volevano spendere pochi soldi in prodotti inconsueti: l’acqua leggermente frizzante o la gassosa Torelli – «quella vera, in bottigliette piccole, ché le altre non sono gassosa…». In Langa l’acquisto doveva soddisfare come importo e come mole di merce acquistata.

Avevo 16 anni e non pensavo, allora, a tutte queste cose, mentre lavoravo aspettando di tornare a scuola. Dopo più di trent’anni le fabbriche hanno chiuso, altre sono state di molto ridotte. Oltre il confine regionale molti giovani piemontesi hanno ripreso in mano gli attrezzi dei padri e dei nonni: coltivano, allevano, trasformano. Siamo in un momento di passaggio tra quel mondo industriale e un nuovo modello non ancora ben chiaro. È utile, ora, comprendere che il tipo di produzione e di relazione commerciale che insiste su un territorio influisce pesantemente sia sul panorama fisico sia su quello sociale. È ora, quindi, di tenerne conto nei progetti dei politici, nei piani di rilancio e di rinascita, sognando un mondo solidale come lo era quello dei contadini, ma con l’accesso al tempo libero dei lavoratori dipendenti.

 Alessandro Marenco

 

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