Fiumi di latte versato e treni passati

Fiumi di latte versato e treni passati
Dopo un’esperienza di quattro anni come consigliere comunale, e di quasi sessanta come semplice cittadina savonese, mi trovo spesso a riflettere sulle magnifiche sorti e progressive della mia città, su come le cambierei se potessi, sulle tante idee che si potrebbero avere, per imboccare strade diverse.

Fiumi di latte versato e treni passati

 Dopo un’esperienza di quattro anni come consigliere comunale, e di quasi sessanta come semplice cittadina savonese, mi trovo spesso a riflettere sulle magnifiche sorti e progressive della mia città, su come le cambierei se potessi, sulle tante idee che si potrebbero avere, per imboccare strade diverse.

Tanto per cominciare, in qualche caso la domanda, a volte implicita, a volte esplicitata con sfida, a fronte di critiche, dagli amministratori: perché, tu qui come faresti al mio posto? Sentiamo, suggerisci… meriterebbe una risposta ragionata.  Perché messa così non è corretta.

Per lo meno, nella misura in cui certe situazioni sono state avviate in una direzione ben precisa, ed è alquanto difficile illudersi di migliorarle e raddrizzarle come per incanto, persino se si fosse in possesso di superpoteri e in una situazione rosea, di economia florida. Figurarsi ora con la stretta della crisi,  l’ipertassazione, i tagli agli enti locali.


 
E’ fin troppo facile “giocare”così. Perché al tempo stesso non bisogna dimenticare che qualsiasi difficoltà odierna o strada preordinata è frutto di scelte ben precise del passato, compiute, guarda un po’, da maggioranze politiche affini, spesso dalle stesse persone in assoluto. Già allora ci si poteva arrivare, a fare di meglio, c’erano tutti gli elementi per prevedere gli sviluppi, ma si è scelto di ignorarli. Per miopia, per oscuri interessi, o un misto di entrambi.

Intendiamoci, pretendere lungimiranza, fantasia, apertura mentale da chi amministra, è desolatamente troppo. Ma almeno saper cogliere i segnali, le avvisaglie.

Su certe scelte sbagliate si può applicare solo l’attenuante generica. Per esempio, quando fu inaugurata la nuova stazione, parliamo di fine anni ’70,  non era così immediato prevedere che gallerie e percorsi sopraelevati, lungi dall’essere fastidiosi impedimenti da abbattere o chiudere, potessero trasformarsi in percorsi ideali, già inseriti nel tessuto cittadino, da sfruttare come vie alternative, di trasporto pubblico, ciclopedonali o altro.

Ci si poteva arrivare, come si poteva pensare a non abbattere la vecchia stazione, trasformandola in museo o comunque struttura di prestigio, come chiedevano accorati alcuni intellettuali e artisti cittadini. Non si è mai capito che con la cultura si mangia, eccome. 


La vecchia stazione

 Un miracolo ottenuto dalle “inutili” circoscrizioni sono stati i giardini di via Trincee, una buona idea, quanto meno, apprezzabile ancora oggi. Il resto, boh.

E va be’, transeat.  Salvo ora pensare a comprare le arcate superstiti dalle ferrovie,  per ricostruire i ponti. Finanziando come?  Ma grazie agli oneri di Binario Blu, ennesima ed evitabilissima speculazione edilizia urbana di lusso, abbinando con i famosi fondi europei e regionali. Detti il miraggio di Tantalo, per un povero consigliere di opposizione, perché sempre disponibili per opere anche ridondanti e abbellimenti posticipabili, forieri di appalti su appalti, mai per quelle vere opere necessarie al funzionamento della città, o per investimenti che portino importanti ritorni.

Scelte politiche, ci dicono, quando osiamo obiettare.

E più non dimandare.

Così questi famosi fondi della pista ciclopedonale,  visto che Binario Blu va per le lunghe,  si possono “rimodulare” (si dice così, si traduce faccio un po’ quel che mi pare)  sul secondo lotto della piscina.


Progetto Binario Blu 

In sostanza, genericamente parlando, siamo e saremo sempre costretti a rincorrere a caro prezzo ciò che poteva essere nostro, che già lo era.

Un po’ come i limoni argentini importati in quantità dalla grande distribuzione, quando abbiamo distrutto orti e giardini. Avete mai guardato certe piante di limone,  negli spazietti striminziti che rimangono? Cariche di gialli frutti meravigliosi.

Aver destinato, per esempio, preziose fertili aree pianeggianti a inutili palazzoni, magari su corsi d’acqua sotterranei o in zona esondabile, sarà un errore che sconteremo. Prendere in giro chi sostiene che i terreni agricoli, anche fazzoletti di terra, saranno ben presto più preziosi dell’oro, è miopia colpevole.

Ora siamo ridotti a piantumare qualche chinotto nei giardinetti. Vandalizzato magari dai teppisti. E questa e’ terribile metafora.

    
Chinotti                                                  container 

Ma noi facciamo andare container su e giù. L’importante è far muovere le merci. Inventandosi inutilità, sterminando l’utile. Basta che ci sia chi ci guadagna. Non noi di sicuro, noi abbiamo tutto da perdere.

Allora, torniamo alla domanda chiave: cosa faresti, tu, se dovessi governare la città?  Come cambieresti radicalmente le cose?

Qualsiasi bella considerazione, qualsiasi idea coraggiosa e innovativa, e pur ce ne sarebbero e ce ne sono tante, non può prescindere dai percorsi già tracciati, che appesantiscono come zavorra, sono pene da scontare, debiti in saccoccia.

Le zavorre peggiori sono la totale sudditanza alle pretese degli speculatori edilizi, ai cosiddetti poteri forti, i veri governanti della città,  e al “califfato” di Autorità Portuale. Abbinate con una totale mancanza di progetto e visione globale, che sia dalla parte  e per il bene dei cittadini, costituiscono un cocktail micidiale. Si sopravvive alla giornata, avallando uno dopo l’altro i progetti altrui.  Possibilmente i peggiori e più devastanti.


 Crescent

Lo scempio del porto, un primo risultato ormai irreversibile. Preziose aree a filo di banchina, utilissime per qualsiasi attività portuale di sbarco e trasformazione, sono state consegnate all’inutile e incombente residenziale, elargite agli sterili interessi privati.  Ora si completa il tombamento: quell’unica possibilità prevista nel progetto d’insieme, di ottenere, almeno, una struttura che non fossero appartamenti speculativi, ma turistico residenziale (si poteva anche variare, pensare al sanitario, a strutture riabilitative, di convalescenza, residenze per anziani o altro), creando un minimo di posti di lavoro e ritorno economico,  viene annullata. Altre case, per far contento il costruttore che farà profitti enormi, giusto in tempo prima che le nuove leggi lo obbligassero a versarne una parte consistente al Comune. Alla città, la beffa di un park cancellato (con relativi introiti mancati per Comune e Ata) e una vaga promessa di verde pubblico, nonché fondi per un ostello, sospettosamente ipertrofici.

Tempo fa si è votato la  variante  in residenziale di un primo piano di uffici, in un palazzo di via Chiodo: ho fatto notare la programmazione sbagliata, sovradimensionata, del progetto Bofill.

La maggioranza ha sospirato: e chi poteva prevedere la crisi…

Mi sono arrabbiata. Eh no, non prendiamoci in giro. Primo, le avvisaglie di crisi c’erano già tutte, qualcuno documentava, lanciava allarmi, e secondo, quella mostruosa colata di cemento era eccessiva in ogni caso. Che rimanesse semivuota, invenduta o speculativa, era più che prevedibile, era del tutto certo.  Che stravolgesse un quartiere in piena rinascita, condizionandolo in negativo e rovinandone l’atmosfera unica preziosa per commercio, turismo, ristorazione, pure.

Ogni volta, il danno e pure le beffe.

La sudditanza a poteri diversi dalla volontà e dal bene dei cittadini è evidente.  Vogliamo parlare del tunnel portuale? E’ artificiale, di mitigazione dell’impatto del traffico commerciale, a beneficio esclusivo degli abitanti del quartiere di lusso. Ma l’illuminazione la paga il Comune, la paghiamo tutti noi. Avrebbe potuto essere evitato? Nessuno, fra chi di dovere,  è stato minimamente sfiorato dall’idea di obiettare in proposito.  Ma è soltanto uno, e neppure il più clamoroso, fra gli “sgarbi” di Autorità Portuale alla città.  L’anfiteatro sotto il Priamar, che il progetto Bofill prevedeva, è passato, come si dice, in cavalleria, e da quelle parti si ha timore anche solo di obiettare. Le auto (che sono finite sotto la fortezza anche per liberare spazi compiacenti al residenziale speculativo) non si toccano, neppure per un minimo di passerella lato mare. Tanto da avallare, piuttosto, un progetto dall’impatto devastante, con piloni e ancoraggio alle vecchie mura.


Cantiere Aurelia bis 

La voragine Aurelia bis è una ferita aperta, lancinante, altro spreco di soldi pubblici, altra opera tardiva e pasticciata, a cui si devono aggiungere soluzioni posticce ugualmente costose e di dubbia utilità.

Un’altra bella zavorra da portarsi appresso. Fa male pensare quante soluzioni intelligenti e innovative si sarebbero potute ideare e realizzare, per il trasporto pubblico e privato, per il traffico portuale, con finanziamenti  uguali o inferiori a carico della collettività, spesi più saggiamente.

L’insistenza miope e suicida sulla filiera del carbone, che ci trova ora a dover fare i conti con problemi logistici, ambientali, occupazionali drammatici. Era ampiamente prevedibile un tale epilogo, da anni venivano lanciati allarmi, presi per stravaganze ambientaliste, in realtà basati su solidi dati economici e tendenze globali. Si sarebbe potuta affrontare prima e meglio la prevedibile crisi, se ci si fosse attrezzati per tempo investendo su alternative valide, invece di “reggere le code” a chi voleva lucrare su sistemi economici ormai al tramonto, illudere i lavoratori prendendoli in giro fino in fondo.

  
Centri commerciali: il gabbiano, le officine e il molo884 

L’assurdità di tre centri commerciali nello spazio di pochi chilometri. Come si può pensare che regga un tale sistema? Come si può essere così irresponsabili? Inutile parlare di rilancio del commercio cittadino.  Il commercio, oberato di tasse e provato dalla crisi dei portafogli, è alla canna del gas, e quando questi centri ipertrofici crolleranno su loro stessi,  diventando strutture abbandonate, come già accade negli USA anticipatori, sarà troppo tardi per risollevarlo.  Tanto per chiarire, non provo alcuna millenaristica soddisfazione all’idea, mi dispiace molto, di cuore,  per chi lavora, sia nei negozi, sia nelle grandi strutture.  Ma sono purtroppo dati di fatto, non c’è spazio per tutti in queste condizioni, non c’è più spazio per un consumo che cresca senza limiti e senza senso. Né economico, né ambientale, né morale.

E mentre si continuavano a versare fiumi di latte, su cui non resta che piangere,  si lasciavano, per continuare con le metafore, passare tutti i treni importanti, senza salirci.

Si negava qualsiasi idea innovativa, qualsiasi ipotesi che salvasse preziose “isole” di economia.

 Eppure ciò che un tempo appariva assurdo, grottesco, ridicolo, retrogrado, velleitario, presto sarà il nuovo futuro, da cui ripartire in un mix di tradizione e tecnologia. Ciò che invece appariva moderno, progresso, abbellimento, presto sarà visto come irreversibile scempio, devastazione di spazi e risorse, terra bruciata, foriero di inquinamento e spreco di territorio. Uno sterile deserto di cemento.

Nessuno più del PD e della CGIL locale (in questo peggio, ben peggio di quella nazionale che pure non brilla per spirito innovativo)  ha saputo trasformare una sorta di retaggio del glorioso realismo sovietico, di fierezza della forgia e del catrame, per cui il vero lavoro è sempre “sporco” di officina e acciaio,  in un mantra di masochistico e quasi patologico attaccamento al passato. Nostalgia delle fabbriche inquinanti e delle ciminiere fumose. Negazione ostinata e autistica delle nuove tendenze economiche e produttive.

C’è una ragione, naturalmente, dietro questa incapacità di adeguarsi. Il terrore di perdere comode rendite di posizione e consolidati consensi.

In  tutto questo, dunque, assistiamo impotenti agli esiti degli scempi passati. Temiamo ancora, se i cittadini non si svegliano dal loro torpore,  di non poterne impedire di futuri che incombono all’orizzonte, come il definitivo scempio del litorale o magari, ce ne scampino gli dei, il sacrificio di importanti pozzi dell’acquedotto per le esigenze speculative della zona Binario Blu.

E speriamo sempre di non essere in ritardo, troppo in ritardo, per rimboccarci le maniche, quando finalmente questa assurda follia imploderà su se stessa, per ricominciare e per ripensare un futuro diverso e migliore, a misura di persone, comunità, benessere, relazioni, affetti e realizzazioni personali, fatto di speranza e qualità della vita, di programmazione ragionata, di sereno buon senso, non di insensate frenesie senza scopo, di interessi oscuri e di arroganti esibizioni di imponente e grigio nulla.

Noi speriamo. Ma la speranza deve essere aiutata. Ha bisogno di impegno e buona volontà. Qualcuno può ancora crederci, vuole ancora crederci?

  Milena Debenedetti  Consigliera del Movimento 5 stelle

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